Le guerre puniche: Roma conquista il Mediterraneo
Intorno
al 270 a. C. Roma era ancora una potenza regionale. Il Mediterraneo,
fonte di ricchezza e di potenza, era controllato da cinque potenze:
il Regno di Macedonia, il Regno di Siria, il Regno d'Egitto, la
repubblica di Cartagine e la città di Siracusa. Roma, rispetto a
queste potenze – o almeno ad alcune di esse – era piccola, poco
popolata (il Regno di Siria, ad esempio, contava più di trenta
milioni di persone, mentre tutti gli alleati di Roma ne contavano
tre), povera e fino al 270 a. C. aveva il divieto assoluto di
commerciare in Africa, in Sardegna, in Corsica e nella penisola
balcanica. Dopo aver sconfitto Pirro però il prestigio di Roma
cominciò a crescere e un secolo dopo la situazione cambiò
completamente. All'inizio del III secolo a. C. Cartagine controllava
la fascia costiera del nord Africa, parte della Spagna, la Corsica,
parte della Sicilia, deteneva il monopolio del commercio mediterraneo
e aveva un'agricoltura ricca. Per oltre un secolo Roma e Cartagine
avevano avuto buoni rapporti commerciali e nel 280 a. C. avevano
anche firmato un trattato di amicizia, per combattere insieme contro
Pirro. A un certo punto però Roma, dopo aver sconfitto Taranto,
decise di affacciarsi stabilmente nel Mediterraneo e per far questo
pensò di partire dalla Sicilia. A sua volta Cartagine avrebbe voluto
controllare lo stretto di Messina ma, visto che i Romani
controllavano Reggio Calabria, le due potenze di scontrarono. Prima
Guerra punica (264-241 a. C.)
Cartagine
(che si trovava vicino Tunisi) era una colonia fenicia, ma ben presto
divenne più importante della madrepatria. Era una grande potenza
commerciale ma non militare: aveva una potente flotta, ma un esercito
formato soltanto da mercenari. Roma invece aveva un forte esercito,
formato da cittadini, ma non aveva una flotta vera e propria: mare
contro terra insomma. I Cartaginesi, chiamati anche Punici, non erano
interessati a colonizzare ampi spazi di territorio, ma puntavano
soltanto a creare di porti fortificati per poter commerciare (questo
tipo di colonizzazione, chiamato appunto Fenicio, fu copiato secoli
dopo dai veneziani, dai portoghesi e dagli olandesi). Cartagine
controllava la parte occidentale della Sicilia e in quegli anni si
scontrò con Siracusa, forte colonia greca, che controllava la zona
orientale dell'isola e soprattutto lo Stretto di Messina. Cartagine
era interessata soltanto al controllo dei mari, ma i Romani, pur di
non rafforzare ancor di più una rivale, convinsero il Senato che la
città si trovava in pericolo. L’intervento dei Romani fu richiesto
dai Mamertini, un gruppo di mercenari che avevano conquistato
Messina. I Mamertini in un primo momento avevano chiesto aiuto ai
Cartaginesi perché Ierone, il tiranno di Siracusa, voleva cacciarli
da Messina. All'arrivo dei Cartaginesi, i Siracusani abbandonarono il
progetto di conquistare Messina, ma i Punici sfruttarono l'occasione
propizia e non abbandonarono più Messina, porto importantissimo. A
quel punto i Mamertini, per cacciare i Cartaginesi, chiamarono i
Romani, che si allearono con Siracusa, nemica di Cartagine. La Prima
guerra punica cominciò nel 264 a. C. I Romani, per contrastare la
potenza navale cartaginese, per la prima volta fecero costruire una
flotta di 100 navi, dotata di “Corvi”, che servivano ad
agganciare le navi nemiche, a saltargli sopra e a combattere corpo a
corpo. Grazie a questa flotta i Romani sconfissero i Cartaginesi a
Milazzo nel 260 a. C.; in seguito però andarono in Africa, con
un'enorme flotta capeggiata da Attilio Regolo, ma furono pesantemente
sconfitti da un grande capitano cartaginese, Amilcare Barca: fu la
più grande battaglia navale che si era vista fino ad allora. La
vittoria definitiva dei Romani si ebbe nel 241 a. C. al largo delle
isole Egadi: Cartagine fu costretta a cedere la Sicilia e dovette
pagare anche un forte debito di guerra. Nel frattempo, visto la
difficoltà punica, Roma occupò anche la Corsica e la Sardegna.
Subito dopo sconfisse gli Illiri (odierna Croazia), i Galli e occupò
Mediolanum (l’odierna Milano). La guerra però aveva messo a dura
prova Roma, che attraversò una grave crisi demografica, che colpì
soprattutto i piccoli proprietari terrieri, l'ossatura dell'esercito
romano. In cambio ottenne la Sicilia che divenne la prima provincia
romana: nelle province Roma non si comportava come nella penisola,
proponendo dei foedus, ma imponeva pesanti tributi e un rigido
controllo. La Sicilia, non alleata ma suddita, fu affidata ad un
proconsole dotato di un contingente militare per sedare qualunque
insurrezione.
La
Seconda Guerra punica
Mentre
Roma era impegnata a combattere i Galli, i Cartaginesi, per rifarsi
della perdita della Sicilia, grazie ad Amilcare detto Barca
conquistarono la Spagna meridionale, zona ricca di miniere di argento
e rame. I Romani, preoccupati che i Cartaginesi potessero diventare
di nuovo una grande potenza commerciale, fissarono un limite alla
conquista della Spagna, oltre il quale i Cartaginesi non sarebbero
dovuti andare: il limite era il fiume Ebro. I Cartaginesi nel 226 a.
C. firmarono l’accordo (il Trattato dell’Ebro), ma i Romani, non
ancora soddisfatti, per provocare i Cartaginesi, strinsero un accordo
con una città della Spagna, Sagunto, che però si trovava a sud
dell’Ebro, in territorio cartaginese. Roma, che voleva la guerra a
tutti i costi, chiese ai Punici di rinunciare a Sagunto, ma i
Cartaginesi si rifiutarono e così, nel 219 a. C., la conquistarono:
l’anno successivo cominciò la seconda guerra punica. Nel frattempo
il comando dell’esercito cartaginese era passato al figlio di
Amilcare Barca, Annibale, grandissimo generale esaltato anche dalla
storiografia romana. Annibale aveva capito che avrebbe dovuto
attaccare i Romani sul loro territorio, cogliendoli di sorpresa. Per
questo motivo, nel 218 a. C. con un poderoso esercito e alcuni
elefanti attraversò le Alpi e giunse in Pianura Padana: per i mezzi
tecnici di allora fu un’impresa di grandissima difficoltà.
Annibale sconfisse i Romani nella battaglia del lago Trasimeno, a due
passi da Roma. Non si trattava più di aiutare Sagunto, ma di
difendere la sopravvivenza stessa di Roma. Annibale voleva far
passare dalla sua parte le popolazioni controllate dai Romani, ma il
piano non funzionò; si unirono a lui soltanto i Celti e Siracusa. Il
nuovo dittatore romano, Quinto Fabio Massimo, fu detto il
Temporeggiatore, perché evitò saggiamente di scontrarsi con i
Cartaginesi e prese tempo per riorganizzare l’esercito. Nonostante
i lunghi preparativi, i Romani furono battutti a Canne in Puglia in
una delle peggiori sconfitte di tutta la storia romana: morirono più
di 40.000 uomini, decine di senatori e anche un console. Annibale
sembrava inarrestabile ma aveva un problema: trovare rifornimenti
alimentari. Se le popolazioni italiche si fossero alleate con lui,
per Roma sarebbe stata la fine. Non lo fecero perché furono sempre
trattate da alleati e non da sudditi. Per fortuna di Roma, Annibale
non puntò verso la città perché non aveva i rifornimenti
alimentari per tirare a lungo la guerra. Nel frattempo i Cartaginesi
avevano stretto un'alleanza con Filippo V, re della Macedonia. Per la
prima volta Roma fu costretta ad arruolare nel suo esercito anche i
nullatenenti e addirittura gli schiavi. I nullatenenti, in caso di
vittoria, avrebbero ottenuto delle terre e gli schiavi la libertà.
Nel 212 a. C. i Romani assediarono Siracusa, alleata di Annibale, e
nonostante le invenzioni del geniale scienziato siracusano,
Archimede, l'anno successivo fu conquistata e saccheggiata con
estrema durezza. Archimede era riuscito ad incendiare le navi romane,
utilizzando uno specchio con il quale aveva fatto riflettere i raggi
del sole. Nel 210 a. C. i Romani utilizzarono la stessa tecnica
utilizzata da Annibale e andarono direttamente in Spagna con un
esercito guidato da Publio Cornelio Scipione, detto l'Africano, che
nel 206 a. C sconfisse i Cartaginesi. Annibale, con i rifornimenti
bloccati e senza poter combattere in campo aperto, chiese aiuto a suo
fratello Asdrubale che però fu sconfitto dai Romani. Annibale a quel
punto fu costretto a tornare indietro e nel 202 a. C. fu sconfitto a
Zama, in una battaglia famosissima, da Scipione l’Africano, aiutato
dal re di Numidia, nemico dei Cartaginesi. Le condizioni di resa
furono durissime: la Spagna passò nella mani romane e Cartagine
dovette consegnare tutte le navi da guerra, pagare una grande
indennità e soprattutto rinunciare a qualunque politica estera,
senza il consenso dei Romani. Sebbene vincitrice, Roma ne uscì con
le ossa rotte; dal punto di vista economico i proprietari terrieri si
impoverirono, i generali divennero molto più potenti e soprattutto,
grazie alle forniture dell'esercito, si formò una nuova e ricca
classe sociale, quella dei finanzieri. Dal punto vista politico si
cominciò a capire che, per governare una “città” così grande,
serviva un uomo solo e non un Senato lento e litigioso
La
Terza Guerra punica
Nonostante
i pesanti tributi di guerra imposti da Roma, piano piano Cartagine si
riprese, grazie ai suoi fiorenti traffici commerciali. Roma però,
con una scusa banale, cercò subito di ostacolarla. Parte del Senato,
capeggiato da Marco Porcio Catone, detto il Censore, invocava la
distruzione totale di Cartagine. Anche questa volta i Romani, per
provocazione, si allearono con Massinissa, nuovo re del regno
africano di Numidia. Massinissa si era impadronito di alcuni
territori cartaginesi e i Cartaginesi reagirono senza rispettare una
delle clausole imposte nella pace: chiedere il permesso ai Romani per
dichiarare guerra. A quel Roma mandò un ultimatum ai Cartaginesi:
distruggere la città e ricostruirla altrove. Ovviamente ci fu la
guerra: la terza guerra punica, dal 149 al 146 a. C. Cartagine fu
assediata dal console Scipione Emiliano e nel 146 a. C, dopo
un'inaudita carneficina, fu rasa al suolo.
Lezioni
di Storia Romana. Università Cà Foscari di Venezia. Riassunto della
lezione docente prof.ssa Rohr Francesca. Partecipante in qualità di
uditore.
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