Monte Cauriol e la battaglia per il suo possesso: 23 – 27 agosto 1916
Siamo
sulla cima del Monte Cauriol, a quasi 2500 metri di quota. Lo
spettacolo è stupendo e la vista spazia a 360 gradi sulle Dolomiti e
su gran parte della mastodontica muraglia delle Alpi di Fassa.
Volgendo lo sguardo a nord si può osservare il sinuoso profilo della
Val di Fiemme, con i paesi adagiati in fondovalle o su ameni
terrazzamenti. Orientando lo sguardo a meridione appare, più in
basso, il lungo e quasi rettilineo solco del torrente Vanoi, chiuso
molto più lontano dalla cuspide piramidale del Monte Pavione e dal
lungo crinale calcareo delle Vette Feltrine, confine di stato fra la
monarchia danubiana ed il regno d’Italia alla vigilia della Grande
guerra. Dal luogo ove ci troviamo si può quindi scorgere, in una
bella giornata di sole, gran parte del territorio abbandonato dalle
truppe imperial-regie in questo settore, dopo il 24 maggio 1915. In
particolare, è perfettamente visibile il teatro operativo nel quale
si trovarono ad agire le unità italiane in tutte le fasi del loro
farraginoso avvicinamento alla potente linea difensiva asburgica. Non
solo. Il massiccio del Cauriol domina anche l’intera Val Cia,
l’importante valico di Sadole e parte della valle che da
quest’ultimo discende a Ziano che, nei primi anni del Novecento,
rappresentava la via di comunicazione privilegiata fra la Val di
Fiemme ed il Vanoi. Per questi elementi distintivi, il Cauriol
divenne per il comando asburgico una posizione di assoluto valore
strategico. Una preziosa specola dalla quale controllare tutti i
movimenti dell’avversario e le cui vicende belliche hanno inizio
con la costruzione delle prime opere difensive imperiali nella
primavera del 1915, quando le ostilità erano solamente presagite.
Inserito nel più ampio contesto difensivo delle Fassaner Alpen, il
monte Cauriol, con le attigue cime del Cardinal e della Busa Alta, fu
nel 1916 il teatro di un’incredibile guerra d’aquile che ebbe
come protagonisti le truppe da montagna di entrambi gli eserciti, ma
anche fanti provenienti dalle regioni meridionali della penisola
italiana, dalla Bosnia-Erzegovina o dall’Ungheria. La genesi delle
operazioni contro il Cauriol è da ricercare nelle aspirazioni dei
regi comandi di ottenere quei successi che fino alla primavera del
1916, nonostante le ottimistiche previsioni anteguerra, erano
palesemente mancati. Sollecitato dall’ambizione di ricacciare sulle
posizioni di partenza le forze austro-ungariche, dilagate ben oltre i
“sacri confini” della patria durante la Strafexpedition,
l’esercito italiano schierato sul fronte del Trentino e del Cadore,
operò nell’estate del 1916 una massiccia e vasta (troppo vasta)
controffensiva che per la prima volta dall’inizio della guerra
coinvolse parzialmente anche le Alpi di Fassa. Uno sfondamento sul
lato sud-est delle difese asburgiche, se ben alimentato, avrebbe
infatti potuto minacciare il cuore del Tirolo di lingua italiana ed
il raggiungimento della Valle dell’Adige, da parte delle regie
unità, avrebbe costretto i comandi imperiali ad ordinare l’abbandono
dell’intero Trentino. In realtà, le aspirazioni sul fronte giulio
da parte del comandante di stato maggiore, generale Luigi Cadorna,
fecero si che l’attacco contro il Lagorai orientale si riducesse ad
una serie di operazioni delimitate nel tempo e nell’intensità.
Ad una prima fase operativa, concentratasi soprattutto attorno ai valichi di San Pellegrino, Valles e Rolle, dove i bersaglieri riuscirono ad espugnare l’aguzza vetta del Colbricon, ma la fanteria non ottenne successi risolutivi su Cima Bocche ed in Val Travignolo, ne subentrò una seconda che si condensò principalmente nell’alto Vanoi. È in quest’ultima che il Cauriol, ma soprattutto gli uomini che vi combatterono, salirono alla ribalta delle cronache. Lo fecero inaspettatamente gli alpini del battaglione Feltre che, coadiuvati dai commilitoni del Monrosa, nello stupore più assoluto, furono capaci dopo quattro giorni di aspra lotta, ad occupare la vetta del monte. Ma, a quasi cento anni di distanza, possiamo affermare che vi riuscirono anche i soldati ruteni ed austriaci che, al comando del tenente viennese Oskar Kurt Schmilauer, difesero ad oltranza la posizione loro affidata. Fu proprio l’attacco al Monte Cauriol, in seguito al fallimento dell’azione principale contro le cime di Cece e Valmaggiore ed i valichi omonimi, a dare agli italiani l’unica affermazione importante nella cruenta offensiva contro i bastioni porfirici della Alpi di Fassa. Un assalto che tuttavia non aveva ragioni di essere risolutivo, dal momento che secondo gli ordini impartiti dai regi comandi, l’azione contro “(…) una cima tanto ardua” doveva essere solamente dimostrativa. Quel tanto che bastasse da distogliere l’attenzione degli austro-ungarici dall’obiettivo prioritario. L’impresa contro il Cauriol avvenne con due colonne d’assalto. La prima, composta dal Monrosa e da alcune compagnie di fanteria, puntò alla vetta risalendo il costone sud-orientale; la seconda, costituita dal Feltre, aggredì il monte inerpicandosi lungo il ripido versante sud-ovest. Ma la marcia di avvicinamento all’obiettivo fu lunga, complessa e sino all’ultimo momento, nessuna delle due unità alpine, fu informata circa l’esatta meta di quella che inizialmente fu spacciata come una misteriosa esplorazione nella terra di nessuno tra l’alta Val Cia e la cosiddetta Regione colli (sud delle cime Cupolà e Litegosa). Si temeva forse che l’accidentale cattura da parte avversaria di qualche alpino o fante avrebbe potuto rivelare anticipatamente le reali intenzioni del comando italiano. In realtà tutto procedette secondo i piani ed alla sera del 23 agosto le avanguardie erano pronte all’attacco, acquattate nel fitto bosco di conifere ai piedi del Cauriol, presso Malga Laghetti. Le unità imperial-regie di stanza a Passo Sadole e sulle posizioni circostanti non si erano accorte praticamente di nulla, salvo l’aver notato e tormentato con qualche fucilata, il movimento del Feltre che nei giorni precedenti si stava trasferendo da Forcella Magna al Vallone Laghetti, passando per Malga Cupolà. In qualche modo l’ammassamento delle regie unità (Nucleo Ferrari) incaricate di assalire il tratto di fronte compreso fra Cima Cece e Cima Valmaggiore, aveva celato le sinistre manovre degli alpini effettuate all’ombra del Cauriol e la 55ª brigata da montagna asburgica non si attendeva di certo un attacco al monte. Le prime avvisaglie che qualcosa di serio stava bollendo in pentola si ebbero proprio nella notte sul 24 agosto, quando una pattuglia alla guida del tenente Schmilauer, comandante del presidio di vetta, s’imbatté nelle avanguardie degli alpini del Monrosa che lentamente si stavano avvicinando alle linee difese dai soldati del 49 reggimento di fanteria “Barone von Hess”. Il dado era ormai tratto e le penne nere, ormai scoperte, iniziarono senza indugio la loro marcia verso gli obiettivi che nel frattempo erano stati ben definiti dai comandi superiori. Iniziava in questo modo, quella che per la storiografia e la propaganda militare italiana sarebbe divenuta la battaglia più celebre delle Alpi di Fassa. Una sfida che portò alla conquista del monte da parte degli alpini del Feltre ed alla successiva epica guerra per il possesso delle vette circostanti. Cardinal e Busa Alta in particolare. Per ben tre giorni e tre notti, dal 23 al 27 agosto, la battaglia infuriò violenta sui versanti meridionali del monte e sulla vetta, avvinghiata per lunghi periodi da una densa cappa di polvere, generata dallo scoppio terrificante dei proiettili d’artiglieria e solcata dalle raffiche mortali delle mitragliatrici. Poveri soldati, austriaci, italiani e ruteni, furono accomunati da un unico tremendo destino, per il possesso di un fazzoletto di terra strategicamente insignificante, ma fondamentale secondo le tattiche in auge in quel drammatico frangente bellico. Alle 19,50 del 27 agosto 1916, la vetta del Cauriol cadeva in mano ai resti di uno sfinito plotone del Feltre che, in un ultimo disperato e sanguinoso sacrificio, riuscì a scacciare l’ormai esiguo presidio avversario. Una forza composta da pochissimi e laceri sopravissuti, al comando dell’intraprendente (ferito alla testa) tenente Schmilauer che, in un estremo sforzo di difesa, lanciò contro gli italiani le ultime bombe a mano prima di darsi alla fuga lungo la dirupata cresta occidentale, in direzione di Passo Sadole. Le riserve accorse in ritardo riuscirono solamente ad attestarsi su un frastagliato sperone roccioso ad ovest del Cauriol (quota 2396). Sommità che in seguito prese il nome Piccolo Cauriol. A nulla servirono, se non ad allungare la lista dei morti e dei feriti, i tentativi dei giorni seguenti da parte delle unità imperial-regie, rafforzate dai prestigiosi Landesschützen (le truppe da montagna dell’esercito asburgico), di rioccupare il monte. Il Cauriol rimase sino alla sconfitta italiana di Caporetto, in mano agli alpini.
Sono molti i testimoni dell’epopea di questo monte che, se dal punto di vista alpinistico non rappresenta nulla di eccezionale, dal lato umano nasconde fra le sue rocce ed i suoi anfratti, la storia di centinaia di uomini. Fra questi il cappellano militare del Feltre don Luigi Agostini, il quale, grazie ad uno scarno diario giornaliero appuntato su un taccuino e trasformato in seguito in un ben più compiuto racconto di guerra, ci tramanda un documento di straordinario interesse. Un memoriale intitolato semplicemente “Il Feltre 1915-1918” e nel quale sono narrate le vicende vissute dagli alpini da Monte Cima al Monte Grappa, passando naturalmente per il Cauriol. Dal suo racconto si apprendono molteplici particolari delle vicende che legarono indissolubilmente la montagna al Feltre, dalla conquista alla permanenza nei lunghi e rigidi mesi invernali. Un’altra dettagliata narrazione degli eventi vissuti sul Cauriol, ci perviene dall’allora tenente Schmilauer, come noto comandante del presidio di vetta fra il 23 ed il 27 agosto 1916. Sue le testimonianze che ci consentono di ricostruire, da parte asburgica, i momenti più significativi della battaglia. Non vanno poi dimenticate le opere letterarie di Carlo Basile, Paolo Monelli e Angelo Manaresi.
Dossier: memorie della Grande Guerra, Biblioteca Spinea (VE) 23 Aprile 2025
Ad una prima fase operativa, concentratasi soprattutto attorno ai valichi di San Pellegrino, Valles e Rolle, dove i bersaglieri riuscirono ad espugnare l’aguzza vetta del Colbricon, ma la fanteria non ottenne successi risolutivi su Cima Bocche ed in Val Travignolo, ne subentrò una seconda che si condensò principalmente nell’alto Vanoi. È in quest’ultima che il Cauriol, ma soprattutto gli uomini che vi combatterono, salirono alla ribalta delle cronache. Lo fecero inaspettatamente gli alpini del battaglione Feltre che, coadiuvati dai commilitoni del Monrosa, nello stupore più assoluto, furono capaci dopo quattro giorni di aspra lotta, ad occupare la vetta del monte. Ma, a quasi cento anni di distanza, possiamo affermare che vi riuscirono anche i soldati ruteni ed austriaci che, al comando del tenente viennese Oskar Kurt Schmilauer, difesero ad oltranza la posizione loro affidata. Fu proprio l’attacco al Monte Cauriol, in seguito al fallimento dell’azione principale contro le cime di Cece e Valmaggiore ed i valichi omonimi, a dare agli italiani l’unica affermazione importante nella cruenta offensiva contro i bastioni porfirici della Alpi di Fassa. Un assalto che tuttavia non aveva ragioni di essere risolutivo, dal momento che secondo gli ordini impartiti dai regi comandi, l’azione contro “(…) una cima tanto ardua” doveva essere solamente dimostrativa. Quel tanto che bastasse da distogliere l’attenzione degli austro-ungarici dall’obiettivo prioritario. L’impresa contro il Cauriol avvenne con due colonne d’assalto. La prima, composta dal Monrosa e da alcune compagnie di fanteria, puntò alla vetta risalendo il costone sud-orientale; la seconda, costituita dal Feltre, aggredì il monte inerpicandosi lungo il ripido versante sud-ovest. Ma la marcia di avvicinamento all’obiettivo fu lunga, complessa e sino all’ultimo momento, nessuna delle due unità alpine, fu informata circa l’esatta meta di quella che inizialmente fu spacciata come una misteriosa esplorazione nella terra di nessuno tra l’alta Val Cia e la cosiddetta Regione colli (sud delle cime Cupolà e Litegosa). Si temeva forse che l’accidentale cattura da parte avversaria di qualche alpino o fante avrebbe potuto rivelare anticipatamente le reali intenzioni del comando italiano. In realtà tutto procedette secondo i piani ed alla sera del 23 agosto le avanguardie erano pronte all’attacco, acquattate nel fitto bosco di conifere ai piedi del Cauriol, presso Malga Laghetti. Le unità imperial-regie di stanza a Passo Sadole e sulle posizioni circostanti non si erano accorte praticamente di nulla, salvo l’aver notato e tormentato con qualche fucilata, il movimento del Feltre che nei giorni precedenti si stava trasferendo da Forcella Magna al Vallone Laghetti, passando per Malga Cupolà. In qualche modo l’ammassamento delle regie unità (Nucleo Ferrari) incaricate di assalire il tratto di fronte compreso fra Cima Cece e Cima Valmaggiore, aveva celato le sinistre manovre degli alpini effettuate all’ombra del Cauriol e la 55ª brigata da montagna asburgica non si attendeva di certo un attacco al monte. Le prime avvisaglie che qualcosa di serio stava bollendo in pentola si ebbero proprio nella notte sul 24 agosto, quando una pattuglia alla guida del tenente Schmilauer, comandante del presidio di vetta, s’imbatté nelle avanguardie degli alpini del Monrosa che lentamente si stavano avvicinando alle linee difese dai soldati del 49 reggimento di fanteria “Barone von Hess”. Il dado era ormai tratto e le penne nere, ormai scoperte, iniziarono senza indugio la loro marcia verso gli obiettivi che nel frattempo erano stati ben definiti dai comandi superiori. Iniziava in questo modo, quella che per la storiografia e la propaganda militare italiana sarebbe divenuta la battaglia più celebre delle Alpi di Fassa. Una sfida che portò alla conquista del monte da parte degli alpini del Feltre ed alla successiva epica guerra per il possesso delle vette circostanti. Cardinal e Busa Alta in particolare. Per ben tre giorni e tre notti, dal 23 al 27 agosto, la battaglia infuriò violenta sui versanti meridionali del monte e sulla vetta, avvinghiata per lunghi periodi da una densa cappa di polvere, generata dallo scoppio terrificante dei proiettili d’artiglieria e solcata dalle raffiche mortali delle mitragliatrici. Poveri soldati, austriaci, italiani e ruteni, furono accomunati da un unico tremendo destino, per il possesso di un fazzoletto di terra strategicamente insignificante, ma fondamentale secondo le tattiche in auge in quel drammatico frangente bellico. Alle 19,50 del 27 agosto 1916, la vetta del Cauriol cadeva in mano ai resti di uno sfinito plotone del Feltre che, in un ultimo disperato e sanguinoso sacrificio, riuscì a scacciare l’ormai esiguo presidio avversario. Una forza composta da pochissimi e laceri sopravissuti, al comando dell’intraprendente (ferito alla testa) tenente Schmilauer che, in un estremo sforzo di difesa, lanciò contro gli italiani le ultime bombe a mano prima di darsi alla fuga lungo la dirupata cresta occidentale, in direzione di Passo Sadole. Le riserve accorse in ritardo riuscirono solamente ad attestarsi su un frastagliato sperone roccioso ad ovest del Cauriol (quota 2396). Sommità che in seguito prese il nome Piccolo Cauriol. A nulla servirono, se non ad allungare la lista dei morti e dei feriti, i tentativi dei giorni seguenti da parte delle unità imperial-regie, rafforzate dai prestigiosi Landesschützen (le truppe da montagna dell’esercito asburgico), di rioccupare il monte. Il Cauriol rimase sino alla sconfitta italiana di Caporetto, in mano agli alpini.
Sono molti i testimoni dell’epopea di questo monte che, se dal punto di vista alpinistico non rappresenta nulla di eccezionale, dal lato umano nasconde fra le sue rocce ed i suoi anfratti, la storia di centinaia di uomini. Fra questi il cappellano militare del Feltre don Luigi Agostini, il quale, grazie ad uno scarno diario giornaliero appuntato su un taccuino e trasformato in seguito in un ben più compiuto racconto di guerra, ci tramanda un documento di straordinario interesse. Un memoriale intitolato semplicemente “Il Feltre 1915-1918” e nel quale sono narrate le vicende vissute dagli alpini da Monte Cima al Monte Grappa, passando naturalmente per il Cauriol. Dal suo racconto si apprendono molteplici particolari delle vicende che legarono indissolubilmente la montagna al Feltre, dalla conquista alla permanenza nei lunghi e rigidi mesi invernali. Un’altra dettagliata narrazione degli eventi vissuti sul Cauriol, ci perviene dall’allora tenente Schmilauer, come noto comandante del presidio di vetta fra il 23 ed il 27 agosto 1916. Sue le testimonianze che ci consentono di ricostruire, da parte asburgica, i momenti più significativi della battaglia. Non vanno poi dimenticate le opere letterarie di Carlo Basile, Paolo Monelli e Angelo Manaresi.
Dossier: memorie della Grande Guerra, Biblioteca Spinea (VE) 23 Aprile 2025
Commenti
Posta un commento