L' undicesima battaglia dell'Isonzo

L'Undicesima battaglia dell'Isonzo fu combattuta dal 17 agosto al 31 agosto 1917, tra il Regio Esercito italiano e l'esercito austro-ungarico. Luigi Cadorna, il capo di stato maggiore italiano, aveva concentrato tre quarti delle sue truppe presso il fiume Isonzo. La nuova offensiva italiana fu affidata principalmente alla 2a Armata sotto la guida del generale Capello, forte di ben sei Corpi d'armata, dalla conca di Plezzo al Vipacco; l'VIII Corpo, schierato all'estrema destra, era destinato a collegare le operazioni della 2a Armata con quelle della 3a. Questa, che doveva anch'essa svolgere una parte importante della battaglia, era schierata su quattro Corpi d'armata. 
Il Comando Supremo italiano, per tale poderoso sforzo, aveva qui riunito circa i tre quarti delle truppe disponibili (oltre 600 battaglioni degli 887 disponibili) e circa duemila bocche da fuoco di tutti i calibri. Di fronte alle due armate italiane si schierarono la 5a Armata austro-ungarica, che dopo la Decima battaglia dell'Isonzo era stata ribattezzata Isonzo Armée. Essa comprendeva adesso tre Corpi d'armata, con 13 Divisioni, sul fronte a nord di Gorizia, e due Corpi, con 9 Divisioni, sul fronte sud; qualche altra Divisione sopravvenne in rinforzo durante l'offensiva italiana. Tale offensiva venne concepita come un attacco a fondo sull'intero fronte, da Tolmino (nella valle superiore dell'Isonzo) fino al mare Adriatico, ma obiettivi principali dovevano essere, per la 2a Armata, la conquista dell'altopiano di Tarnova, attraverso la Bainsizza, e per la 3a quella dell'altopiano di Comeno. Il Comando della 2a Armata italiana, si proponeva di sfondare le linee avversarie tra Podselo (Podsela) e il Monte Santo, in corrispondenza cioè, dell'altopiano della Bainsizza, con un potente nucleo di truppe costituito dai Corpi d'armata XXVII, XXIV e II; il primo avrebbe dovuto gravitare con la sua manovra principalmente verso nord, per determinare la caduta della testa di ponte di Tolmino, e gli altri due avrebbero dovuto tendere a raggiungere prima la linea presso Chiapovano, principale arteria di comunicazione tra Tolmino e Gorizia, ed assalire poi il massiccio di Tarnova.
Qualora tutti gli obiettivi fossero stati raggiunti, sarebbe stato scardinato tutto il fianco delle difese austro-ungariche sulle alture di Gorizia e sul Carso; la 3a Armata, infine, con un attacco frontale avrebbe dovuto spezzare le linee carsiche e sospingerle indietro, verso Trieste. La grande battaglia ebbe inizio, il mattino del 18 agosto 1917, con un fuoco molto nutrito di artiglierie italiane: a sera, mentre lunghe file di incendi segnavano le retrovie austroungariche, gli italiani iniziarono il passaggio dell'Isonzo nelle località prestabilite di Iavor (Javor), Doblari e Ronzina per il XXVII Corpo; di Loga, Aiba, Bòdres, Canale e Anicova Corada per il XXIV; operazione ardua e complessa, sia per le difficoltà opposte dal fiume, che corre in quel tratto in alveo ristretto, dominato da sponde alte ed erte, sia per l'andamento e la consistenza delle linee austro-ungariche sull'altra sponda. Gli austro-ungarici cercarono di impedire a tutti i costi l’attraversamento del fiume, così che all'alba del 19 agosto, gli italiani non riuscirono che costruire appena la metà dei passaggi progettati. Il XXVII (gen. Vanzo) soprattutto incontrò difficoltà nella costruzione di ponti, due soli dei quali poterono essere messi in efficienza: ciò che poi ebbe ripercussione notevole su tutto l'esito della battaglia. Truppe di quel Corpo d'armata, infatti, che non avevano potuto traghettare come dovevano, presso Iavor, dovettero affluire ai ponti costruiti più a sud, ritardando ed intralciando i movimenti e venendo inoltre a trovarsi più a valle, e più lontane quindi dalle direttrici di attacco loro assegnate. 15 La battaglia, intanto, si era impegnata su tutto il fronte. Mentre il IV Corpo (gen. Cavaciocchi) a nord e il VI (gen. Gatti) a sud impegnavano gli austro-unagrici, sul Monte Rosso e sul Merzli il primo e sulle alture di Gorizia il secondo, le truppe del XXVII Corpo che eran potute passare sulla sinistra, attaccavano le difese AstroUngariche di Auzza e tentavano di passare il torrente Auzzana (Avšcek) fortemente difeso; il II (gen. Badoglio), superate le difese a Descla, avanzava ad ovest di Plava, e sulla fronte del XXIV (gen. Caviglia) la 47a Divisione del gen. Fara lanciava le sue brigate di Bersaglieri sul tratto delle alture Fratta - Semmer (Avški Kuk) - Cucco (Verhovski Kuk), travolgendone i difensori Astro-Ungarici. L'altra Divisione del XXIV Corpo (la 60a) era però ferma davanti a Canale, di cui gli austroungarici avevano fatto un vero forte, irto di mitragliatrici; anche qui perciò venne meno la simultaneità delle due Divisioni. Il mattino del 20 agosto, mentre le artiglierie italiane chiudevano Canale in una cerchia di fuoco, il 12° Bersaglieri vi convergeva minacciando di aggirarne i difensori, che si videro costretti così a lasciare libero il passo alla 60a Divisione. Nella notte, intanto, erano stati riattivati i ponti danneggiati dal tiro austro-ungarico e costruite altre passerelle, in modo da poter intensificare il passaggio delle truppe, specialmente sul fronte del XXVII Corpo; tuttavia, ancora all'alba del 20 agosto taluni reparti di questa grande unità si trovavano sulla destra del fiume, mentre le altre truppe di essa si sforzavano ancora a vincere la resistenza austro-ungarica sull'Auzzana ed alla testa della valle di Sirocaniva (Široka Njiva), dominata dalla quota 645. Il XXIV Corpo italiano, invece, consolidata l'occupazione della cresta FrattaSemmer, puntava risolutamente contro i capisaldi difensivi della linea principale della Bainsizza: l'Osoiniza (Osojnica), Uolchi (Golek/Oscedrich) e Ielenico (Jelenk). Nella giornata del 21 agosto, le truppe del XXVII Corpo italiano, rinforzate da altri reparti, s'impadronirono di Auzza e passarono l'Auzzana, dirigendosi verso la fronte Monte Veli (Veliki Vrh) - Pieve di Leupa (Levpa).
Per parare poi l'allargamento del fronte e per risospingere verso Lom di Tolmino (Tominski Lom) il XXVII Corpo, che stava tendendo verso sud, un altro Corpo d'armata, il XVII (gen. Sagramoso), venne inserito tra il XXVII e il XXIV. Questo, intanto, procedeva vittoriosamente espugnando l'Osoiniza, il Cucco e l'Uolchi; quest'ultimo venne poi temporaneamente da esso riperduto. Avanzava decisamente anche il II Corpo italiano, che aveva già determinato la caduta del Monte Santo; tra il pomeriggio del 22 agosto e la giornata del 23 agosto gi ultimi capisaldi della difesa austroungarica, lo Ielenico, l'Uolchi e il Monte Cavallo (Kobilek) caddero sotto la furia degli assalti italiani; l'intera conca di Verco di Canale (Kanalski Vrh) e quella di Battaglia della Bainsizza passarono in mano italiane. Il 23 agosto stesso, gli austro-ungarici disponevano la ritirata sulla linea marginale dell'altopiano, Mesnià (Mešnjak) - Cal di Canale - Madoni - Zagorie (Zagorje), coprente la strada di Chiapovano. Le truppe italiane, mosse subito all'inseguimento, trovarono ovunque tracce della rotta avversaria, raccogliendo un bottino enorme di cannoni (135), bombarde (29), mitragliatrici (circa 200) ed oltre 19 mila prigionieri, dei quali 540 ufficiali. Queste vittorie per gli italiani, non ebbero però l'esito che per l'imponenza dei mezzi impiegati sarebbe stato lecito sperare; esse si risolsero in un semplice successo tattico, senza dare quello strategico per il quale erano state combattute. Dal 25 agosto si susseguirono azioni d'assestamento delle posizioni italiane, che però divennero difficili da mantenere vista la totale mancanza di strade, per i rifornimenti e l'avanzata delle artiglierie, assieme ad un terreno privo di acque superficiali e risorse, che rendeva molto difficile la vita delle truppe. Il 29 agosto, quindi, il Comando Supremo italiano diede l'ordine di sospendere l'offensiva e di tentare soltanto uno sforzo estremo contro il blocco delle organizzazioni difensive a nord e 16 a est di Gorizia, ritenendo che l'espugnazione di esse avrebbe potuto favorire le ultime operazione della 3a Armata. Questa aveva iniziato anch'essa il giorno 19 agosto 1917 le sue operazioni, dopo un intenso e prolungato bombardamento, cui avevano preso parte dal mare anche batterie natanti della Regia Marina e monitori italiani ed inglesi. Subito, però, dalle linee austro-ungariche vi fu una resistenza più decisa e tenace che nelle offensive italiane precedenti. Le truppe della 3a Armata, al comando del Duca d'Aosta, si erano slanciate in avanti, ma qualche vantaggio conseguito dall'VII Corpo d'armata (gen. Ricci Armani) sulle alture di Tivoli dall'XI (gen. Petitti di Roreto) e dal XXV (gen. Ravazza) nella zona Faiti - Castagnevizza non poterono essere poi mantenute. Solo sulla destra, verso il mare il XXIII Corpo (gen. Diaz) e il XII (gen. Sailer) riuscirono a fare qualche progresso, il primo in direzione di Versici (Vršic) e di Sella delle Trincee ed il secondo verso San Giovanni, oltre le paludi del Locovaz. Nei giorni seguenti, sul Carso, avvennero aspre lotte tra le truppe italiane della 57a e 58a Divisione e quelle austro-ungariche nei pressi della quote 464 (Monte Grande/Veliki Vrh) e 378 (Veliki Medvejšce) rispettivamente ad est e ad ovest del Fáiti, le cui trincee passarono di mano in mano più volte ed infine rimasero in mano austro-ungariche. Più a sud, invece, il XXII Corpo italiano riuscì ad oltrepassare Versici (Vršic), Corite (Korita na Krasu) e Sella, spingendosi nel Vallone di Brestovizza, occupando e refforzando la quota 50 (poco a sud della quota 58 di Moschenizza); il XIII Corpo italiano espugnò la piccola altura di quota 40 (sopra la galleria ferroviaria di San Giovanni) ed avanzò fin oltre la linea ferroviaria e le rovine di San Giovanni, catturando oltre un migliaio di prigionieri ed alcuni cannoni. Era tuttavia evidente che non si sarebbe ormai potuto, da parte italiana, conseguire un successo uniforme e decisivo su tutta la fronte.
Perciò, il 23 agosto 1917, il Comando Supremo italiano decise di sospendere le azioni sul Carso. Il 4 settembre gli austro-ungarici reagirono con un violento contro attacco contro tutta il fronte del XXIII e del XIII Corpo d'armata italiano: mentre le truppe del XXIII riuscirono a contrattaccare e ricacciare le truppe nemiche, quelle del XIII furono costrette ad abbandonare quasi tutto il terreno conquistato. Il 5 e i 6 settembre le truppe italiane si sospinsero fino alla linea della ferrovia ma ripiegarono poi nelle linee di partenza. Il giorno stesso che si sferrava sull'altopiano Carsico il contrattacco austriaco, la 2a Armata italiana, dopo un bombardamento molto intenso, per il quale erano state concentrate nel breve tratto tra il San Gabriele e il San Marco oltre 700 bocche da fuoco di medio e grosso calibro, iniziava l'attacco dell'arco di alture che cinge Gorizia. L'11a Divisione del VI Corpo dava quindi la scalata alle pendici del San Gabriele, riuscendo a raggiungere la linea di cresta tra la quota 552 e quota 646 (Monte San Gabriele) e catturando circa 200 prigionieri. Poco più tardi però, un contrattacco austro-ungarico obbligò gli italiani a ritirarsi a un centinaio di metri al di sotto della vetta. Nei giorni seguenti, fino al 10 settembre 1917, il San Gabriele fu teatro di una lotta incessante e sanguinosa; come in una voragine ardente interi regimenti vi furono consumati da una parte e dall'altra. Il Comando della 2a Armata pensò di poter vincere la resistenza dei difensori del San Gabriele isolandoli con un nutrito bombardamento senza tregua del territorio circostante, dal quale però dovette desistere dopo quale giorno sia per l'enorme consumo di munizioni sia per i poderosi lavori di caverne e gallerie eseguiti dagli austro-ungarici che gli permettevano di resistere senza molte difficoltà. All'alba del 11 settembre 1917, poi, tutte le attigue posizioni italiane della Sella di Dol (Preval) a Santa Caterina (Kekec / Sv. Katarina) vennero violentemente bombardate dagli 17 avversari. Gli italiani, con diversi scaglioni di fanteria, attaccarono il vicino Col Grande (Veliki Hrib) e il San Gabriele, e dopo un primo indietreggiamento, riuscirono a ristabilire la situazione. Il giorno seguente il contrattacco austro-ungarico si estese anche al San Gabriele. Sull'altopiano della Bainsizza, intanto, erano continuate le azioni locali, per migliorare e consolidare le posizioni italiane sulle linee avanzate, azioni che culminarono, il 15 settembre 1917, in un attacco della Brigata Sassari che condusse, il giorno 29 settembre alla conquista di quota 816 (Gomila), a sud-est di Madoni, un importante caposaldo il cui possesso permetteva il dominio di tutta la parte superiore del Vallone di Chiapovano. Tale conquista (poi risultata come il punto più orientale dell'avanzata italiana prima della ritirata al Piave) fu dovuta alle truppe italiane della 44a Divisione guidate dal gen. Achille Papa (che qui cadde il 5 ottobre 1917 e a cui in seguito venne dedicata l'altura, Quota Papa appunto) che permise la cattura di 2460 prigionieri tra cui 54 ufficiali; all'azione vi prese parte che la Brigata Venezia attraverso il 83° ed 84° fanteria.
La più vasta ed importante battaglia sin allora combattuta da parte italiana si conscluse con un bilancio che si può riassumere in: scarsi risultati sull'altopiano carsico, nulli nell'anfiteatro goriziano, tatticamente importanti ma non strategicamente decisivi sull'altopiano della Bainsizza. I due cardini della difesa austro-ungarica, ossia la testa di ponte di Tolmino da una parte e il San Gabriele dall'altra, rimanevano saldamente nelle mani degli austro-ungarici, e sul Carso, mentre le linee di Castagnevizza non poterono essere intaccate, l'Ermada seguitava ad incombere minacciosamente su tutto lo schieramento italiano. Dopo la battaglia, le forze austro-ungariche erano sull'orlo del collasso, e non avrebbero potuto sostenere un altro attacco, ma anche gli italiani si trovavano nelle stesse condizioni. La battaglia finì così in un bagno di sangue sostanzialmente inconclusivo. Queste le cifre a ricordo :
n. 529.025 i nominativi di italiani caduti per cause direttamente ascrivibili alla Prima Guerra Mondiale, dall’Albo d’Oro dei Caduti della Prima guerra Mondiale, che pubblica l’elenco di tutti i caduti durante il conflitto.
20 chilometri quadrati il terreno occupato e conteso.
1.000.000 (un milione) di colpi d’artiglieria sparati.
Oltre 1 miliardo di lire dell’epoca il costo delle munizioni e dell’equipaggiamento svaniti.
Università degli studi Cà Foscari di Venezia – Facoltà di Storia – La Grande Guerra Italiana le battaglie – docente prof. Coglitore Mario – partecipante come uditore -

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