Arrivo a Bassano Veneto

Il tram sbuffava come una bestia stanca, trascinando sui binari quel carico di aura e destino. Dentro le carrozze, il buio era denso di odori: lana umida, fumo, paura. Panche di legno scomodissime, finestre opache come loro. Giovanni si strinse nel suo angolo. Il fiato appannava il vetro attraverso cui vedeva un mondo congelato: colline spoglie, campanili immobili, e l’inverno che sembrava fermare il tempo.
Ma dentro il tram, il tempo era un inferno di silenzi, di sguardi che cercavano conforto e trovavano solo paura. Bruno parlava senza sosta, la voce alta quasi a scacciare i fantasmi: “Hai mai sparato? Io una volta ho tirato a una lepre...ma ho centrato un albero. Quello c’è ancora, a Zanè. La lepre no”.
Rideva, ma quegli occhi lucidi tradivano un’ansia che nessuna battuta poteva scacciare, in quel momento senza parole, nasceva una fragile amicizia. Arrivarono a Bassano quando il cielo stava ancora cambiando colore, sospeso tra la notte e l’alba.[…]
Il Ponte Vecchio, costruito sul fiume Brenta, scricchiolava al passo pesante delle truppe. E la corrente scorreva sotto, verde e gelida, portando via ogni riflesso di sole. Le caserme erano piene fino a scoppiare. Una delle più grandi, la Caserma Montegrappa, si trovava poco fuori dal centro, con lunghi corpi di fabbrica in mattoni e finestre strette. Da lì entravano e uscivano ufficiali, furerie, ordini scritti su foglietti luridi.
Ovunque passavano soldati, muli, casse di munizioni, barelle coperte da teli. Bassano era diventata uno dei centri nevralgici della guerra. Arrivavano treni carichi di truppe, ambulanze, materiale bellico. E a ogni ora del giorno e della notte si sentivano esplodere ordini, bestemmie, e fischi di locomotive. Giovanni scese dal vagone con le gambe rigide, la testa che ronzava.
Tutti giù! Documenti in mano!” L’ordine scoppiò nel freddo come un colpo di fucile. Uomini armati spingevano la folla verso l’uscita, Giovanni si fece avanti, tremante, e vide una figura, che sembrava familiare tra i soldati schierati. Gino, del suo paese, lo afferrò per un braccio e lo strinse in un abbraccio che scaldò èiù del fuoco. “Porca miseria, Giovanni...sei anche tu qui?” Gino aveva i baffi incolti, gli zigomi scavati e lo sguardo di chi aveva visto troppo. […]
E insieme, persi nella folla di uomini in divisa, si avviarono verso la caserma che li attendeva. Per un attimo, il gelo sembrò ritirarsi. Ma poi riprese a mordere le mani e il cuore. Arrivarono nella caserma appena fuori città. Le camerate erano lunghe, alte, fredde come stalle vuote. Brande di legno e pagliericci duri come pietre. Giovanni si sentiva così stanco che si butto sul letto vestito. La sveglia non suonava come un campanello, suonava come una bestemmia strappata con rabbia dal sergente. “Fuori dai pagliericci, bestie! In piedi, o vi piscio addosso”[…]
Due ore dopo , un caporale, li spinse dentro una sala gelida, li fece spogliare fino alla pelle, erano in fila tremanti, con il fiato che faceva nuvole. Il pavimento era bagnato, chiazzato di macchie scure. Tra le pareti, il profumo artificiale del disinfettante non riusciva a coprire quello del sudore e della paura. Un ufficiale medico, grasso e pallido, alzava lo sguardo solo per borbottare: “Spogliati. Gira. Piega. Tossisci”.
Giovanni rimase nudo davanti a lui, il freddo lo mordeva fin dentro le ossa. Due ragazzi scoppiarono a piangere mentre il medico annotava appunti su un registro, con una penna che grattava sulla carta come un insetto. Il medico sfogliò le schede, bofonchiò qualcosa, e poi mormorò: “Avanti il prossimo!”. La guerra iniziava così: spogliata di dignità, prima ancora che di sangue. Fuori, un sergente urlò i nomi a uno a uno, a ciascuno consegnarono un fagotto pesante.
Dentro c’erano:
una giubba grigioverde, ruvida come carta vetrata
un paio di pantaloni larghi, spesso troppo lunghi o troppo stretti
la mantella militare, lunga fino alle ginocchia
fasce mollettiere da avvolgere sulle gambe
la penna nera da alpino, infilata nel cappello
una paio di scarponi pesanti, già usati da altri[…]
Ogni uomo riceveva una lastrina di metallo sottile. "Questa vi riporterà a casa", disse, "In un modo o nell'altro".
"Matricola 12923 destinazione: 94a compagnia, Battaglione Alpini Sette Comuni".
Liberamente tratto dal libro La guerra di Giovanni, Ortigara 1917 di Tiziano Berto


Commenti

Post popolari in questo blog

S.Osvaldo – 6 aprile 1916 la fine della compagnia della morte

Tutto inizia la sera nella notte del 14 maggio 1916: sta per scatenarsi la Strafexpetion austriaca…

Castagnevizza (Kostanjevica na Krasu), Slovenia il giugno 1917, in mezzo ai cadaveri