Vivere con la morte
Ricordo
che una sera d’estate stavo sdraiato sul declivio di una dolina, in
prossimità della prima linea, e con la mano destra smuovevo la
terra; liberavo dei sassolini che gettavo via per poi continuare in
quell’azione quasi inconscia per ingannare il tempo. Ad un certo
punto dello scavo mi sembrò che affiorasse un sasso di maggiori
proporzioni: continuai il lavoro di isolamento e mi resi conto che
aumentava di proporzioni. Allora mi sollevai, guardai e constatai che
quello che scavavo non era un sasso, ma la punta di una scarpa di un
morto seppellito a poca profondità: era sotto di me. Allora raccolsi
tutta le terra smossa, ricoprii la scarpa e non disturbai più il suo
sonno eterno.
Un’altra
volta mi trovavo sul declivio della dolina Veneziana, forse una delle
più grandi e più profonde. In un punto del suo perimetro la dolina
faceva parte delle prima linea. La trincea che si innestava alla
dolina, a sinistra guardando il fronte, una volta era appartenuta al
nemico: ne era stato scacciato da tante cannonate che l’avevano
riempita a metà di terra. I soldati italiani quando la conquistarono
la riattarono un po’ e vi eressero un parapetto protettivo di
sacchetti di terra.
Appunto
nell’epoca nella quale mi ci trovavo io, il Comando ordinò alla
squadra zappatori di togliere dalla trincea la terra fattavi cadere
dalle cannonate e riportarla al primitivo livello. Nel corso di
questa operazione, sotto la terra furono trovati i corpi semi
putrefatti di soldati nemici che le nostre cannonate avevano uccisi e
seppelliti in un colpo solo. Quei corpi, ormai privi di forza di
coesione, venivano estratti a pezzi, caricati su barelle, portati in
fondo alla dolina e gettati in una fossa comune. Io ed i miei
commilitoni, seduti sul declivio della dolina, assistevamo a
quell’operazione indifferenti e muti. Ricordo anzi che un giorno il
getto nella fossa comune di quei miseri resti mortali, avvenne mentre
noi si consumava il rancio, una gavetta di riso poggiata sulle
ginocchia, senza provare alcuna particolare emozione.
Com’erano
lontani i tempi quando, appena un anno prima, l’11 giugno 1915,
alcune cannonate e la vista di qualche tumulo di terra fresca ed
alcune croci, ci avevano sconvolto la mente!
L’artiglieria
nemica batteva le nostre trincee e le posizioni immediatamente
retrostanti con piccoli e medi calibri, mentre i cannoni a lunga
gittata battevano di regola le strade della pianura ed i ponti
sull’Isonzo, ma qualche volta, per errore o per deliberata volontà,
quei proiettili cadevano non molto lontani dalle linee. Una volta
vidi in un bosco poco lontano da Castelnuovo l’effetto disastroso
di un proiettile da 420, il famoso 420 che era il più grosso calibro
dell’epoca. Il proiettile aveva preso d’infilata una baracca
rettangolare di legno, nella quale dormivano una settantina di
soldati. Della baracca e dei soldati non fu ritrovato nulla o quasi:
al posto della baracca rimase solo una gran buca e qualche tavola
perimetrale rasente a terra.
Guido
Alunno Militare,
Regia Guardia di Finanza, XX battaglione Regia Guardia di Finanza,
XII battaglione Regia Guardia di Finanza, finanziere

Commenti
Posta un commento