I cadaveri del Sei Busi

Arturo Busto
racconta morti, feriti, orrori, vita in trincea a Monte Sei Busi, Ronchi dei Legionari (GO) il maggio 1916
La compagnia del capitano Busto è in linea nel settore del famoso Monte Sei Busi, sul Carso.
Il “Monte Sei busi” , alt. m.118, costituisce una delle tante piccole quote del Carso meridionale, che scendono a picco sulla pianura di Vermigliano dominandola completamente. Nel giugno del 1915 gli austriaci ne occuparono il ciglio meridionale in trincee improvvisate, protette solo davanti da abbattute di alberi. Ignoro quale sia stata la resistenza del presidio che le occupava e quali difficoltà abbiamo incontrato i nostri per occuparle. Quel che è certo è che a distanza di un anno quelle trincee embrionali e con le relative abbattute erano ancora intatte e conservavano i cadaveri allineati dei loro difensori tuttora vestiti ed armati di fucile. Le posizioni deve essi si trovavano erano scopertissime e battute dal tiro di infilata delle artiglierie nemiche; recarsi in essi di giorno per raccogliere qualche cimelio di guerra significava esporsi a serio pericolo. Solo di notte era possibile raggiungerle ma non senza qualche rischio. Questo spiega benissimo come dopo circa un anno quelle trincee avevano ancora la loro forma primitiva ed il macabro presidio. Le nostre posizioni si svolgevano sull’orlo del margine del Carso dominate ovunque da quelle austriache dominanti più in alto, nel terreno più favorevole ad una buona difesa. La q. 118 del Monte dei Busi, era neutra perché compresa fra le linee opposte.
Le colline del monte erano tomba di numerosissimi cadaveri nostri ed austriaci, frammisti, ricoperti con un po’ di terra e segnati con due rami di pino, uniti a croce, portanti l’indicazione del numero e della nazionalità di essi.
La zona neutra e la quota 118 [risultava] essere ricoperta di cadaveri dell’offensiva dell’ottobre-novembre 1915. Osservando bene si notavano, fra i resti delle uniformi, le mostrine delle diverse brigate, il che provava quale ecatombe di fanti abbia causato la insistenza di attaccare a qualunque costo le formidabili posizioni nemiche.
Le stesse nostre trincee erano costituite di pietrame, fanti a terra e di cadaveri. Nelle ore più calde delle giornate (eravamo di maggio) colava lungo le scarpate di esse un liquido nerastro proveniente dai corpi in putrefazione. In breve tutto il Monte dei Busi era un carnaio umano: la terra del monte era un conglomerato di sassi, di proiettili, di ossa e di altri residui umani.
Col sopravvenire della calda stagione, per ragioni di igiene, non sarebbe assolutamente stato possibile vivere in una posizione infetta dai miasmi irrespirabili. Reparti di linea si preoccuparono del grave inconveniente che non di avere ripercussioni anche sullo spirito dei nostri soldati, e provvederono come meglio potettero ad epurare il macabro campo di battaglia. Molto facemmo al riparo delle nostre trincee, sistemando più igienicamente ed umanamente le salme dei caduti, ma molto ci rimaneva ancora da fare per lo sgombero dei cadaveri giacenti fra le opposte linee. Si trattò di sistemarli di notte, ma il compito era estremamente pericoloso perché di notte, la quota 118, era la meta preferita dai tiri nemici, tiri continui, intensi, efficaci. Molti portaferiti furono colpiti nel compiere il pietoso servizio, e seguendo le prescrizioni. I nostri uomini muniti del distintivo di portaferiti, disarmati e con le barelle, uscivano dalle nostre linee e tentavano di ritirare i cadaveri. Molte volte gli austriaci, interessati come noi dall’epurazione della zona, lasciavano fare; qualche volta per spirito malvagio fecero fuoco sui portaferiti e ci costrinsero a desistere.
Lo sgombero fu però lungo e difficoltoso ma lo portammo a termine cercando compagni di dare licenze premio ai soldati che si offrivano per il pericoloso lavoro. Il mio reggimento oltre [all’urgente] ed improrogabile operazione igienica, occupò e fortificò con metodica e paziente avanzata l’intera quota 118 che fu inclusa nelle nostre linee. Il nemico reagì alquanto allarmato dai lavori, ma a fatto compiuto, perché in realtà il nostro progresso non riformava il valore difensivo delle sue posizioni. Nel frattempo si avvicinava la terza decade di Maggio, l’opera della “Strafe expiditionen” in Trentino, la quale, per necessità contingente, portava al 2° piano l’importanza del fronte carsico.

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