Caporetto agli occhi di una alpino

Piero Rosa
racconta paura, morti, ritirata, disciplina militare a Zible Vrh, Slovenia, dintorni il 24 ottobre 1917
Sono le prime ore della disfatta di Caporetto, l’artigliere Piero Rosa mantiene ancora la sua posizione.
Le ore dieci. Ricoverati in galleria, invasi da un’ansia irreprimibile, ci incarichiamo e promettiamo vicendevolmente di portare l’ultimo saluto alle nostre famiglie, qualora si dovesse tirar le cuoia per davvero..
Cavallini attraversa curvo le piazzole:
Tenente, il mio ricovero è zeppo di alpini in fuga!”
Altri alpini scendono a precipizio il pendio del monte, lordi di fango, qualcuno insanguinato.
L’artiglieria nemica, quasi simultaneamente ha sospeso il fuoco, ma il respiro è di breve durata. Il fuoco viene ripreso più violento, ma la nostra zona non è più battuta.
Amici, col revolver in pugno affronta un tenente degli alpini. E’ senza elmetto, sporco, gli occhi fuori dall’orbita; una ferita alla spalla gli chiazza di rosso la giubba ed il sangue gli gocciola giù dalla manica.
Dove sono gli austriaci!”
Con uno sguardo da ebete, accenna che sono su.
È un istante terribile; mi sporgo all’imboccatura guardo… e vedo il nemico in corsa, giungere dalle selle del Krad e dello Zible. Dal ciglio della strada spara sui fuggiaschi.
Amici, emozionato evidentemente, resta come paralizzato, ma il tenente Ghigliotti, con sangue freddo ammirevole esce in piazzola e:
Fuori gli operai di batteria! Inutilizzate i pezzi! Gli altri ripararsi in valle!”
Devo attardarmi per mettere fuori uso gli apparecchi telefonici e distruggere le carte di batteria.
Non so decidermi a fuggire; sono anch’ io come annichilito. Scorgo Occhiena precipitarsi con gli altri giù dal pendio… Lo spettro della prigionia, di Mathausen mi appare davanti…
Guardo ancora sulla strada. Le truppe d’assalto tedesche hanno sostato brevemente per dare agio all’artiglieria loro di allungare il tiro e spara sempre sui fuggitivi, poi riprende l’avanzata. Un “hurrà!” formidabile esce dai loro petti forsennati. Vedo solo tre tedeschi ruzzolare giù dalla china con una mitragliatrice….giungono in piazzola a pochi metri. La mitragliatrice in un attimo è piazzata…fuoco a ventaglio!...
Non attendo oltre; o fuggire oppure la morte o, nella migliore delle ipotesi, la prigionia. Come un dannato, allora mi butto giù dal monte e, a sbalzi, e ruzzolando, e sdruccioloni , fra buche e crateri, tento d’interporre fra me e loro, il maggior spazio possibile. Il tragitto è orribile, fra l’allungo dell’artiglieria avversaria e l’accorciamento del tiro delle nostre batterie arretrate.
Sono terrorizzato effettivamente. Il gnaulìo delle pallottole da fucile e mitragliatrice spesseggia attorno; è una gragnuola.
Durante uno scivolone vengo arrestato di colpo da una radice a filo del terreno e vado a sbattere una tremenda zuccata contro un albero; l’elmetto mi s’incastra sul cranio e forza… così, stordito, ossessionato, continuo la fuga .
Giungo in fondo valle, non faccio in tempo a trattenermi; la scarpata della strada è alta diversi metri e precipito come un sacco. Anche qui la fortuna mi assiste perché mi rialzo incolume, salvo una escoriazione alla mano sinistra.
Non ragiono più; per la sovra eccitazione da cui sono invaso, ho le labbra indotte al riso…
La valle angusta e stretta, in fondo lascia appena posto al rio Doblar ed alla nuova rotabile. Le pareti dell’Ostry Kras e del Globo-Kak, scendono a picco. I grossi calibri scoppiando staccano e fanno rovinare in valle, massi e scheggioni che piombano sulla strada… ad una strozzatura il passo è tremendo….
Oltre a ciò la nostra artiglieria da difesa ha spostato il tiro cannoneggiando d’infilata la valle.
Mi ricovero con Henn in una galleria occupata da soldati del Genio Pontieri. Uscire è la morte; restare è darci prigionieri, ma io non sono di questo parere.
Dopo mezz’ora il fragore delle mitragliatrici austriache torna a farsi udire e s’avvicina. Ancora pochi minuti e saremo presi in trappola. In soli tre o quattro allora giochiamo il tutto per tutto. La posta è la vita e la libertà.
Non mi sento di descrivere oltre l’orrendo tragitto sotto l’imperversare delle granate e dei franamenti. Giungiamo in pochi a Doblar al termine della valle. Il fronte sul rio è guardato da un plotone di carabinieri comandati da un tenente. Il passo è interdetto, inutili le spiegazioni: “Indietro, o si spara!”
Ma tutte le batterie e reparti in ritirata, giungono da ogni parte. Arriva pure una colonna di salmerie. Il maggiore che la comanda dopo una discussione col tenete dei carabinieri, può farla proseguire.
Poco lungi da me un conducente si accascia colpito a morte. Il mulo è solo e si muove con la colonna. Un istante di lucidità… lo prendo per la capezza passando indisturbata fra i carabinieri. Ma lo stratagemma è inutile. I fuggiaschi fanno pressione ed i carabinieri vengono sopraffatti e travolti.

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