Prima Guerra Mondiale.. Uomini, Soldati, Vittime ed Eroi. Il Piave, nascita di una "leggenda"
Giugno
1918, gli italiani respingono gli austriaci oltre il fiume Piave. Da
quel momento le sorti del conflitto per Vienna saranno
inesorabilmente segnate. Gli eventi di quei giorni ispireranno il
musicista Giovanni Gaeta nel comporre una famosissima canzone che
trasformerà il Piave in "leggenda".
L’autunno
nero della rotta di Caporetto, quando gli austriaci sfondano nella
Conca di Plezzo e tutto pare perduto, causa all’esercito italiano
ingentissime perdite di mezzi e di uomini. Da novembre 1917 il regio
esercito si è attestato sulla destra del fiume Piave. La tenuta di
quella linea determinerà le sorti di questo conflitto che
combattiamo aspramente dal 24 maggio 1915. Al vertice del Comando
supremo vi è adesso il generale Armando Diaz al posto di Luigi
Cadorna. Le difese italiane si sono riorganizzate e a una manciata di
giorni dall’estate 1918, il Piave diventa il confine tra la
vittoria e la sconfitta. Oltre il fiume il nemico non deve e non può
fare un passo avanti. Ma i vuoti causati nell’esercito dalla
ritirata di Caporetto sono immensi. Tocca allora rinsaldare le fila
chiamando alle armi la giovanissima classe di leva del 1899. Hanno
appena diciotto anni, Diaz li definisce «i nostri giovani fratelli».
Moriranno in tanti, ma moltissimi si batteranno bene e con coraggio
dando un importantissimo contributo alla riscossa che porterà alla
vittoria finale. Questi giovanissimi italiani passeranno alla storia
come "i ragazzi del ’99".
In
questo principio d’estate, preludio a giorni di sangue, di gloria e
di emozioni, comincia la battaglia del Solstizio (così
successivamente ribattezzata da Gabriele D’Annunzio, puntualissimo
a coniare neologismi di sicuro impatto patriottico). Tra il 15 e il
24 giugno 1918 gli italiani respingono una nuova – e ultima –
offensiva austriaca. L’esito vittorioso degli scontri genera in
tutta la penisola una formidabile onda emotiva di manifestazioni
patriottiche, spontanee e organizzate, che celebrano quanto è
avvenuto lungo la linea del Piave. A interpretare quel comune
sentimento di rinnovata fiducia sarà un musicista napoletano che
compone di getto una canzone che ha come protagonista il fiume. Il
genio dell’autore trasforma così il Piave nel simbolo della
riscossa e della vittoria. Passerà il Solstizio e questa canzone
diventerà leggenda: La leggenda del Piave.
Mattino
del 15 giugno 1918. Le forze austro-ungariche dislocate lungo il
fronte dei settori alpini e del Piave, comandate rispettivamente dai
feldmarescialli Franz Conrad von Hötzendorf e Svetozar Borojević
von Bojna, attaccano su tutta la linea. Si va dal passo del Tonale ad
Asiago e sulla linea del Monte Grappa-Piave. L’obiettivo è
sfondare le linee italiane, raggiungere la pianura Padana,
impadronirsi delle scorte e dei magazzini e costringere l’Italia
alla capitolazione. Invece gli italiani, ben riorganizzati e col
morale solido, non si fanno trovare impreparati. Dalla loro parte si
"schiererà" pure il Piave. Lungo il fiume Borojević
concentra la sua offensiva: gli austroungarici tentano di
attraversarlo in più punti approntando passerelle e ponti. La
battaglia infuria, l’artiglieria italiana, supportata dal corpo
aeronautico, li mitraglia e li bombarda. Nonostante i genieri
austriaci li ricostruiscano, nuovamente gli artiglieri
implacabilmente li bersagliano.
Piove
e il Piave s’ingrossa. È il 17 giugno, il sole è tramontato
quando, a causa della pioggia, comincia la grande piena estiva del
fiume che inesorabile travolge e sommerge passerelle e ponti
austriaci, ed è così sino al 19. A nulla valgono i nuovi sforzi
austriaci per tentare alcune operazioni anfibie. Dove non arriva la
furia delle acque arriva puntuale il proiettile d’artiglieria. La
piena passa e nuovamente gli austriaci ci ritentano, ma ancora
l’artiglieria italiana gli sbarra il passo. I gloriosi piani
dell’Allerhöchster Oberbefehl del Kaiserliche und Königliche
Armee (il comando supremo dell’imperiale e regio esercito
austriaco) s’infrangono sui ponti e sulle passerelle distrutte.
Coloro che riescono a superare il fiume si trovano inchiodati sulla
sponda sotto il fuoco italiano e senza possibilità di ripassarlo.
Su
una casa semidistrutta dai bombardamenti nella zona di Fagarè,
teatro di violentissimi scontri (il predicato "della Battaglia"
sarà aggiunto proprio in seguito a quegli eventi), compare la frase
«Tutti eroi! O il Piave, o tutti accoppati!», che riassume il
comandamento di quei giorni: non retrocedere a qualunque costo. A
scriverla è Ignazio Pisciotta, un bersagliere del servizio
propaganda dell’esercito. Il 22 giugno Borojević ordina la
ritirata dal settore del fiume, lo stesso accadrà lungo gli altri
settori del fronte. Due giorni dopo la battaglia è conclusa. Ma le
perdite sono altissime da ambo le parti. Tra morti, feriti e
prigionieri, gli italiani perdono circa 87mila uomini, gli
austroungarici poco più di 118mila.
L’ultima
grande offensiva dell’Austria-Ungheria contro l’Italia s’infrange
sul Piave. È l’inizio del mito, il nemico non è passato. L’esito
dello scontro alimenta una speranza nuova tra i combattenti e fra la
gente comune nelle città lontane dal fronte. Il sentimento diffuso
(benché naturalmente sussistano diverse vedute politiche) è che
quella battaglia potrebbe addirittura significare la vittoria finale,
cosa impensabile appena sette mesi prima. Ciò che è accaduto sul
Piave deflagra un concentrato di emozioni e sentimenti patriottici
che Caporetto aveva compresso.
21
giugno 1918. Le artiglierie stanno ancora sparando che la gente già
si riversa nelle strade, piazze e teatri di numerose città, anche
lontane dal fronte. Per settimane, da nord a sud, si tengono
manifestazioni patriottiche. Insomma, in quei giorni tutta la nazione
è idealmente sul Piave. Interprete di questi sentimenti collettivi
diventa Giovanni Ermete Gaeta, musicista e impiegato postale
napoletano, già noto nel panorama musicale dell’epoca per aver
composto diverse canzoni di discreto successo. Si firma con lo
pseudonimo di E.A. Mario. Anche lui, come la maggior parte dei suoi
contemporanei, è testimone della rinnovata ondata di patriottismo
collettivo ispirata dai giorni della battaglia del Solstizio. Così,
da artista quale è, li trasforma in versi e note e, fra il 23 e il
24 giugno – riferirà lui stesso diversi anni dopo – compone di
getto la canzone La leggenda del Piave. Poi scrive a mano diverse
copie del suo nuovo componimento e sale a bordo di un treno postale
notturno per raggiungere il fronte. Qui consegna il testo al suo
amico Raffaele Gattordo, cantante e attore di teatro che combatte nei
bersaglieri. Anche lui come Mario ha un nome d’arte: Enrico Demma.
Accompagnato da pochi strumenti, Demma esegue la canzone che Mario
definisce una «fanfaretta». La melodia si diffonde presto fra i
soldati.

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