Venezia FC: Venezia, ottobre rosso - "Tanti stranieri? Deve sempre prevalere la meritocrazia, conta chi è più bravo"

È un vero e proprio ottobre rosso quello che attende un Venezia da cui, dopo un avvio stentato, è lecito attendersi la svolta innanzitutto per scongiurare una stagione in costante affanno. Le oggettive attenuanti non mancano, per spiegare l'attuale magro bottino di 5 punti sui 18 rincorsi nelle prime sei giornate di Serie B. La società ha ribadito piena fiducia nel nuovo tecnico Ivan Javorcic, il quale ha dovuto fare i conti con fin troppi
infortuni e acciacchi sparsi che, sommati alle temute e del tutto prevedibili (la scorsa Serie A insegna, o avrebbe potuto insegnare) difficoltà sul piano della cosiddetta amalgama multietnica, da trovare tra i tanti volti nuovi e i reduci dalla rovinosa retrocessione.
Un toccata e fuga che ha lasciato scorie in alcuni elementi chiave, vedi il co-capitano Ceccaroni, apparso finora l'ombra del baluardo difensivo che, pur da esordiente assoluto, non aveva affatto sfigurato nemmeno al piano superiore. Il passaggio dal 4-3-3 al 3-5-2 visto contro il Pisa ha sì prodotto solo un 1-1, tuttavia sembrerebbe una soluzione tattica percorribile e utile anche per rassicurare Ceccaroni affiancandogli capitan Modolo in un terzetto potenzialmente solido con il polacco Wisniewski. Va da sé che il nuovo assetto comporta di ridisegnare geografia e gerarchie dei quinti, con i terzini Zampano (in fase di recupero) o Candela a destra, Haps o il ripescato Ullmann a sinistra favoriti rispetto agli esterni offensivi Johnsen e Pierini che al momento non hanno convinto. Il tutto aspettando Cheryshev, reduce da due spezzoni sufficienti a confermare che la strada verso la miglior condizione sarà ancora piuttosto lunga.
Data la situazione, la prima sosta del campionato è giunta provvidenziale per aggiustare la rotta sotto tanti punti di vista, pur con l'intoppo dell'assenza di un poker di potenziali titolari (Pohjanpalo, Crnigoj, Haps e Connolly, impegnati con Finlandia, Slovenia, Suriname, Irlanda) e di nuovo a disposizione di Javorcic salvo intoppi fra 48-72 ore.
CROCEVIA Sotto dunque con un mese decisivo anche per il destino del progetto-Javorcic, un menù di 5 gare in quattro settimane contro avversarie che in classifica stanno meglio, pur non avendo convinto ancora del tutto.
È il caso dello stesso Cagliari, da sfidare in trasferta alla ripresa sabato 1. ottobre (ore 14 all'Unipol Domus) in un remake della scorsa Serie A: i rossoblù allenati da Fabio Liverani appena colpito da un tragico lutto per la prematura scomparsa della moglie contano il doppio dei punti (10) ma nell'ultima uscita hanno perso 1-0 in casa contro il Bari, vale a dire la migliore delle quattro neopromosse dalla Serie C (12 punti e -3 dalla vetta) che salirà al Penzo sabato 8 sempre alle 14. Come il team arancioneroverde lo stesso il Cagliari si sta allenando senza alcuni nazionali, il veneziano mancato Lapadula (praticamente acquistato dal Benevento nel gennaio scorso, salvo poi virare sul flop-Nsame) aggregato al suo Perù, e il regista Makoumbou impegnato con la Repubblica Democratica del Congo (assenti poi due Under 21, il greco Kourfalidis e lo slovacco Obert).
Quella con il Bari, atteso a Sant'Elena dopo aver ricevuto al San Nicola (senza lo squalificato Pucino, disponibile per Venezia) il Brescia co-capolista con la sorprendente Reggina di Pippo Inzaghi, sarà il primo di due match casalinghi di fila per Modolo e compagni. Infatti venerdì 14 in notturna (ore 20.30) sotto con un Frosinone a braccetto a quota 12 assieme ai pugliesi, dopodiché sabato 22 (ore 14) bisognerà cercare l'impresa proprio al Rigamonti di Brescia, contro gli ex Lezzerini, Moreo, Galazzi che finora hanno inanellato 5 vittorie e un solo ko. Completerà il quadro la rivincita con l'Ascoli, di nuovo al Penzo sabato 29 (sempre alle 14) dopo averlo sbancato il 7 agosto in Coppa Italia con un sofferto 3-2 malgrado un Venezia imbottito di Primavera causa-Covid.
Tanti stranieri, tante scuole di pensiero, diverse culture calcistiche e non. I 31 giocatori convocati dal tecnico del Venezia Ivan Javorcic a inizio stagione, rappresentano ben 17 nazioni, che diventano 18 se si aggiunge anche il tecnico croato. Ma come si conciliano le diverse esperienze? Cosa significa lavorare con un gruppo nutrito di stranieri? Un'azienda di Marcon, la San Marco Group leader nel settore delle vernici e pitture, da tempo porta avanti un processo d'integrazione e la responsabile delle Risorse umane, Mariluce Geremia, ci spiega com'è strutturato il lavoro.Lei non si occupa direttamente di una squadra di calcio. Come vede una rosa ricca di stranieri?«L'importante è che prevalga la meritocrazia. Se lo straniero si merita quel ruolo, è giusto che giochi. Perché premiare un italiano se non ha la stessa grinta e non ci mette lo stesso impegno in campo rispetto a un altro? Come in tutte le situazioni, conta chi è più bravo e, come per il calcio, serve guadagnarsi in posto pure in un'azienda. E questo a prescindere da dove si è nati e dalla lingua». Da tempo San Marco Group ha esperienza nel settore. Come organizzate il lavoro?«Intanto da noi gli stranieri non sono considerati tali. Sono persone che hanno solo un dato anagrafico di nascita o residenza, ma non c'è un tema specifico. Non abbiamo piani particolari per loro. Sono considerati parte della famiglia San Marco Group: è la prima forma d'integrazione».Quanti stranieri ci sono nella vostra azienda?«L'8 per cento - non certo la percentuale degli stranieri nella rosa del Venezia - del personale in Italia (Marcon, Latisana, Forlì e Montemarciano, in provincia di Ancona, ndr) ovvero una ventina su 250. Il gruppo è impiegato in diverse mansioni; molti di loro sono all'ufficio commerciale, dove siamo andate a cercare delle figure che avessero delle particolari conoscenze linguistiche che a noi mancavano. Poi ce ne sono pure in fabbrica, in produzione, dove diversi arrivano dall'Est Europa e Africa, soprattutto Senegal. Qualcuno è con noi anche da 15 anni; uno di loro, ad esempio, è diventato pure un tutor, perché forma i nuovi ingressi in fabbrica. E per nuovi ingressi intendiamo ragazzi italiani sui 20 anni. Si è guadagnato i gradi con il lavoro quotidiano».Avete mai avuto delle difficoltà? Come si conciliano le diverse culture presenti?«Sono presenti tante religioni: ci sono i momenti di Ramadan, quelli dove vanno nello spogliatoio a pregare ma non è mai stato un problema per noi e loro non ci hanno mai fatto delle richieste particolari».Come vi comportate in mensa aziendale?«Ci sono delle diete particolari, con delle offerte che possano accontentate tutti. Ad esempio, dobbiamo considerare pure chi non mangia la carne ma non solo per motivi religiosi: c'è anche chi è vegetariano, oppure qualcuno è celiaco. Sono aspetti da tener conto». Qualcuno ha mai portato all'estero la formazione in San Marco Group? «Certo. Gli stranieri impiegati in fabbrica seguivano un percorso di formazione e avevano dalla loro la madrelingua. In certi casi, dopo un certo periodo, diciamo cinque o sei anni il tempo utile per imparare il mestiere e applicare i nostri prodotti, abbiamo dato la possibilità di rientrare nel loro paese d'origine e sono diventati nostri agenti o distributori». Potrebbe fare un esempio? «Ricordo delle famiglie che lavorano per noi dalla Romania. Ma succede, pure, per la Slovacchia, in Repubblica Ceca, Polonia. Dunque, prima li abbiamo formati qui, per poi proseguire la carriera professionale nel loro paese. E lo consideriamo un ottimo modello». Quando avete iniziato questo percorso? «Diciamo dagli anni Novanta. Mio padre Federico aveva il progetto di avere in azienda delle persone da formare e dare loro l'occasione di sviluppare nei mercati esteri». Dunque c'è un circolo virtuoso dove ciascuno può dare il meglio delle sue potenzialià .«Esatto. Se qualcuno ci chiede di raggruppare le ferie per tornare a casa e starci un mese durante le feste di Natale, non ci sono problemi. Basta saperlo con un po' di anticipo, in modo da poterci organizzare e concedere loro questa possibilità».E, mi permetta, diventa un arricchimento per tutti. Nessuno porta via il lavoro ad altri...«No, anzi. Le faccio un altro esempio; proprio nei giorni scorsi, abbiamo assunto un manutentore elettrico, un 30enne albanese che ha studiato alla scuola di elettricista a Treviso. Facciamo fatica a trovare queste figure professionali e dobbiamo affidarci a degli stranieri, perché hanno ancora la cultura di fare mestieri di questo tipo. E fra gli italiani non riusciamo più a trovarne»

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