La seconda battaglia dell'Isonzo [vissuta dagli austriaci parte II]
Alle
4 del mattino del 18 luglio, un uragano di fuoco tale, certo, da non
sfigurare con i bombardamenti delle Fiandre e della Champagne, segnò
il prologo della seconda battaglia dell'Isonzo. La pianura
fiammeggiava d Gorizia fino all'Adriatico, vomitando ferro rovente
contro la cresta delle alture.Per la prima volta i soldati
austroungarici conobbero quell'indescrivibile tortura che il fuoco
tambureggiante costituisce per il sistema nervoso: ottanta, cento,
centoventi scoppi di proiettili al minuto sull'esiguo settore
occupato da una sola compagnia! Il fuoco imperversò per ore e ore.
Pareva che questa volta la tortura non dovesse più finire. Carrate
intere di ferro rovente piombavano sulle linee, frantumando le rocce
e lanciandole in alto in migliaia di zampilli sassosi. Un fumo denso
e tenace si alzava come una muraglia lungo il crinale delle colline;
le nuvolette delle shrapnel vi stavano sospese sopra simili a
gomitoli di un biancore abbagliante, sfacendosi lentamente. Bastarono
brevi quarti d'ora perchè i reticolati fossero nuovamente schiantati
e i parapetti spazzati via. Le sentinelle avanzate stavano acquattate
o correvano qua e là, tentando di ripararsi, cadendo, restando al
fine sepolte.
Altri
compagni subentravano. Quasi nessuno riusciva a compiere incolume il
proprio turno. La morte li afferrava scaraventandoli a spiaccicarsi
al suolo, li lasciava lì ridotti a grumi sanguinolenti e viscidi,
orribilmente mutilati. E, accanto a loro, quelli che li seguivano al
posto di vedetta...Quindi altri ancora...Una lunga catena di destini
spezzati, come avviene soltanto là dove l'uomo infuria contro
l'uomo. Soltanto i più fortunati morivano sul colpo. Molti altri
giacevano semisepolti sotto cumuli di sassi e grovigli di filo
spinato, feriti gravemente, impotenti a trascinarsi fuori del cerchio
ardente della distruzione, gridando e gemendo smarriti. E molti altri
venivano raccolti, trasportati nei ricoveri e medicati, benchè ormai
senza speranza di sopravvivere, e tutto il cameratismo e tutto
l'amore del prossimo non facevano altro che prolungarne il martirio.
Il
terreno, fin dove lo sguardo poteva arrivare, sembrava tutto un
gorgogliare di mare infuriato. Dalle conche e dalle doline si alzava
un vapore denso, come dal cratere di un vulcano. Talvolta il sole
appariva simile a un disco giallo miele attraverso il fumo che saliva
rapidamente, e pareva che annunciasse la fine del mondo. Ma subito
dopo riprendeva a splendere implacabile e illuminava di una luce
spietata lo strazio circostante per ore, per molte ore.
Le
dodici battaglie dell'Isonzo di Fritz Weber – edizioni Mursia
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