L’ incubo dei soldati di tutti gli eserciti. Quale l’incubo? Ovvio, l’assalto
Allo
scoppio di quella che agli occhi di tutti sarebbe stata una guerra di
movimento e di breve durata…, il Regio Esercito, con criteri
bellici vecchi di 10 anni..(adottava).. criteri napoleonici
dell’attacco frontale, che per quasi un secolo sono stati le linee
guida di ogni dottrina militare, (che) mal si conciliano col terreno
accidentato del Carso, con le distese di reticolati e le trincee
fortificate in bunker e in caverne e con le mitragliatrici. Non
curante di ciò, il Generale Cadorna, Capo di Stato Maggiore,
teorizza due tipi di attacco. L’attacco brillante e quello
lento..”Per attacco brillante si calcola quanti uomini la
mitragliatrice può abbattere e si lancia all’attacco un numero di
uomini superiore; qualcuno giungerà alla mitragliatrice. Per attacco
lento si procede mediante camminamenti coperti in modo di subire meno
perdite, finchè giunti vicino si assalta…. Le sole munizioni che
non mi mancano sono gli uomini”. L’assalto è l’incubo dei
Soldati di tutti gli Eserciti.
Cesare
De Simone riporta nel suo libro “L’Isonzo mormorava” un
episodio (raccontato da un Fante): ” Tutte le volte che c’era un
attacco arrivavano i Carabinieri. Entravano nelle nostre trincee, i
loro Ufficiali li facevano mettere in fila dietro di noi e noi
sapevamo che quando sarebbe stata l’ora avrebbero sparato addosso a
chiunque si fosse attardato..” E ancora nel libro la
testimonianza del Capitano Giorgio Orefice: ” Mentre un
giorno sono in trincea arriva il Generale Marchetti (Comandante della
21 Divisione insieme al Comandante del 9° Fanteria…..Il Generale
con una mentalità che non merita di essere qualificata, di fronte ai
Soldati che ascoltano, risponde (al Colonnello che rappresentava
difficoltà nelle operazioni): “Superateli facendo materassi di
cadaveri.
Così
poi scrive Marco Mondini (ricercatore nell’Istituto storico
italo-germanico di Trento e docente di Storia militare
nell’Università di Padova, con numerosi libri sulla “Grande
Guerra”), nel suo ultimo lavoro:”I Luoghi Della Grande Guerra”
(il Mulino-Ritrovare l’Italia, pag. 166, sett.2015, euro 12,00) su
Cadorna (da pag.127): “”…Le cause della sconfitta tattica a
Caporetto erano da dividere tra Capello (Generale), che comandava la
2^ Armata, e i Generali in subordine incapaci di reagire agli
imprevisti e alle rapidità dell’infiltrazione tedesca, mentre la
ragione della rotta disordinata in cui si era trasformata la ritirata
era da imputarsi solo alla sua incapacità di gestire la
situazione……Cadorna amava dipingersi come un carattere
imperturbabile, ma la sua esperienza di comando ha lasciato più che
altro le tracce di personalità paranoica: vedeva complotti
sovversivi dovunque, Governo compreso, ed era fermamente convinto che
i suoi soldati desiderassero tradire e disertare. Anche se nella
primavera del 1916 aveva saputo reagire con efficienza alla crisi
prodotta dalla “Strafexpedition”, la rotta dell’ ottobre 1917 e
il disfacimento della sua struttura di Comando sul fronte orientale
provocarono un’evidente crisi di panico; la sua fuga verso Padova
(da Udine sede dell’Alto Comando n.d.a.) decisa senza fornire alcun
ordine di evacuazione e senza avvertire nemmeno le Autorità civili,
lasciò nel caos le armate in pieno ripiegamento. La simmetria con la
fuga dei Generali che avviò la dissoluzione dell’Esercito l’8
settembre 1943 è solo una delle spie che confermano quanto Cadorna
fosse l’uomo sbagliato per condurre una guerra moderna…Alla
dissoluzione della catena di comando, l’atteggiamento del
Generalissimo, pronto a scaricare le cause della disfatta sui
sottoposti e infine sul cedimento morale dei Soldati, contribuì in
modo fondamentale..”
Ora
qualche nostra riflessione.
Come
entrò l’Italia nella “Grande Guerra”? Come abbiamo già
scritto in passato, vediamo i materiali. C’è da dire che lo Stato
Maggiore Italiano, tra i vari progetti di maschera antigas, tutti
inefficaci, aveva incomprensibilmente preferito quella a forma di
cono, con occhiali separati, che provò la propria tragica
inefficienza proprio sul Monte San Michele, restando comunque in
dotazione del Regio Esercito fino agli inizi del 1918. Quella delle
maschere antigas fu una delle tante carenze nelle dotazioni
logistiche, come anche nelle varie predisposizioni della guerra.
Ricordiamo che agli inizi del conflitto gli Austriaci con 14
Divisioni contro le 345 italiane erano già in allarme e preparati a
ripiegare su posizioni difensive. Probabilmente, se il Generale Luigi
Cadorna fosse stato più audace e meno attendista la guerra avrebbe
potuto prendere un’altra piega, diversa da quella del logoramento
in trincea e delle ripetute e ritenute inefficaci spallate delle 11
Battaglie dell’Isonzo. L’Italia era entrata in guerra con
soltanto 30 aerei Blèriot, 20 Nieuport e 8 Farman, in quanto non
ancora compresa l’importanza dell’ Aviazione, ma più grave, fu
il non aver capito che la mitragliatrice era la regina della
“piccolissima guerra” dei Fanti. L’Italia entrò in guerra con
618 mitragliatrici, due per reggimento, mentre gli Austriaci ne
avevano due per battaglione. Le bombe a mano erano praticamente
sconosciute, gli obici erano scarsi e forniti dalla Krupp. I fucili
mod.1891, che venivano prodotti dalla Terni al ritmo di soli 2.500 al
mese, erano tanto scarsi che parecchi reparti dovettero essere armati
con il Vetterli mod.1870-’77. V’erano 3000 autoveicoli e 216 mila
cavalli. Nonostante vari espedienti, il Capo di Stato Maggiore,
Cadorna, nella prima fase della guerra, non era riuscito a fornire
all’Esercito un numero sufficiente di Ufficiali. Riguardo al
personale, sappiamo che vi era una ufficialità di carriera formata
in gran parte da aristocratici militari di famiglie blasonate. Il
Corpo Ufficiali venne ovviamente integrato e quindi furono istituiti
dei corsi per Ufficiali di complemento che tentarono di trasformare
dei giovani civili, diplomati e spesso anche laureati, in Comandanti
di uomini. C’è da dire che il peso delle più cruente battaglie
furono di loro competenza, tant’è che circolava il motto salace:
“gli Ufficiali di Complemento vincono le battaglie, gli Stati
Maggiori perdono…le guerre!” Si venne così a creare un vero e
proprio “vallo di Adriano” tra gli ufficiali e la truppa, ma
anche all’interno degli Ufficiali si creò una crasi tra chi il
militare lo riteneva una missione e chi invece era stato costretto
dai gravi eventi a diventarlo. Gli Ufficiali di complemento
considerarono i colleghi “di professione” quasi degli
avventurieri che per carriera o per compiacere i vertici non
esitarono a comandare attacchi cruenti spesso inutili alla baionetta,
necessari solo per avere un encomio o una promozione sul campo.
Proprio per questo spesso gli Ufficiali di complemento
solidarizzarono con la truppa, non condividendo gli atteggiamenti
oltremodo rigidi degli Alti Comandi che erano ad Udine, lontani dalle
trincee e dalla difficilissima vita che vivevano gli uomini tutti i
giorni. Per reazione, il Generale Luigi Cadorna e il suo Stato
Maggiore ritennero che un ruolo importante doveva essere assicurato
dalla Giustizia Militare di guerra, quale unico strumento di
disciplina ferrea con ruolo di rigida educazione e dissuasione di
comportamenti ritenuti illeciti. L’azione del Comando Supremo si
svolse facendo pressione sui Tribunali Militari perché non si
discostassero dalle richieste sanzionatorie che avanzava la gerarchia
e, accortosi che in alcuni casi i Collegi agivano in libertà di
coscienza perché era preponderante il numero dei giudici Ufficiali
di complemento che, più liberi di pensiero rispetto agli altri
colleghi, in quanto provenienti dalla vita borghese, dal mondo del
lavoro e degli studi, fece sì che nei collegi giudicanti l’elemento
di militari di carriera fosse predominante. Ma sappiamo bene dalla
storia dove portò la linea Cadorna, con fucilazioni di massa di
asseriti disertori (addirittura “decimazioni”), mentre sarebbe
stata più pagante quella di Armando Diaz, certamente più umana e
attenta alle esigenze dei militari. Diaz, nominato Capo di Stato
Maggiore dell’Esercito dopo Caporetto, non certamente perché più
valido di Cadorna, come in effetti era, ma solo perché napoletano e
quindi più vulnerabile e meglio censurabile in caso di eventuale
definitiva disfatta, creò le premesse galvanizzando le truppe per la
riscossa che si verificò, come sappiamo, con la Vittoria delle Armi
d’Italia a Vittorio Veneto ( si combatté tra il 24 ottobre e il 4
novembre 1918). Concludendo, lasciando da parte le gerarchie,
rendiamo omaggio commosso e riconoscente ai nostri 651.000 Militari
caduti e ai tanti Eroi che hanno evidenziato immane coraggio e valore
nel nome dell’Italia nostra. Onore a Loro !!
Laboratorio
di storia – Università degli studi Cà Foscari Venezia –
Tematiche etico-sociali
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