Monumenti

La commemorazione non avveniva solo grazie a rituali collettivi o attraverso grandi monumenti nazionali ma spesso, anzi quasi sempre, riguardava un mondo più intimo, individuale e familiare. Spesso i monumenti erano dei piccoli altarini, talvolta i più agiati facevano costruire statue o cappelle in onore dei propri cari, ma indipendentemente dalla ricchezza di chi elaborava il lutto,
l’avere un immagine o un oggetto attraverso cui contattare il proprio caro era un esigenza comune a tutti. Il numero di tali forme di commemorazione era enorme, un singolo soldato caduto veniva ricordato non solo nella propria tomba, ma nei monumenti cittadini, nel luogo di lavoro e spesso, come accadeva in Italia, nelle aule delle scuole.
Occorre moltiplicare le cifre relative ai monumenti propriamente detti – trentaseimila comuni francesi, per esempio, ne ebbero uno proprio – almeno quattro o cinque volte se si vuole dare
un’idea della tensione commemorativa degli anni Venti: ciascun morto ha diritto ad avere il proprio nome inciso pubblicamente nel suo comune ma anche nel suo luogo di lavoro, nella sua scuola, nella sua parrocchia… E le stanze di milioni di case si trasformano in piccoli altari familiari dove si espongono fotografie e ricordi.“
Ciò creò un tipo di commercio enorme, che marmisti, architetti, artigiani e imprese funebri sfruttarono cinicamente per arricchirsi come mai era successo.
In questo senso la produzione in serie di pietre tombali, di croci, anche di statue divenne una consuetudine consolidata e permise a molta gente di poter avere un immagine per ricordare, ma anche solo per onorare il valore e il sacrifico del proprio caro.
La battaglia contro la produzione di massa era parte di un conflitto sempre risorgente tra sacro e profano. Il culto dei caduti apparteneva ovviamente alla sfera del sacro, e bisognava proteggerlo dal processo di banalizzazione che andava impadronendosi di numerosi manufatti e simboli della guerra.“
Proseguì così il conflitto tra sacro e profano, già caratteristico di tutta la guerra ma particolarmente importante nella commemorazione dei caduti: la costruzione di forme uguali infatti era vista come una profanazione e una violazione del rispetto dovuto ai caduti. L’unicità di quella persona non poteva essere rappresentata attraverso un oggetto comune e standardizzato, il culto dei caduti non si poteva esprimere semplicemente scegliendo una statua o un ornamento all’interno di uno dei numerosi cataloghi delle imprese funebri. Solo la mano di uno scalpellino, di un marmista o di un artigiano era in grado di creare quell’unicità necessaria per rendere onore alla sua memoria.
Le forme più utilizzate per la commemorazione sono croci di guerra, palme, piccolo statue, talvolta immagini del soldato, un altro metodo, forse quello più usato, era dato dalle iscrizioni sulle tombe dei soldati morti.
Le iscrizioni più ricorrenti sono: “enfants”, “they answered the call”, “morts”, “héros”, “caduti per la patria”, “guerre”, “Fallen Heroes”, “1914-1918 ”, “devoir”, “sacrifice”, “martyrs”, “mémoire”. In tutti i paesi è assai spesso la retorica della “High Diction” – con l’onnipresente “Dulce et decorum est patria mori” di Orazio a dettare la scelta delle parole.“
Nonostante la violenza della guerra rari sono i monumenti a carattere pacifista (giusto una decina in tutta la Francia) e in genere talmente anonimi da confondersi con gli altri, soprattutto perché la forma di protesta si limitava a iscrizioni come: “Maledetta sia la guerra”. Ma sono presente anche alcune statue che raffigurano un soldato morente privo di braccia e con gli occhi bendati, o ancora una madre, non passiva, ma adirata e che punta il dito contro il mondo mentre piange il cadavere del figlio. In Germania invece non esistono motivi di questo tipo, essi erano troppo distanti dal proposito di rigenerare la nazione sconfitta.
In Italia la forte protesta fatta nei confronti della guerra dal PSI (l’unico partito socialistica europeo a non divenire mai favorevole alle ostilità) produsse una serie di monumenti e in particolare di targhe commemorative in cui si esprimeva una forte protesta non solo sulla guerra, ma pure su una classe politica avida e in preda a continue rivalità. In provincia di Mantova, a Gazuolo una scritta su una targa commemorativa maledice tutti quelli che avevano ben voluto e fatto fare la guerra. Queste forme di protesta ebbero però una vita ridotta in quanto l’ascesa del fascismo portò il partito ad avere una monopolio nella commemorazione imponendo una retorica patriottica e tradizionalista. Già prima della presa del potere di Mussolini però le spedizioni punitive nei confronti di monumenti critici alla guerra furono numerose portando a scontri e a diversi morti, come nel 1922 a Muggio, in provincia di Milano, dove un invalido di guerra socialista fu ucciso dopo avere difeso una placca pacifista.
Avvenne invece una forte riscoperta della storia antica e, come già detto, dei temi classici. Particolarmente usati sono le decorazioni con temi medievali (come accade nel monumento al milite ignoto a Monaco), e la riscoperta della sua mitologia come le figure di San Giorgio, indistintamente usata da tedeschi o inglesi, in cui spesso il drago era trasfigurato a immagine nemica. Nei bassorilievi dei monumenti venivano riprese immagini classiche soprattutto per riprendere ideali di virilità, tranquillità e forza. Talvolta riprendevano immagini greche, talvolta scavavano nella storia antica del paese come in Germania con l’uso della figura dell’eroe Arminio.
Anche sui monumenti conformi alla tradizione classica, il più delle volte i soldati erano vestiti di tutto punto; ma talvolta erano invece la copia diretta di modelli greci: guerrieri nudi in cui s’incarnava una tipologia senza tempo.“
Il tentativo di raffigurare i soldati come virili, tranquilli, e pacati rappresentava uno delle tante modalità per rasserenare chi era stato colpito dal lutto e allo stesso tempo creare l’ideale di un cittadino valoroso. Questo richiamo alla virilità è presente in tutta la commemorazione di guerra e spesso avviene anche solamente attraverso ad alcuni simboli: esemplificativo per tutti è quello della spada. Attraverso questa figura e l’implicita associazione mentale a dei guerrieri nell’atto di combattere si esplicano tutte quelle che sono le caratteristiche principali di un soldato: valore, eroismo, onore, sacrificio, forza, e coraggio. Queste sono anche i canoni a cui tutte le potenze europee si ispirano per la rigenerazione dei propri cittadini.
Ma sotto a questo simbolo si nasconde un ulteriore significato. La spada rappresenta un tipo di combattimento corpo a corpo, in cui si conosce il volto del proprio carnefice e si hanno le stesse possibilità di morire. Un combattimento quindi tra uomini di valore, tutto il contrario di quello che succede nella grande guerra dove un tiro anonimo di cecchino o una scheggia di artiglieria aveva posto fine alla vita di tantissimi soldati.
Ovunque, il culto dei morti in guerra si collegò all’auto rappresentazione della nazione. Per proiettare la sua immagine, la religione civica del nazionalismo utilizzò temi classi e cristiani, insieme con il paesaggio indigeno. Né il simbolismo della giovinezza muta in maniera rilevante dall’una all’altra nazione dell’Europa centrale e occidentale. V’erano variante nelle espressioni ma fondamentalmente il quadro di riferimento era il medesimo.“
Attività didattica “La Guerra addosso. Conseguenze della Prima Guerra Mondiale, didattica della storia Università popolare di Mestre (VE)


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