La conquista di San Martino e San Michele - Oppacchiasella, Opatje selo, Slovenia

Il giorno 6 il mio Reggimento fu destinato di andare all’assalto. A costo di qualsiasi perdita si doveva assolutissimamente conquistare la prima linea nemica.
Verso le ore 10 antimeridiane del giorno 6, la VI e la VII Compagnia andammo all’assalto. Da parecchi punti in cui l’artiglieria nostra aveva rotte le trincee e saltati in aria i reticolati, da quei punti si potette penetrare nelle trincee, facendo prigionieri quei pochi soldati austriaci che la difendevano. Ma in altri punti non si poteva entrare, che il nemico la difendeva accanitamente.
Per la bellezza di ventidue ore si dovette combattere a corpo a corpo col nemico, ma al mattino del 7 ci impadronimmo prima con l’espugnazione del Monte Cappuccio , che lo conquistò il 9° e il 10° Fanteria Brigata Regina. Poi cadde nelle nostre mani il famoso San Martino, causa che il nemico, veduto che non io potevano difenderlo più, lo abbandonarono e si raggrupparono a difendere il San Michele.
Intanto noi, conquistata la prima linea nemica, ad un fiat andammo alla seconda, poi alla terza.
Intanto i nostri Reggimenti incominciarono a piegare alla nostra sinistra, finalmente circondammo il San Michele e, dopo quattro ore di accanito corpo a corpo, il nemico dovette persuadersi ed arrendersi alle nostre mani; conquistammo facendo oltre 800 prigionieri e tanti e tanti feriti, e morti che giacevano distesi a terra.
Appena che fummo padroni del famoso San Michele, incominciammo ad avanzare a compagnie affiancate. In quel momento tanta che era la contentezza di ogni italiano, che sembrava un sogno a camminare sopra ad un terreno scoperto senza trovare nessuna resistenza nemica. Di tanto in tanto trovavamo delle grandi gallerie scavate sotto terra e sotto i monti, e sotto a queste gallerie erano delle brande con i loro pagliericci, che forse dormivano gli ufficiali nemici, e i bordi per dormire i soldati; avevano il ventilatore elettrico con la luce e tanti altri preparativi impensabili in una zona di guerra.
Dentro queste gallerie, tanto per la loro grandezza, potevano benissimo riposare dei Battaglioni, sicurissimi che le loro granate, bensì che scoppiavano là sopra, non facevano un sol centesimo di danno.
Tutto il giorno 7 e tutta la notte, avanzammo più di dieci e dodici chilometri senza essere molestati dal nemico, e nemmeno trovare la loro traccia, e lo sorpassammo senza veder nessuno.
Alla mattina, prima che incomincia a fare il giorno, dell’8 agosto arrivammo dentro ad un grande bosco, sicurissimi che là dentro ci aspettava il nemico. Furono distaccate delle grosse pattuglie, penetrarono nel bosco e non si vedeva nulla. Seguitammo ad avanzare.
Appena sorpassato questo bosco, incominciammo a discendere in una grande vallata dove, nel centro, si vedevano tanti fabbricati, e un mondo di ricoveri di legno, dove sicurissimo che qualche Reggimento nemico a quel punto passava il suo riposo.
Appena che la nostra avanguardia penetrò dentro a questi fabbricati, e non trovando nessuna ombra umana, solo ammucchiamenti di depositi, di munizioni, di granate, che il nemico li aveva abbandonate, venne l’ordine di andare avanti. [...]
Pochi minuti dopo andammo all’assalto; appena arrivati alla trincea nemica dovettimo retrocedere, con sensibili perdite da parte nostra, tanto per la resistenza nemica.
Già venuta la sera, dovettimo fermarci e costruirci un ricovero davanti, un muro di sacchetti di terra, e formammo una buona linea nostra, tanto per ripararci dalle pallottole nemiche.
Il giorno dopo venne l’ordine di avanzare assolutissimamente, acciocché il nemico non più avrà il tempo a costruirsi.
Ci fecero andare all’assalto, ma come le onde del mare vedevi a noi andare un po’ avanti e un po’ indietro, veduto e constatato che il nemico trovasi in forze più di noi; e poi alla destra di Opacchiasella si trovava un bosco grande, che si chiamava il bosco Lancia, dove il nemico aveva attaccate tonnellate di filo di ferro, e perciò ogni tentativo nostro era invano. Perciò dovettimo restare a questo punto a costruire alla meglio dei camminamenti, acciocché collegarci con gli altri reggimenti che erano ai fianchi nostri.
Rafforzammo la nostra linea lavorando notte e giorno, come pure il nemico si sentiva lavorare per costruire e rafforzare le loro linee.
Continuamente arrivavano i nostri rincalzi, e ci informavano che i nostri hanno sorpassato la città di Gorizia, trincerandosi su una magnifica posizione. Queste notizie ci confortarono, che ognuno di noi lavorava, e passavano giorni contenti, pensando alla vittoria che ci aveva incoronati.
Dal diario di Antonio Santo Quintino Preite militare, 47° reggimento fanteria, brigata Ferrara, Caporale, poi sergente

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