Vita e morte in trincea
"Ora voglio dirti come sono salvo per miracolo: ora posso dirlo che son già passati 2 mesi dall'accaduto. Il giorno 17 giugno, chiamo presso di me il soldato compaesano Pillarella Domenico e gli domando se nella sua Compagnia c'è un barbiere, perché il mio mi scortica il viso quando rade, così egli mi manda il sodato Di Niro di Campobasso. Siamo a qualche metro distante dalla trincea sotto un piccolo sgabuzzino coverto di frasche e di terra per difenderci dalle pallette di srapnel.
Il barbiere conversando con me, ad un ceto punto mi damanda: “Signor Tenente, quando vorrà finire questa guerra?” gli rispondo: “Il mio Capitano spesso mi dice che per Natale saremo fuori”. Ah! Signor tenente, io penso che qui moriremo tutti e la guerra non finisce mai”.
In quest'istesso istante arriva una granata, mentre mi sta facendo il contropelo. Il soldato cade fulminato ed io rimango illeso; mi sento la testa un po' bagnata; allungo la mano e nientemeno prendo un pugno di cervello. Intanto, avvertito, accorre Pillarella, mi getta sulla testa un bidone d'acqua. “Non è nulla signore tenente” è di certo il cervello di quel disgraziato. Aggiungo che la giubba vicino a me, è addirittura crivellata di schegge, la pistola e la borraccia colpite anch'esse e traforate. Io, ripeto, miracolosamente illeso.”
Francesco Bucci, Monte Podgora, Carso, 17 agosto 1915.

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