Sull'Ortles vino e tabacco per gli austriaci
Ad
avviare lo scambio gli alpini bergamaschi dopo un capodanno
festeggiato col nemico sulla Cima Trafoi.
Nelle
pause della terribile Guerra Bianca anche episodi di solidarietà.
Gruppo
dell'Ortles, 14 ottobre 1918: mancano tre settimane al termine della
prima guerra mondiale, ma su queste cime nessuno ancora lo può
immaginare. Quassù, fra i 3.600 ed i 3.900 metri d'altezza, non
arrivano né i passaparola né i “si dice”. Nulla immaginano gli
osservatori d'artiglieria italiani, appollaiati da mesi sulla cresta
della Thurwieser Spitze, tanto sottile da sembrare una lama. Nulla
immaginano i Kaiserjaeger austriaci, dentro la grotta di ghiaccio in
cima al San Matteo da loro appena riconquistato. Nulla immaginano,
mentre affrontano le pareti vetrate della Koenigsspitze (Gran Zebrù),
le due corvée d'appoggio ai nidi d'aquila italiano ed austriaco,
abbarbicati sulla cima a trenta metri di distanza l'uno dall'altro.
Sono
le 14, da qualche ora l'aria è stranamente afosa, molle, immobile;
la temperatura elevatissima, tanto che il vetrato che ricopre la
parete inizia a sciogliersi; il cielo è del colore e del peso del
piombo, ed i membri delle corvée faticano più del solito, il loro
respiro è affannoso, le gambe deboli. Improvvisamente fucili, corde
ferrate, elmetti, proiettili, scarponi chiodati e ramponi, gavette e
posate, tutto quanto vi è di metallico, viene percorso da una
terribile scarica elettrica. I capelli si rizzano in testa, soldati
vengono sbalzati giù dalla parete, le bombe ed i proiettili
esplodono. Dal fondo della Val Zebrù, preceduto da un terribile
boato, si leva un vento fortissimo che travolge tutto. Si scatena
l'uragano.
Duemila
fulmini e raffiche a duecento chilometri l'ora spazzano per quaranta
minuti la montagna e tutto quello che vi si trova: le baracche di
presidio sulle cime volano negli abissi, i fili del telefono sono
percorsi da micidiali scariche di corrente elettrica, esplodono il
deposito munizioni austriaco sul retro dell'Ortles e quello dei razzi
segnalatori italiani sulla cima della Trafoier Eiswand; dal passo del
Cevedale partono due slavine di ghiaccio e roccia che si abbattono su
Solda, radendo al suolo il Centro comando austriaco; la Capanna
Milano, sede del Comando Gruppo Arditi della Val Zebrù, prende
fuoco.
Su
queste montagne i soldati dovettero fare i conti con il più temibile
dei nemici: il freddo polare, l'enorme quantità di neve, i ghiacciai
sempre battuti dal vento, l'elevata altitudine e le continue slavine.
Un ambiente che rese quasi impossibile la sopravvivenza.
Fu
una guerra di pattuglie, di scalatori e montanari, e non mancarono
all'appello i bergamaschi. Infatti, su questo fronte di guerra, a
fianco di noti personaggi come i milanesi Viola e Bertarelli (poi
fondatore dell'Associazione Nazionale Alpini), i valtellinesi
Compagnoni e Tuana Franguel (prima guida della leggendaria pattuglia
guide ardite della Val Zebrù), il mantovano Arnaldo Berni (il
capitano sepolto dal ghiaccio), stanno nomi storici della nostra
terra; il capitano Nino Calvi, straordinario organizzatore è guida
dei primi reparti “skyatori”; Giacomo Pesenti, che quasi da solo
scacciò il presidio austriaco dalla vetta della Cima Trafoi; Renzo
Cortinovis, membro della colonna Venturini nell'assalto al San
Matteo; Ubaldo Riva, volontario di guerra e poi famoso avvocato; e
soprattutto Carlo Locatelli, fratello di Antonio, del quale è
impossibile enumerare tutte le imprese: fra le altre, guidò la
conquista della Punta Thurwieser e l'assalto al Passo Cevedale;
occupò in solitudine l'anticima del Gran Zebrù; attrezzò la parete
verticale del Grosse Eiskogeln, e soprattutto visse da solo, isolato
per quattro mesi in cima al mondo in una tenda all'Ortlerpass, vera
spina nel fianco delle retrovie austriache.
Di
due bergamaschi meno noti, ma valorosi quanto il Locatelli, vale la
pena di ricordare due episodi.
Giacomo
Perico, tenente, attendente del capitano Berni durante la tragica
difesa del San Matteo, aveva nei mesi precedenti partecipato alle
imprese sullo Scorluzzo ed il Cristallo. Il pomeriggio del 31
dicembre 1917, alle esterefatte pattuglie italiane che, quasi
assiderate, presidiavano la Cima Trafoi, apparve, durante una bufera
di neve, la visione di un fantasma carico di doni: questi altri non
era che il Perico, il quale aveva voluto rinunciare alla licenza
natalizia per trascorrere il Capodanno insieme ai suoi soldati.
Scrostatosi
il ghiaccio di dosso e abbandonato lo zaino colmo di viveri, e
soprattutto vino, proseguì verso la trincea nemica, dove invitò una
pattuglia austriaca a partecipare ai festeggiamenti. Venne acceso un
fuoco, vennero scambiati doni e pane in cambio di tabacco. Ancora
oggi, se da quelle parti balugina un fuoco notturno, la gente del
posto pensa sia il Perico, che sfidò con quel gesto le artiglierie
di ambo le parti, dando uno schiaffo alla guerra e a tutto quello che
essa rappresenta.
Vincenzo
Gazzaniga, membro di spicco delle guide ardite della Val Zebrù,
amico della guida Nino dell'Andrino, di Chiesa Valmalenco, si
distinse nell'occupazione della Punta Thurwieser e soprattutto
nell'assalto al San Matteo, con la colonna Venturi, durante il quale
giunse per primo in vetta al Monte Mantello e forse anche al San
Matteo stesso. Eroe di guerra.
Nel giugno del 1917 Vincenzo
Gazzaniga presidiava la vetta del Cristallo, agli ordini dell'allora
tenente Berni. Le postazioni italiana ed austriaca erano divise da
una sottile cresta di ghiaccio, lunga un centinaio di metri e larga
non più di mezzo. Lungo questa cresta, a 3.500 metri di quota, da
due mesi fioriva fra italiani ed austriaci, organizzato dai due
bergamaschi, un amichevole scambio di viveri e soprattutto di vino e
tabacco. Le scorte di vino calavano paurosamente, cosicché venne
organizzato un controllo da parte di una pattuglia dei carabinieri.
Giacomo Perico e il collega austriaco vennero colti sul fatto e
quest'ultimo fu fatto prigioniero ed ammanettato.
Da
una buca nel ghiaccio sbucò allora improvvisamente Vincenzo
Gazzaniga, il quale, fucile puntato, ordinò di lasciar libero
l'austriaco, perché quello “era l'accordo”, disse e aggiunse:
“Chi non rispetta gli accordi è meglio che scivoli giù dal
canalone”, indicando ai carabinieri l'abisso. Si accomiatò
dall'austriaco con un abbraccio.
Conferenze
sulla Prima Guerra Mondiale, Università Popolare Mestre
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