Castagnevizza (Kostanjevica na Krasu), Slovenia il giugno 1917, in mezzo ai cadaveri

Ponte di fortuna sul fiume Isonzo
Eravamo già oltre la metà del mese di Giugno, quando improvvisamente la sera circa le ore 22, venne l'ordine di partire, viaggiammo su strade tutte sconnesse e piene di buche, a causa della grande quantità di colpi di cannone, che il nemico sparava continuamente, che avevano fatto diventare le strade, quasi impraticabili, ai lati della strada dove noi camminavamo, c'erano appese delle grandi stoie, che servivano per nascondere il più possibile al nemico, impedendole di vedere i movimenti di truppe, e intanto mentre noi ci avvicinavamo, scoppiavano sopra alle nostre teste, diversi scoppi di granate e di scrappel, e si prin[cip]ciò a vedere dei feriti, fra i quali qualcuno anche in modo grave, e disgraziatamente si ebbero anche diversi morti.
Quando giungemmo nella trincea a noi assegnata, erano circa le ore una di notte, la località era Castagnevizza, che era una fra le peggiori posizioni di tutta la zona del Carso, quelli che ebbero da noi il cambio ci avvertirono dicendoci state molto attenti, e state ben nascosti perché qui durante le ventiquattro ore del giorno, o di giorno o di notte il nemico attacca tutti i giorni, e guai anche a far vedere il più piccolo movimento, anche di due o tre soldati è capace di scatenare sopra le nostre posizioni, un grande e terribile bombardamento, perciò state con occhi ben aperti, e state in gamba e ci augurarono il famoso in bocca al lupo, come si usa augurare a un cacciatore in partenza per una partita di caccia, e dopo averci dato questi avvertimenti se ne andarono frettolosamente.
La zona era un terreno tutto brullo, era tutto pieno di pietre e non si scorgeva il minimo segno di vegetazione, sembrava di essere in un deserto, con la sola differenza che in mezzo alla sabbia infocata dal sole, lì non c'erano che sassi e pietre e il caldo era soffocante, non respiravamo da come l'aria era impregnata, dal fetido puzzo dei tanti cadaveri insepolti, che c'erano al di la della trincea, e ce ne erano un gran numero ed era assolutamente impossibile il potergli raccogliere e seppellirli, perché se anche un solo soldato si fosse azzardato a far questo gesto, questi avrebbe fatto la fine che coloro avevano fatto prima di lui, mentre pietosamente avrebbe tentato il loro seppellimento, perché il nemico gli avrebbe scaricato addosso, non una ma diverse scariche di mitragliatrice.
Ogni tanto si accendevano in aria dei razzi, che servivano per illuminare la zona, e noi del 2° plotone che eravamo stati mandati fuori oltre la trincea, come posto avanzato, dovevamo stare schiacciati a terra, per fare il minimo bersaglio, ogni poco a distanza di pochi minuti, più a destra oppure alla nostra sinistra, e anche alle nostre spalle su la trincea, eravamo investiti da molti colpi di artiglieria, e da violente scariche di mitragliatrice e fucileria, che sibilavano fischiando a qualche centimetro sopra alle nostre teste, e questi colpi non facevano che mietere sempre nuove vittime ed infatti se pur in mezzo al grande frastuono, distinguevamo bene le grida e i lamenti dei tanti feriti che invano chiedevano di essere aiutati, ma nessuno questo poteva farlo, perché la battaglia divampava, sempre più aspra e violenta. E infatti il mio battaglione fra morti e feriti, subì gravi perdite quando venne il giorno e la battaglia si calmò, ci rendemmo conto del perché del pestilenziale puzzo, che c'era in quella zona, perché il terreno era tutto cosparso di cadaveri insepolti, sia dalla parte delle nostre trincee sia verso quelle del nemico, che non erano tanto lontane dalla nostra posizione, forse a meno di due o trecento metri.
Passammo tutto il giorno distesi a terra e immobili, che se fosse passato un'aereo sopra avrebbe creduto che fossimo tutti morti, il sole che faceva scottare la testa, da quanto l'elmetto bruciava sotto gli infuocati raggi del sole, senza poter aver nemmeno una piccola foglia d'insalata, per poter attenuare un po' il gran calore, e aspettavamo con ansia che fossero venuti a darci il cambio, ma questo fino circa le ore 23 non ci fù dato, perché prima era stato impossibile effettuare questa manovra.
Quando appena avuto il cambio ci avviammo per ritornare in trincea parecchi dei componenti, il posto avanzato non poterono rientrare, perché durante l'aspro combattimento erano stati mortalmente feriti, ed altri erano morti dissanguati a causa del gran sangue perduto, erano stati colpiti dal gran grandinare delle pallottole, che a me e tanti altri, ci avevano sfiorato da vicino, ma che fortunatamente, e miracolosamente si era rimasti illesi, se pur avendo provata una grande paura.
L'aria che respiravamo era molto infetta, e con facilità molti soldati si ammalavano, di febbre tifoide e diarrea, e durante il giorno c'erano sempre soldati che rimanevano feriti, e anche qualche morto e la forza, del battaglione si assottigliava sempre più, nonostante che spesso giungessero dei soldati, per rafforzare e rinpiazzare a causa delle gravi perdite subite, ma questi non erano bastanti, perché le perdite erano molto più numerose. E non era cosa facile avere questi rinforzi, perché il nemico bombardava senza sosta, di giorno e di notte le nostre retrovie, e impediva di fare su queste strade, i necessari movimenti per approssimarsi verso le nostre trincee.
Eravamo già nel mese di Luglio e dopo aver ricevuto, un forte contingente di soldati si era sempre, nella stessa terribile trincea, ma quanti de miei cari compagni ne ho visti morire e quanti assai in numero maggiore rimaner feriti, e molti in modo assai grave e senza poterle porgere il minino aiuto. Mentre forse molti se si fossero potuti aiutare, parecchi non sarebbero morti, ma come potevamo fare mentre il nemico sferrava, quei tremendi attacchi anche se per solo un minuto, uno avesse abbandonata la difesa della trincea, poteva essere per noi e tanti altri la cause della nostra disfatta, perciò noi dovevamo difendere stringendo i denti, la trincea dall'assalto del nemico, ma credete che nella nostra anima, crudelmente e selvaggiamente martoriata, non ci sortivano dalla già troppo stanca memoria, il ricordo di questi cari nostri compagni, a cui avremmo volentieri offerto un bicchiere, del nostro sangue pur di salvarli.
E invece date le tristi circostanze e la situazione in cui ci trovavamo non solo non potevamo porgere nessun aiuto, ma altri ancora disgraziatamente, ne vedevamo morire, e tanti altri rimaner feriti, era uno strazio continuo e atroce che ad umana persona, si possa far provare ed a un certo punto era tanto il mio sbigottimento che dubitai di essere giunto al punto di smarrire la ragione, mentre la carneficina continuava senza soste, e tutti i giorni non c'erano che morti e feriti.
In codesta trincea io mi ammalai, e avevo la febbre molto alta, e il Capitano medico dopo avermi visitato mi disse guarda di sopportare fino a stasera, perché e già venuto l'ordine di trasferirsi nel Vallone di Doberdò, cosi domattina se la febbre è sempre alta, ti manderò all'ospedale, e di là non c'è pericolo mentre a muoverti di qui, potrebbe darsi che tu possa essere investito da qualche pallottola.
La nottata fù per me molto più lunga e penosa delle tante altre passate, perché circa alle ore due di notte, si scatenò un violento attacco da parte del nemico che per mia fortuna, durò poco più di un'ora, ed io benché avesse la febbre molto alta, e avesse poca forza dovetti imbracciare il fucile, e prender parte alla battaglia, ed anche in codesto combattimento, molti furono i rimasti feriti e anche parecchi morti, e purtroppo altri de miei più cari compagni, caddero colpiti dal piombo nemico, e io benché febbricitante rimase illeso e fui fra quei pochi superstiti che si rimase, ma i sopravvissuti dopo questa cruenta battaglia, eravamo ridotti a un numero insignificante, e la notte stessa vennero a darci il cambio, i soldati del 50F.a in nottata lasciammo la trincea, e quei pochi che eravamo rimasti, e fra questi c'ero anch'io ci fermammo nel Vallone di Doberdò.
Ubaldo Baldinotti, militare, 49° reggimento fanteria, brigata Parma, soldato, caporale


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