Le testimonianze di un anno di sofferenze. Si arrivò a uccidere per due chili di farina.

La guerra l'hanno vinta le cantine di Conegliano”. Con gli occhi ammiccanti Sofia Acerboni di Roncade, afferma una verità condivisa dalla gente. “I prigionieri, dopo la battaglia del solstizio di giugno, arrivavano qui tutti sbronzi”. Nelle case invase, in Friuli e poi giù fino al Piave, la prima tappa, per tedeschi e austriaci, era la cantina. Una farsa che si ripete, “girata” da un regista senza fantasia. A Vittorio Veneto, l'8 novembre del '17 i tedeschi ubriachi lasciano scorrere il prezioso liquido fuori dalle botti, dopo aver fatto naturalmente il pieno, ad allagare la cantina.
A Conegliano il 7, si beve a garganella, botti rovesciate, pozzanghere e leghetti di vino lungo la strada. La popolazione, a quel quadro, ripete l'antico motto: “Sogliole fritte e vin di Conegliano”.
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Con la filosofia “c'est la guerre, mon ami”, cucine, cantine solai vengono razziati e saccheggiati a più riprese. Dopo gli sperperi dei primi giorni in cui hanno bruciato le provviste di un'annata ricca e abbondante, quella del '17, anche gli invasori sentono i morsi della fame. Il Veneto, per l'Austria stremata, è il paese di Bengodi. “Uccidevano per un tozzo di pane” ricorda malvolentieri Maria Gatto di Oderzo – Una volta mia mamma aveva appena fatto polenta e fagioli. In un attimo l'hanno rubata dalla tavola e mangiata. Si saranno pure scottati. Un nostro vicino, Pietro, aveva un paio di chili di farina. L'hanno inseguito per i campi, non si è fermato e gli hanno sparato. E io ho visto.
Le violenze seguono un canovaccio crudele. A Carpesicca una ragazza viene uccisa perchè non vuole cedere la vacca. A Fratta, un vecchio grida “W l'Italia”. Un tedesco gli infila la pistola in bocca, e spara. Per il “nonno” i paesani faranno una lapide. La preda più ambita sono comunque le donne. A Campion, papà e mamma Ghirardo, i primi giorni di novembre, vengono uccisi dai tedeschi mentre difendono le figlie dall'assalto. Il parroco di Mosnigo, don Frare, inventa un sistema d'allarme, un rudimentale telefono, un filo che unisce due pezzi di ferro, per lanciare l'SoS fra le case. Ma non basta.
Organizza una ronda notturna di tutti gli uomini validi del paese intorno alle case per difendere le donne. Neppure le vecchie di 80 anni evitano lo stupro. Fanni Biasi, di Zenon di Piave, racconta di una vecchia, pesta e sanguinante, riversa sull'argine S. Marco. Soccorsa dai paesani racconta la violenza subita. Qualche volta sono i tedeschi a rimetterci le penne. A Confin una ragazza, aggredita da due soldati, con una scure fracassa la testa a uno, costringendo l'altro a scappare a gambe levate. Ad una morte atroce assiste Maria Gatto, allora bimba di 8 anni: “Avevano preso una ragazza pensando fosse una spia. Non parlava, così l'hanno torturata, facendole il solletico sotto i piedi. Fino a farla morire. Noi bambini tutti intorno , costretti a guardare, a far da pubblico”. Sulle donne si scarica la violenza e la beffa.
La storia di una donna ricorre nei diari, quasi un archetipo: Cterina Arrigoni, maestra di Valdobbiadene, profuga a Tarzo, scrive nel diario di aver raccolto una testimonianza di 4 donne, ancora sotto choc, di ritorno da Torre di Mosto, andate per procurare cibo. Una donna bellunese, con a casa 9 figli, di ritorno dalle Basse, dove è riuscita a procurarsi 20 chili di granoturco viene fermata dagli austriaci sul ponte del Livenza. Stuprata e derubata. Torna indietro. Baratta orecchini e fede nuziale. Ma sul ponte stessa sorte. Alla terza volta impazzita dal dolore, si getta nel fiume. I frutti degli stupri del resto sono parecchie centinaia, se solo a Oderazo si parla di 40 “bastardini”. Tanto che poi il governo emise un decreto per istituire gli orfanotrofi per gli illegittimi.
da Veneto '15-'18 La Guerra in casa


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