Legati alle mitragliatrici, monte Santa Caterina Slovenia 15 giugno 1916

L’artiglieria italiana che per ben sette ore aveva rivolto le sue bocche da fuoco su quelle posizioni sconvolgendole, a mezzogiorno allungò il tiro, ed allora noi muovemmo all’assalto, con alla testa il  Comandante del reggimento : T. Colonnello Menna ed il Comandante la Brigata Benevento Maggiore generale Maggi.
Superata quella salita le compagnie assalitrici catturarono i pochi austriaci superstiti, che, orribile a dirlo, la miglior parte mitraglieri, erano legati alle proprie armi per impedire che avessero abbandonato la linea. Le sezioni mitraglieri, che con le armi e altro materiale alle spalle, seguivano le compagnie d’assalto, quando potettero giungere su quel cocuzzolo, lo trovarono quasi deserto, poiché le truppe d’assalto nella foga della corsa avevano di già oltrepassata la linea nemica sconvolta e raggiunto una retrolinea, che il nemico aveva anche abbandonato ritirandosi in migliore posizione.
Io facevo parte della 3^ sezione mitraglieri e appena giunti sul margine di quel monte, ci fu ordinato di impostare l’arme, e già il servente di sinistra (certo Rainone, nativo di S. Giorgio la Montagna) aveva situato il treppiede ed io stavo incastrandovi la mitragliatrice, quando una granata nemica, proveniente da Monte Santo, scoppiò alla distanza di circa 5 metri da noi, ed una scheggia di quel proiettile mandò in frantumi il treppiede, ed il soldato Rainone rimase ferito al braccio a alla gamba destra, riportando anche uno squarcio profondo alle costole del lato destro.
L’arme che io tenevo in mano riportò guasti all’apertura di caricamento, ed io stesso ebbi una forte scossa.
Ero rimasto quasi stordito e mentre contemplavo perplesso quell’incidente, un soldato che si trovava sdraiato un po’ sottostante, mi avvisò che dalla mia mano destra usciva del sangue. Nell’agitazione prodottasi da quel colpo, non mi ero accorto d’essere rimasto ferito, ma poi ne riferii al Tenente, il quale mi disse: “Giacchè sei ferito scappa al posto di medicazione”. Non sentii altro, e tra il fragore terrificante di fuoco d’ogni specie scappai.
Correvo all’impazzata, quando giunto alla sconvolta trincea che era stata degli austriaci, la scavalcai d’un salto trovandomi all’improvviso in un groviglio di reticolati abbattuti, e che prima della lotta proteggevano quella trincea nemica.
Il momento era terribile perché il nemico tirava su quel terreno sconvolto, ed io che mi aspettavo la morte da un momento all’altro, feci uno sforzo per districarmi dal quell’infernale posizione, per cui mi trovai a capitombolo fra uno stuolo di cadaveri giacenti in quel punto.
Correvo ancora quando mi sentii chiamare, e voltatomi, vidi al riparo di una roccia tre soldati del Genio Zappatori, e che mi invitarono a rimanere momentaneamente con loro. Accettai, tanto più per ripigliar respiro, e mentre stavo li una grossa scheggia di granata austriaca, scoppiata a pochi passi, staccò netto un braccio ad uno di quei tre soldati. Ancora sotto l’incubo della battaglia, e nel veder quell’accidente, mi mossi quasi trasognato, spiccando quasi a volo, una corsa veloce percorrendo un sentiero terribilmente battuto dalle artiglierie austriache.
Per lo stesso sentiero, veniva a me d’incontro un reparto di truppa del 212° Fanteria che si recava a rinforzare le fila assottigliate delle truppe sulla linea del fuoco. L’artiglieria nemica che controbbatteva la nostra con fragore indescrivibile, puntò i suoi pezzi su quella truppa marciante, decimandola, ma non arrestandone l’impeto.
Correvo sempre con la volontà di portarmi fuori da quell’inferno, quando scorsi ad una certa distanza un soldato portaferiti, con sotto il braccio una barella, e che si recava alla linea del fuoco. Era costui giunto a pochi passi da me, quando un proiettile nemico scoppiatogli proprio vicino lo fece rovesciare su di se stesso rendendolo cadavere. Io stesso rimasi avvolto nel fumo prodotto da quella granata e correndo ancora, scavalcai, quasi senza vederlo, quel corpo esamine, e poco dopo giunsi al posto di medicazione, che era stato impiantato in un casolare. Rallentai la corsa, mi fermai, e quindi entrai in quel luogo, ove sull’impiantito vidi molti altri soldati feriti gravemente, dei quali alcuni mutilati ed in attesa di medicazione. Pensavo allora alla sofferenza delle mia ferita, ed impressionato guardavo perplesso quei poveretti quando un tenente medico mi chiamò, e domandò che cosa volessi.
Risposi che ero ferito, ed allora lui soggiunse:” E a chi aspettate?” Replicai che in vista di quei feriti più gravi, non credevo opportuno disturbarlo, ma lui ripigliò: “ Vieni avanti!!” e così cominciò a medicarmi. Mentre eseguiva l’operazione, accortosi che io tremavo, con voce forte ed aspra pronunziò: “Cosa avete voi?” Per lo stato d’animo in cui mi trovavo, quella voce suonò al mio orecchio qual rombo di granata, e preso come da spavento mi rannicchiai, quasi svenuto.
Dal diario di Giovanni Varricchio militare, 134° reggimento fanteria, brigata Benevento


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