Una svolta tattica vincente

Dimenticare il Milan era il mantra alla vigilia del match contro il Genoa.
Un pensiero fisso che, dalla mente di Eusebio Di Francesco, è passato nelle teste dei giocatori, che sabato in campo hanno dato subito l'idea di voler dimostrare al pubblico del Penzo di essere una squadra vera, non l'undici tremebondo e insicuro strapazzato a San Siro dalla furia rossonera una settimana fa.
Scrollarsi di dosso la “scimmia” di quel devastante 0-4 era quantomai necessario al Venezia per non deprimere ulteriormente un ambiente già non al massimo dell'euforia, per usare un eufemismo, con una classifica fin lì deficitari (1 punto in 4 gare) e la miseria di un solo gol segnato, seppure a fronte di prestazioni non certo negative, San Siro a parte.
Aver lasciato ora a Cagliari e Como (ieri sera di scena a Bergamo) il cerino dell'ultimo posto consente almeno di dare un bel respiro ai polmoni dell'ottimismo in ottica futura, allontanando così il pericolo di una spirale negativa che inevitabilmente si sarebbe innescata in caso di un altro rovescio. Soprattutto se accompagnato da una partita non all'altezza delle aspettative. Se tutto ciò non è accaduto, oltre agli indubbi meriti dei giocatori in campo, capaci di interpretare il match nella maiera più efficace e convincente (Busio su tutti, va detto) va riconosciuta ad Eusebio Di Francesco la capacità di aver saputo opportunamente modificare in corso di opera la sua squadra scegliendo il momento giusto. E probabilmente facendo tesoro di quanto aveva potuto osservare con i suoi occhi nel secondo tempo del Meazza dove il Venezia aveva mostrato maggiore equilibrio e più solidità, rispetto al disastroso primo tempo.
Modulo
Da lì è partita la scelta di lasciare da parte il 3-4-2-1 adottato da inizio stagione, per riabbracciare il sistema di gioco "vanoliano" quel 3-5-2, anche se sarebbe più corretto parlare di 5-3-2, vista la posizione più bloccata dei due esterni alti utilizzati col Genoa, Zampano e Haps, che ha fatto la fortuna del Venezi nelle ultime due stagioni. Prima col prodigioso recupero dai bassifondi della classifica fino ai playoff, e l'anno dopo con la straordinaria cavalcata culminata con la promozione in serie A. Una scelta intelligente e saggia quella del tecnico pescarese, che ha recuperato d'un colpo tutto un patrimonio di conoscenze calcistiche della sua squadra, di movimenti ormai mandati a memoria in tante partite ed un modo consolidato nel tempo di interpretare le varie fasi di gioco, sia in fase difensiva che offensiva.
Del resto basta dare un'occhiata alla formazione mandata in campo dall'inizio, composta per ben nove undicesima da giocatori protagonisti l'anno scorso di un csmpionato di assoluto livello, per capire che sarebbe stato più semplice per loro rituffarsi in un sistema di gioco ormai metabolizzato. Un pò come rimettere le vecchie, ma comodissime scarpe con cui si sono fatti di corsa decine di chilometri, lasciando a parte le nuove, belle ma che ancora non hanno preso la forma del piede. Certo Di Francesco non si è limitato a fare il copia&incolla, ma ci ha messo del suo. Chiedendo ad esempio ai due esterni di partire in fase di non possesso dalla linea della difesa a tre (con Vanoli giocavano invece all'altezza dei centrocampisti) per garantire maggiore copertura e limitare i rischi di essere infilato sulle corsie laterali, specialità del Genoa.
E chiedendo maggiore attenzione difensiv ai centrocampisti, senza però limitarne la capacità di rendersi pericolosi davanti. Busio con le sue incursioni da marine, Ellertson nel trovare spazio tra le due linee rossoblu per cercare il dialogo con Pohjanpalo. E senza rinunciare alla costruzione dal basso e allo sviluppo della manovra soprattutto per vie centrali, cioè i principi di gioco più cari al tecnico. Vero che, come giustamente sottolinea Di Francesco, non basta il modulo a stravolgere una squadra, perchè ciò che maggiormente conta è l'atteggiamento dei giocatori, lo spirito con cui lo interpretano in campo. Nè si può parlare di abiura definitiva del 3-4-2-1, che può invece tornare utile in altri contesti e con altre  avversarie.
Ciò che conta davvero è che il Venezia ha ritrovato se stesso arrembante, ma senza rischiare troppo, proprio come chiedeva l'allenatore alla vigilia. La sfida è mantenere da qui in avanti lo stesso volto. 

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