21 ottobre 1917 - segnali dall'Isonzo
«Le artiglierie nemiche mostrano una certa irrequietezza», in particolare tra Plezzo e Tolmino. E si è notato anche un improvviso accumulo di forze sul fronte dell’Isonzo. Ma fin qui nessun giornale, o analista, neanche gli esperti, hanno mai preso sul serio la possibilità di un’offensiva austro-ungarica in grado di ottenere un ampio successo. Il mantra ripetuto finora è: «Da qui non ci schiodano più, è impossibile. Sarebbe una follia tentare, lo dice il terreno».
Alessandro Manzoni invece scrisse: «È men male l'agitarsi nel dubbio, che il riposar nell'errore». Quel “dubbio” a qualcuno è venuto, per esempio a Sonnino. Il 21 ottobre il Ministro degli esteri parla con l’Ambasciatore russo, gli chiede se sia possibile per Pietrogrado avviare una qualsiasi operazione militare, fosse anche niente di serio, purché instilli un dubbio analogo negli Imperi centrali. Sarebbe bello, purtroppo però chiedere un favore del genere ai russi, in quel momento, è come chiedere a me di scalare l’Everest a mani nude e senza ossigeno: grazie per la fiducia, ma no. L’Ambasciatore può rispondere solo con «farò tutto il possibile».
Tra l’altro le strade di Pietrogrado e degli Alleati sembrano allontanarsi sempre più. Il Soviet ha esplicitato meglio i suoi termini di pace e la distanza con l’Intesa pare allungarsi: nessuna annessione e nessun indennizzo; plebiscito popolare nei territori contesi, leggasi Alsazia-Lorena, o Trento e Trieste; neutralità degli stretti, compresi i canali di Suez e di Panama; nessuna guerra economica, disarmo generale e arbitrato.
Incamerato il successo dell’operazione Albion, i tedeschi provano a ricamarci su e sbarcano nella penisola di Werder, oggi Virtsu, Estonia continentale. In nove giorni Berlino ha catturato 20.000 prigionieri e molto materiale; quanto resta della flotta russa si ritira nel Golfo di Finlandia.
Davide Sartori
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