Arminio, un generale grande come annibale?

Arminio, l’astuto figlio delle foreste germaniche, fu al tempo stesso scudo e lama, traditore e liberatore, ombra tra le ombre della selva sacra. Le sue gesta sconvolsero l’ordine del mondo, quando Roma, la città eterna, scagliò le sue legioni nel cuore oscuro della Germania, ignara del destino che l’attendeva.
Non vi fu mai, nei secoli degli uomini, un duello simile: Arminio dal duplice volto, guidava entrambi gli eserciti. Sotto il vessillo dell’aquila romana, egli marciava come fedele compagno di Quinto Varo, comandante delle legioni, consigliere ascoltato e guerriero valoroso. Ma sotto la maschera del romano, batteva il cuore indomito del principe cherusco, erede degli antichi dei della foresta, che sussurravano vendetta contro l’oppressore.
Come Ulisse, l’ingegnoso, Arminio tramò nell’ombra, tessendo la tela del destino. Alle legioni di Roma, egli mostrava il volto dell’amico; alle tribù della Germania, quello del liberatore. E quando la nebbia avvolse la selva di Teutoburgo, il fato si compì: la pioggia cadeva come lacrime degli dèi, la terra tremava sotto il passo degli uomini e il clangore delle armi si levava come un tuono.
Arminio, il doppio comandante, guidava i suoi fratelli all’assalto, mentre i romani cadevano, traditi dal loro stesso compagno. In quella notte senza fine, la gloria di Roma fu spezzata, e il nome di Arminio, l’eroe dai mille volti, fu inciso nel mito, come colui che fu signore e carnefice, artefice di una vittoria che avrebbe riecheggiato nei secoli.
Così, il destino degli imperi fu deciso dal coraggio e dall’inganno di un solo uomo.

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