Considerazioni finali
L’elevatissimo
numero di caduti sui campi di battaglia (quasi nove milioni di
uomini) a causa di ferite o malattia sia tra i soldati che tra i
civili, lo shock emotivo e fisico subito da centinaia di migliaia di
persone nel corso di una guerra non lasciò la società mondiale, e
in particolare quella europea, senza conseguenze.
Conseguenze
in primo luogo fisiche, sia per quanto riguarda il numero di soldati
morti in combattimento, in gran parte uomini nel pieno della propria
maturità fisica, ma anche riguardo ai sopravissuti, rimasti spesso
mutilati oppure con forti traumi psichici che li accompagnarono per
il resto della vita. Il numero altissimo di giovani che andò a
combattere, spinto da ideali raramente realizzatesi durante la
guerra, o videro spezzata la loro vita troppo prematuramente, o
videro disillusi completamente i propri propositi iniziali andando a
formare la cosiddetta “gioventù perduta”. I ragazzi superstiti
inoltre vennero forgiati in un mondo, quello marziale e violento
della guerra, che ben poco aveva a che vedere con il mondo civile e
borghese nel quale si sarebbero dovuti reintegrare alla sua fine,
portandoli a sentirsi completamente estraniati dal mondo civile.
In
realtà questo senso di alienazione era comune a tutti i reduci,
tanto da far sì che si formassero numerosi gruppi di ex combattenti
spesso con l’unico scopo di mantenere lo spirito cameratistico
della trincea oppure per poter parlare con qualcuno che avesse
vissuto le stesse esperienze e provasse la stessa sofferenza.
Talvolta gruppi di ex soldati, come gli arditi, erano inquadrati in
gruppi paramilitari basati su una comune convinzione politica; ne è
esemplificativo il caso italiano, in cui gli scontri portarono ai
tumulti negli anni successivi all’armistizio e si conclusero con
l’ascesa
del fascismo al potere, il quale sfruttò sapientemente la rabbia dei
reduci e le problematiche emerse nel paese alla fine della guerra. In
realtà però la preparazione militare, la rabbia, e il vago
orientamento politico dei soldati si rivelò fallimentare, in genere
i soldati non furono dei grandi rivoluzionari in quanto non
combattevano per un ben preciso ideale, ma si lasciavano andare a
gesti di odio isolati e spesso irrazionali verso la società che
l’aveva mandato a combattere.
Le
conseguenze della guerra si possono però estendere anche alla
distruzione di larghe fette di territorio, in particolare francese,
nei luoghi dove si svolsero gli scontri, fino ai profughi di guerra
umiliati e maltrattati dai conquistatori, dai civili che subirono la
violenza delle invasioni sin dai primi giorni di guerra, alle
famiglie e del loro trauma psicologico nel rincontrare una persona
fortemente cambiata dalla guerra o, nella peggiore delle ipotesi,
nell’affrontare il dolore della loro perdita.
Viste
le conseguenze così ampie e diversificate il lutto si pone come uno
dei fattori fondamentali di cambiamento apportati nella società.
Per
lutto s’intende quel sentimento di sofferenza dato dalla perdita di
una persona cara, ma che non deve essere considerato unicamente
presente in quello individuale o riguardante una ristretta cerchia di
parenti prossimi (figli, genitori e fratelli), ma ad un gruppo di
persone notevolmente più numeroso e che ricomprende anche nonni,
zii, amici, camerati. Il trauma fu forte in tutte questi “circoli”
di parentela e solo analizzandolo il lutto in questa maniera è
capibile la grandezza della sofferenza causata dalla guerra e il suo
impatto nella società. Si può ben analizzare così come gran parte
della popolazione delle potenze belligeranti avesse subito più o
meno direttamente un lutto. La vastità delle perdite portò ad
estendere il lutto non solo ad una grande parte della popolazione, ma
anche per un periodo di tempo lunghissimo. Se si tende a superare la
perdita di una persona caranel giro di un anno, ciò non accadde per
il lutto di guerra: il contatto con la sofferenza di un numero così
ampio di persone e soprattutto il suo continuo riemergere a causa
delle costanti commemorazioni private o pubbliche, faceva si che il
dolore della perdita rimanesse costante e sempre vivido, spesso anche
decenni dopo la morte del parente.
Per
molti inoltre il lutto non si fermò alla perdita di una persona: il
gran numero di invalidi spesso incapaci di condurre una vita autonoma
rimanevano come un promemoria costante dell’orrore della guerra, e
la loro morte, spesso avvenuta anni dopo la fine della guerra,
amplificava nel tempo la durata del dolore del lutto.
La
necessità di trovare delle forme di commemorazioni era diventato un
bisogno fondamentale: in un primo momento si rappresentò attraverso
la volontà dei familiari in lutto nel recuperare notizie,
informazioni, e nello spostare vicino casa o visitare la tomba del
proprio caro, in seguito divenne una necessità politica e un fattore
collettivo. Lo stato, ma spesso e volentieri anche organizzazioni
private, si fecero carico delle necessità di chi aveva subito un
lutto, sia attraverso un aiuto puramente materiale e basato su
sovvenzioni, aiuti agli orfani e alla vedove, sia per la parte
spirituale con la costruzione di monumenti al fine di creare dei
luoghi di commemorazione utili a tutta la comunità.
In
realtà questa era un esigenza più politica che umanitaria e l’uso
della costruzione di cimiteri, di manifestazioni collettive, e dei
monumenti aveva come scopo principale quello di mantenere unito il
paese come lo era stato in guerra, perciò in breve l’ edificazione
dei monumenti ai caduti divenne un monopolio statale. L’eredità di
morte, di delusione e la formazione di nuove esigenze sociali da
parte dei reduci e dei loro familiari aveva scatenato in tutto il
continente, con varia intensità, forti proteste sociali in cui lo
spettro di una rivoluzione socialista era sempre dietro l’angolo e
aveva come esempio la rivoluzione bolscevica nell’ormai ex impero
russo. Le difficoltà finanziarie connesse alla guerra rendevano
peraltro problematica la disponibilità politica ad accettare le
pretese, soprattutto economiche, dei cittadini, pur se si rivelavano
legittime visto l’immenso sforzo fatto dalla popolazione durante la
guerra. La commemorazione e l’unione tramite il comune dolore del
lutto permetteva però di riunire il paese sotto la comune bandiera
nazionale. I simboli usati nella decorazione dei monumenti, la
struttura usata nella costruzione dei cimiteri militari e la
ritualistica nel ricordare i caduti rappresentavano quindi degli
elementi fondamentali e andarono a formare una religione civile in
tutti gli stati europei, pur se essa si caratterizzava in forme
singolari per ogni nazione. Di particolare effetto fu il rito della
sepoltura del milite ignoto, una delle poche reali invenzione della
guerra e l’unico monumento che riunì in tutti i paesi ogni
movimento sociale e politico, in cui furono inseriti elementi
caratteristici di tutta la simbologia futura e che fu posto in ben
determinato contesto storico: in Italia l’Altare della Patria fu
inserito all’interno del Vittoriano al fine dirichiamare e
rievocare il percorso risorgimentale (una delle mancanze del
ventennio precedente e maggiori cause di critica all’establishment
politico), che effettivamente aveva visto la conclusione con le
annessioni territoriali fatte proprio con l’armistizio della grande
guerra. Mentre in Francia il milite ignoto fu posto sotto l’Arco di
Trionfo, luogo simbolo delle vittorie militari francesi.
Fu
proprio la figura dell’ignoto a mettere d’accordo tutti:
democratizza la morte, senza riguardo ai grado militare, per la
religione o per l’ appartenenza politica e appunto per la sua
natura riesce a riappacificare e unire ogni strato sociale. In questa
comune pacificazione la nazione si stringe intorno allo stato e al
comune dolore del lutto. Negli stati in cui questo processo di unione
fu accompagnato da un abile politica sociale come accadde in
Inghilterra o in Francia si riuscì a tornare ad uno stato di
normalità nel giro di un decennio, pur se con un peso politico
ridimensionato rispetto alla potenza di qualche anno prima. Invece in
stati come Italia o Germania dove il processo fu più difficile e
tortuoso, anche vista la forza dei partiti socialisti, le conseguenze
furono tragiche e portarono prima a disordini sociali e poi al potere
movimenti estremistici di destra. L’uso massiccio dell’iconografia
guerresca e virile verrà ripreso dal partito fascista e
nazionalsocialista nell’intento di assimilare queste figure
all’immagini di una nazione fondata su principi di novità e forza,
il fascismo in particolare cercò di assimilare il partito alla
nazione e presentare, attraverso il monopolio della commemorazione,
la rivoluzione fascista come l’inizio della rinascita nazionale
incominciata con la guerra.
Il
lutto, utilizzato come strumento per smuovere il sentimento delle
masse, si rivelò quindi una forma importantissima attraverso cui far
trasparire una certa ideologia, generalmente patriottica, ma usata a
seconda del paese in maniera diversa. Come già detto, in alcuni essa
venne usata per rappacificare le differenze e i litigi in modo da
garantire tempo e calma a manovre politiche indubbiamente
problematiche, in altre invece fu usato per fini rivoluzionari.
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