Memorie di guerra - Puntata 1
(…)
il saperti del ’98 mi riporta indietro nella memoria, nel deposito
di Milano delle ‘batterie a cavallo’, in cui prestavo servizio,
quando, la sera del 9 giugno 1917, durante l’ attesa di uscire, mi
raggiunsero in mensa per avvisarmi che ero stato sorteggiato per i
bombardieri, io ed il sergente Gaist, fiorentino, e che il mattino
seguente saremmo partiti per il fronte con 500 uomini del 1897 e,
appunto, 1898, in parte volontari, da istruire a mia cura. La visita
medica trovò il Gaist sofferente di cuore; ma era… paura.
Quella
sera fu impiegata per saluti frettolosi a persone care, per
prelevamento d’indumenti e cose strettamente necessarie e lacrime e
lamenti voluti lasciare a metà.
Il
mattino seguente, fuori della Caserma di Corso Porta Vittoria, ove
alloggiavo, c’era una piccola folla di parenti. Uscimmo in 500,
tutti belli e sereni, in fila per quattro, ben allineati, e marciammo
in mezzo al corso, senz’altri graduati al di fuori di me, banda in
testa, sino alla stazione di Porta Vittoria, tra ali di folla, mentre
dai balconi piovevano fiori e saluti.
Il treno arrivò a Nervesa a
sera tarda; trovai il tenente Moncalieri, piemontese, del mio
reggimento, anch’egli richiamato al fronte; ci accompagnò in un
campo dove improvvisammo un attendamento e restammo per non molti
giorni.
Poi
il racconto prosegue nel diario di guerra che il Milani dice
“ricostruito a memoria”.
I
Bombardieri della Grande Guerra. Un’arma improvvisata, la bombarda,
al cui servizio i bombardieri si dedicavano. Molto simile al mortaio,
non molto perfezionata, un po’ sperimentale e quindi micidiale sì,
pericolosa, ma anche per noi stessi. Di vario calibro, massimo 240.
Improvvisate
erano le formazioni di batterie e gruppi. Uomini dal mattino alla
sera prelevati un po’ da tutte le armi, prevalentemente dalle
artiglierie, e quindi anche, come nel mio caso, dalle batterie a
cavallo. A Nervesa era organizzato il Deposito di questi bombardieri.
Vi affluirono classi 95-97-98 con pochissimi sottufficiali oltre a
me. Erano giovani che si trovavano con compagni nuovi avendo
lasciato, spesso a malincuore, i reggimenti d’origine in cui già
si erano consolidati cameratismo e spirito di corpo.
Dopo un
brevissimo periodo d’istruzione alla nuova e sconosciuta arma,
questi giovani erano mandati ad alimentare le batterie già operanti
sui vari fronti per rimpiazzo di caduti oppure utilizzati per formare
nuove batterie.
Il sottoscritto, con un buon numero d’uomini, fu
mandato a raggiungere a Carmignano di Brenta la 54^ batteria, che
proveniva dal Monte Zebio (a nord d’Asiago) dove era stata
decimata.
A
Carmignano la batteria fu ricomposta e, completata d’armi,
rispedita per ignota destinazione, in un susseguirsi di tappe, alcune
per ferrovia, altre con mezzi a motore, trasportanti bombarde,
materiali e uomini. Non ricordo il tempo impiegato per raggiungere la
meta: rivelatasi essere il Monte Mrzli, oltre Caporetto.
All’imbrunire
di un giorno di fine giugno, o inizi di luglio, si raggiunse il luogo
designato a quota 1350, carichi, stanchi, assetati. La montagna si
rivelò arida, rocciosa, franosa, priva di sorgenti; percorsa da
tratti di mulattiera e sentieri accennati.
La
batteria venne piazzata in una gola, stretta e ripida; furono messe
in posizione solo sei bombarde da 240, anziché otto.
Il materiale
pesante venne trainato o tirato su a fatica ed in certi punti si
procedette solo di notte perché punti scoperti ed esposti al tiro
nemico.
Vennero fatti scavi per formare le piazzole che vennero
parzialmente coperte e mascherate. Con l’aiuto di qualche minatore
esperto avuto dal genio furono scavate delle piccole gallerie.
Venne
organizzato un servizio con i muli per portare lassù le bombe (da 90
cadauna ed ogni mulo ne portava due), per il rifornimento di acqua
(con le ghirbe), per il rancio che arrivava nelle casse di cottura da
Kamno o Selidce, cioè dal fondo valle dove avevamo la riserva di
uomini, di materiali, di cucina e di bombe.
La
colonna di muli arrivava a destinazione se non veniva colpita dal
tiro delle artiglierie nemiche, nel qual caso quel giorno si restava
privi di tutto fino alle 24 ore successive, tempo necessario per
organizzare una nuova colonna, perché i quadrupedi in dotazione alla
batteria non erano sufficienti per renderci autonomi in tale
servizio.
La
batteria aveva pure in dotazione delle carrette che servivano per le
spese viveri ed altri rifornimenti che venivano fatti a Cividale.
C’erano anche biciclette, tenute pure in riserva, come anche i
nostri indumenti non strettamente necessari.
Le
gallerie più o meno profonde, in certi casi sfondate in modo da
mettere in comunicazione una piazzola con un’altra, servivano, più
che per rifugio, per deposito delle bombe e per la pulizia delle
stesse: infatti arrivavano dalle retrovie con delle misere gabbiette
tutte sporche ed arrugginite; bisognava lucidarle alla perfezione per
poterle introdurre nel tubo di lancio della bombarda, completamente
spalmate di vasellina. I “pulitori” impiegavano molto tempo per
eseguire questo lavoro. Altro particolare: erano bombe ad avancarica,
cioè bisognava per prima cosa introdurre il cartoccio di polvere,
poi la bomba, poi, se non già fatto, si metteva a punto direzione ed
elevazione della canna con l’ausilio di un quadrante provvisto di
livella a bolla.
Fatto
tutto questo con la massima scrupolosità, veniva innescata la
spoletta alla bomba. Per far partire il colpo s’introduceva il
cosiddetto cannello d’oca in un foro posteriore presente nella
culatta del tubo di lancio, si attaccava una funicella lunga
abbastanza da permettere il massimo allontanamento dalla piazzola,
precauzione necessaria come si vedrà.
All’ordine del capopezzo,
cioè al grido di “Colpo!”, il tiratore doveva dare uno strappo
alla funicella e, se tutto andava bene, la bomba partiva.
Poteva
anche capitare che la bomba non partisse; in tal caso bisognava
riprovare dopo la sostituzione del cannello d’oca, altrimenti
bisognava ripetere tutta l’operazione: disinnescare la bomba,
scaricare la bombarda, sostituire il cartoccio di polvere esplosiva,
che magari s’era deteriorato per l’umidità. L’operazione era
macchinosa e piena di insidie specie se fatta di notte al lume di una
candela, con l’esigenza di non esser visti a distanza.
Quando
usciva dal tubo di lancio la bomba era ben visibile. Notevole il
frullìo ed il fischiare nell’aria; rumorosissima la caduta sul
bersaglio costituito dai reticolati che si frapponevano alle linee
nemiche al di là della vetta del monte. Se esplodeva sulla roccia
provocava una grande caduta di massi e pietrame.
Era
talmente assordante il rumore all’uscita della bomba dal tubo di
lancio che, di norma, ci si inseriva nelle orecchie un batuffolo di
cotone; opportuno poi portarsi il più lontano possibile per lo
spostamento d’aria e per l’eventualità di uno scoppio della
bomba all’interno del tubo di lancio.
La batteria era
posizionata poco dietro la nostra prima linea, ch’era tenuta dalla
fanteria. Qualche roccetta del monte era ancora in mano nemica e le
loro vedette potevano spararci nelle piazzole con i loro fucili di
precisione.
La nostra fanteria non aveva molta stima dei
bombardieri perché trovandosi poco sopra temevano che qualche bomba
anziché raggiungere il bersaglio cadesse sulla prima linea.
A
batteria pronta, attendemmo il battesimo del fuoco, con entusiasmo e
spirito d’ardimento. Neofiti ed esperti, tutti trepidanti in attesa
dell’ora ufficiale in cui si sarebbe dato il via ad una grande
azione sull’ampio altipiano della Bainsizza, al comando del
Generale Cappello.
A capo della batteria era il capitano Bavarese.
Questi si era posizionato all’osservatorio ed aveva con sé il
sottocomandante tenente Allegri di Milano. Questi, pertanto, aveva
ceduto al sottoscritto il suo comando su tutta la prima sezione della
batteria, vale a dire 1^ e 2^ pezzo..
A me, quale sottufficiale
più anziano di grado, sebbene il più giovane, sarebbe comunque
toccato almeno il comando del 1^pezzo, ch’era il più esposto al
tiro nemico.
Arrivò
l’ordine: alle ore otto del mattino si sarebbe iniziato a far fuoco
continuo.
Giuseppe Milani
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