L’ultima preghiera

La luna illuminava la buia notte del 23 maggio 1915. Erano le 22:30 e i soldati italiani tentavano di riposarsi, ma ciò che li teneva svegli era l'incessante mormorio del fiume Judrio che scorreva placido e il leggero crepitio delle foglie mosse dalla brezza primaverile. L’atmosfera era colma di tensione tra i giovani soldati che aspettavano una chissà quale salvezza. Costantino Carta era dall'inizio del turno di vedetta che pregava con insistenza, senza sosta, davanti a un piccolo altare da campo. Quest’ultimo era appeso con un piccolo chiodo ad un massiccio albero posto ai piedi del ponte, che collegava le due nazioni. L’artigliere era inginocchiato e irrequieto, sussurrava ripetitive richieste di grazia al dipinto dell’Immacolata. Non era la Vergine trionfante che si poteva vedere a quel tempo in chiesa, ma una Maria triste, con gli occhi bassi, come se sapesse già tutto ciò che doveva ancora accadere. Il fucile era stretto tra le braccia del giovane finanziere mentre il suo amico fidato, Pietro Dell’Acqua, lo implorava di smetterla. Ma poi, a un certo punto, ci fu un movimento, un movimento proveniente dall’altra parte, un passo maldestro di un soldato austriaco che, nel tentativo di minare l'unico collegamento rimasto, frantumò un ramo secco. Il compagno accanto a lui si girò di scatto, gli occhi sgranati, le mani già sull’arma. Il tempo si congelò in un attimo infinito, in cui tutto era già scritto, ma nessuno ancora lo sapeva. Fu allora che Costantino Carta premette il grilletto. Quello fu il primo colpo, il primo sparo che segnò l’inizio della guerra anche per l’Italia.
Costantino Carta

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