Mi dicevo: qui bisogna morire

Duilio Faustinelli
 racconta assalti, paura, morti, autolesionismo a Cave di Selz, Ronchi dei Legionari (GO) il 22 giugno 1915
La guerra è scoppiata da meno di un mese, il fuciliere della Brigata Pinerolo Duilio Faustinelli è in trincea tra Monfalcone e le Cave di Selz. È notte, sta per iniziare il primo attacco.
Danno l'ordine, di avanzare, prima si doveva calarsi giù per un pendio: non si è fatto che quattro sbalsi a carponi, che il nemico mi scopriì, e allora è stato una tempesta di piombo, a ridosso su di noi, poveri infelici, perciò centinaia di bocche gridavano: Aiuto Aiuto, portaferiti, salvatemi, chi chiamava la mamma, chi la sposa, il papà, insomma cose che facevano, ribrividire chi è morto sul colpo, chi era gravemente ferito, pochi erano i superstiti. Insomma era una desolazione di spavento, chi non ha provato e visto non può credere, un vero sfacelo; poi io, invece di retrocedere, mi sono portato più avanti, di modo che mi sono portato fuori del tiro nemico, ma camminavo come fanno i caprioli, tutto angosciato del vero spavento, non cera da scherzare, e di qui trovai una specie di trincea fatta di sacchetti di terra dove di notte ci si metteva i piccoli posti avanzati, era apenna della larghezza di circa due o tre metri, e  lì mi buttai contro di traverso ma non ne potevo più, e arsito dalla sete chi mi bruciava il proprio petto e  più in alto a retro di me, si sentiva a ancora tanti, a gridare aiuto, aiuto, portaferiti, che contendevano colla vita e la morte, perciò io per il grande spavento non sapevo più cosa mi facevo, dicevo tra me qui bisogna morire, o a un modo o all'altro, ed io pensai di mettere il mio fucile in posizione di sparo e cociuto che volevo ferirmi ad una mano, per poi eclisarmi al'ospedale, ma lo spirito santo non mi a concesso, perché se fosse stato di spararmi per di più a bruciapelo, poteva subentrare il tetano poi mi avrebbe riconosciuto, e così mi mandavano alla fucilazione, cose dell'altro mondo perciò un qualche santo mi a protetto a tenermi la mano sulla testa.
Poi in sul fare della sera son venuti avanti ancora parecchi superstiti, di cui mi sono messo insieme anchio ed era proprio il mio reparto, e siamo avanzati di nuovo; il mio tenente che si chiamava Dipalma m'aveva promesso una decorazione al valore militare, perché mi sono portato avanti prima di loro i sopravvissuti, perciò mi voleva premiare. Fatto sta che circa pochi minuti dopo il nemico, mi scopre di nuovo: era poco distante e hanno cominciato a sparare col loro tapum, perciò è stato ferito il proprio tenente a tutte e due le gambe e li in questo fra tempo è rimasto ucciso un soldato: li aveva centrato il cuore, e non a detto più né Gesù né Maria e il tenente l'anno portato via i portaferiti e poi ho saputo, più tardi, che li era stata conferita la medaglia d'argento, perciò al posto di me la presa lui. Comunque quella detta sera, al chiaro della luna siamo giunti a un paesello che si chiama Sela: ai piedi della quota dove stavano la trincea dei Tugnit sopra circa 200 metri di noi, e noi stare perfettamente zitti: non si doveva fiatare e si sentiva apenna il tacpum e qualche colpi di canone, perciò i Tugnit mi attendevano e di lì abbiamo fatto sesta tutta la notte, e quel momento, erevamo veramente avelito, faceva impressione guardando all'alto: quella detta trincea pareva la spelunca dei maniturghi, che sparavano [… ] poi per di più cominciava a farsi sentire il forte [...]con le loro pugnate del calibro 420, dove batteva erano massacri.

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