"Mi battono su una spalla, mi giro: è un tedesco"

Mario Bosisio
 racconta ritirata, resa, cattura di prigionieri, nemici a Fiume Torre (UD) il 28 ottobre 1917
È in corso la ritirata dei soldati italiani verso l’entroterra del Veneto, dopo la disfatta di Caporetto.
Arrivati sul ponte del torrente Torre, scorgemmo una lunghissima fila di vagoni merci. Ci accostammo ed uno spettacolo pietoso si presentò ai nostri occhi: nei vagoni erano allineati barelle e lettini con soldati nostri malati o feriti gravi. Ci dissero che, essendo venuto l’ordine di abbandonare tutti gli ospedali della zona, erano stati caricati il giorno prima, e stante il gran numero dei degenti non vi erano treni ospedali a sufficienza, perciò qualunque mezzo era stato impiegato pur di cercare di mettere in salvo tutti. Infatti essi erano in vagoni di tutte le specie: coperti e scoperti con sopra dei teloni impermeabili, eccetera…si seppe poi che nella nottata i macchinisti avevano staccato la locomotiva ed erano scappati a tutto vapore… perché era impossibile trainare una sì lunga colonna di carri. Come si vede la pietà umana alle volte scompare…per forza maggiore. Fortuna volle che arrivassimo noi soldati sperduti ad aiutare quei poveri disgraziati, alcuni dei quali morenti.
In testa alla colonna c’erano dei vagoni carichi di medicinali e di alimenti: ci mettemmo quindi a fare del nostro meglio per apprestare i soccorsi e le cure che ci venivano supplicate, dando così un po’ di sollievo ai malati ed ai feriti. Dal canto nostro, poi, si fece una buona scorta di alimentari nei tascapani.                                                        
In trappola. Avevo appena finito questa operazione che mi sentii battere su una spalla; mi voltai di botto e mi trovai davanti ad un ufficiale germanico, con una fila di medaglie sul petto; il quale, non occorre dirlo, portava il tipico elmetto chiodato. Con la rivoltella spianata verso il mio faccione mi fece alzare le mani e cominciò a tastarmi dappertutto, facendomi vuotare il tascapane pieno zeppo di gallette e di scatole di carne in conserva. Potevo forse reagire? Chissà che colore avrò avuto in quel momento! Ero sbalordito e rabbrividivo tutto, e, senza arrossire, debbo dire che in quel momento mi si aprì la valvola di evacuazione…
Giù dal vagone, coi fucili e pistole in atteggiamento di sparo, stavano una ventina di soldati, tutti coll’elmetto chiodato, pronti a far fuoco in caso di nostra ribellione. I loro visi erano tutt’altro che rassicuranti. L’avvenire mi si presentava fosco. Avevo tanto paura che mi incolpassero di saccheggio, poiché sapevo che per questo si arrischiava la pelle. Per fortuna (ad onor del vero) l’ufficiale trattò me ed altri abbastanza gentilmente, ed in un italiano germanizzato ci ordinò d’incamminarci verso Udine, dove sarebbe avvenuto il concentramento dei prigionieri. Lascio immaginare la mia gioia; mi pareva di risuscitare. Se avessi avuto le tasche piene di biglietti da mille, non sarei stato tanto contento. Ormai tutto il tempo che potevamo trascorrere a piede libero era per noi un regalo, un gran sollievo.

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