Nelle trincee insanguinate del carso, parte II
Ricordo
benissimo quel giorno, perchè fu uno dei più spaventosi: fu infatti
una Pasqua di terrore e di morte.
Avevo
raggiunto da pochi giorni la prima linea a San Martino e mi
apprestavo a trascorrere assieme ai compagni d'armi la prima Pasqua
in trincea. Quel giorno pareva destinato a passare tranquillo, nel
rispetto della grande festività cristiana. Pare infatti che in
precedenza fossero stati lanciati dalle opposte trincee dei biglietti
nei quali ambo le parti stabilivano di sospendere le operazioni
belliche nel giorno di Pasqua.
Purtroppo un nostro sergente, capo
pezzo addetto alla mitraglia, che non era stato avvertito di quella
tacita intesa fra le due forze in lotta, vedendo alcuni soldati
avversari muoversi nelle trincee di fronte, sparò nella loro
direzione. Non so se quei soldati furono colpiti o meno dai colpi di
mitraglia indirizzati loro dal nostro sergente, so soltanto che
quegli spari dettero inizio ad un bombardamento austriaco senza
precedenti che sconvolse tutte le nostre trincee e i nostri
camminamenti, tanto da far temere un'offensiva nemica in grande
stile.
A
causa di un banale equivoco subimmo così ingenti perdite e parecchi
furono i morti e i feriti tra le nostre file.
Dopo
quel periodo di trincea, costellato - come si vede - di momenti
altamente drammatici, venni scelto come porta-mensa ufficiali. Fu
probabilmnte grazie a questo mio nuovo incarico che - come vedremo in
seguito - ebbi salva la vita nella tragica giornata del 29 giugno
1916.
La cucina della nostra mensa si trovava a Sdraussina vicino
alla passerella che attraversava l'Isonzo portando a Gradisca.
A
Sdraussina, e precisamente nella grande villa (castello) oggi
distrutta, c'erano anche i Comandi militari, mentre nella casa vicino
alla fontana era posto il Comando di Battaglione Genio Zappatori.
Nella
piccola località sulla sinistra dell'Isonzo c'era pure una
teleferica che giungeva fino a Bosco Cappuccio e serviva a portare i
rifornimenti (soprattutto durante la notte) alle nostre truppe.
Inoltre vi era stata installata una grande pompa la quale mandava
l'acqua fino al valoncello di San Martino, dove erano collocate delle
larghe tinozze che servivano da cisterne-deposito.
Come si vede
dunque il paesino di Sdraussina, situato com'è a ridosso del Carso,
aveva in quel periodo una notevole importanza logistica e strategica
per le nostre truppe. Anch'io, come porta-mensa ufficiali, avevo la
mia "base" a Sdraussina, essendoci le le cucine della mensa
e proprio la mi trovavo, come del resto tutti i giorni che erano
trascorsi da quando avevo avuto quell'incarico, all'alba di quel 29
giugno 1916, che doveva rivelarsi come uno dei più tragici giorni
vissuti da noi soldati.
Già il giorno precedente era stato
doloroso per noi poichè il nemico aveva risposto con una violenta
reazione ad una nostra offensiva sul San Michele e a San Martino.
Avevamo avuto numerose vittime fra i nostri soldati, tra gli altri
anche un mio conoscente: il fante Fioravante Giusti di Oderzo del 48
Fanteria e le nostre trincee e i nostri camminamenti erano stati
sconvolti in più punti; ma tutto ciò era nulla se confrontato a
quello che doveva capitarsi quel giorno.
Il
nemico infatti teneva in serbo per noi una delle più terribili armi
che mai furono impiegate in guerra: i gas asfissianti.
Già
da diverso tempo un apposito battaglione austro-ungarico costituito
da specialisti nell'uso dei gas era stato organizzato e addestrato a
Krems sul Danubio a cura di ufficiali germanici. In giugno tale
reparto era stato trasferito in gran segreto sul fronte dell'Isonzo,
per preparare, con la consueta cura e meticolosità che
contraddistingueva il Comando austro-ungarico, l'attacco coi gas.
Erano
stati fatti molti esperimenti ad uno dei quali, il 22 giugno, nei
pressi di Segeti, aveva assistito il generale Boroevic, comandante
dell'Armata del basso Isonzo e l'arciduca Giuseppe, comandante del
VII Corpo. I soldati erano stati esercitati nell'uso delle maschere
di protezione e agli ufficiali della 20a Divisione Honved, designata
all'attacco, era stata tenuta una conferenza sull'uso dei gas, alla
fine della quale per i diversi ufficiali avevano espresso la propria
riprovazione circa l'impiego di quello sleale mezzo di guerra.
Il
comandante della 18a Brigata Honved aveva chiesto addirittura di
essere esonerato dal comando piuttosto che rinunciare ai suoi
convincimenti morali.
Il deposito principale dei gas era stato
stabilito a Lubiana, mentre quello avanzato si trovava a Ranziano. Le
installazioni per l'attacco contro le nostre linee furono preparate
nella zona del M. San Michele e di San Martino del Carso, lungo il
fronte tenuto dalla 20a Divisione Honved e dalla 17a Divisione di
Fanteria austro-ungarica. I gas ad alta pressione erano racchiusi in
bombole metalliche, ciascuna munita di un rubinetto e di un tubo di
afflusso. Tali bombole erano state collocate in casse di legno
imbottite con sacchetti di sabbia per proteggerle da eventuali tiri
delle nostre artiglierie e le casse erano state disposte nei punti
più favorevoli all'emissione dei gas e cioè in terreno piano e in
corrispondenza delle testate dei valloncelli. Quest'ultima operazione
era stata fatta in gran segreto nella notte del 26 giugno e poichè
il vento non era favorevole all'attacco, erano state prese da parte
austro-ungarica speciali misure di sorveglianza per impedire
eventuali diserzioni, che ci avrebbero consentito forse di venire a
conoscenza dei propositi del nemico.
Università
degli studi Cà Foscari Venezia - Facoltà di Storia - docente prof.
Acciarino Damiano - partecipante in qualità di uditore
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