Avevo di fronte un uomo. Un uomo!
Il
nemico, il nemico, gli austriaci, gli austriaci!... Ecco il nemico ed
ecco gli austriaci. Uomini e soldati come noi, fatti come noi, in
uniforme come noi, che ora si muovevano, parlavano e prendevano il
caffè, proprio come stavano facendo, dietro di noi, in quell'ora
stessa, i nostri stessi compagni. [...] E, verso le 10 o le 11,
avrebbero anche consumato il rancio, esattamente come noi. Forse che
il nemico può vivere senza bere e senza mangiare? Certamente No!
[...] Ci erano tanto vicini e noi li potevamo contare, uno per uno.
Nella trincea, fra due traversoni, v'era un piccolo spazio tondo,
dove qualcuno, di tanto in tanto, si fermava. Si capiva che
parlavano, ma la voce non arrivava fino a noi. Quello spazio doveva
trovarsi di fronte a un ricovero più grande degli altri, perché
v'era attorno maggior movimento. Il movimento cessò all'arrivo d'un
ufficiale. [...] Macchinalmente, senza un pensiero, senza una volontà
precisa, ma cosí, solo per istinto, afferrai il fucile del caporale.
Egli me lo abbandonò ed io me ne impadronii. Se fossimo stati per
terra, come altre notti, stesi dietro il cespuglio, è probabile che
avrei tirato immediatamente, senza perdere un secondo di tempo. Ma
ero in ginocchio, nel fosso scavato, ed il cespuglio mi stava di
fronte come una difesa di tiro a segno. Ero come in un poligono e mi
potevo prendere tutte le comodità per puntare. Poggiai bene i gomiti
a terra, e cominciai a puntare.
L'ufficiale
austriaco accese una sigaretta. Ora egli fumava. Quella sigaretta
creò un rapporto improvviso fra lui e me. Appena ne vidi il fumo,
anch'io sentii il bisogno di fumare. Questo mio desiderio mi fece
pensare che anch'io avevo delle sigarette. Fu un attimo. Il mio atto
del puntare, ch'era automatico, divenne ragionato. Dovetti pensare
che puntavo, e che puntavo contro qualcuno. L'indice che toccava il
grilletto allentò la pressione. Pensavo. Ero obbligato a pensare.
[...] Non avrei potuto essere piú calmo, in una camera di casa mia,
nella mia città.
Forse,
era quella calma completa che allontanava il mio spirito dalla
guerra. Avevo di fronte un ufficiale, giovane, inconscio del pericolo
che gli sovrastava. Non lo potevo sbagliare. Avrei potuto sparare
mille colpi a quella distanza, senza sbagliarne uno. Bastava che
premessi il grilletto: egli sarebbe stramazzato al suolo. Questa
certezza che la sua vita dipendesse dalla mia volontà, mi rese
esitante. Avevo di fronte un uomo. Un uomo!
Un
uomo! [...] Il caporale si stringeva al mio fianco. Gli porsi il
calcio del fucile e gli dissi, a fior di labbra:
-
Sai... cosí... un uomo solo... io non sparo. Tu, vuoi? Il caporale
prese il calcio del fucile e mi rispose:
-
Neppure io.
Rientrammo,
carponi, in trincea. Il caffè era già distribuito e lo prendemmo
anche noi.
da
Un Anno sull'Altipiano di Emilio Lussu
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