Roma, una città in affitto
Ad
un certo punto della sua storia, la città di Roma, in continuo
sviluppo, poteva contare su circa un milione di abitanti, ma le
profonde spaccature sociali createsi nei secoli, fecero si che poche
persone ricche, tenessero nelle proprie mani l’intero mercato
immobiliare, generando così un numero sconfinato di inquilini che
pagavano loro un carissimo affitto.
Roma,
una città in affitto: introduzione:
Tito
Livio ci racconta un particolare episodio avvenuto nel 218 a.C., cioè
quando le truppe puniche guidate da Annibale, attraversarono
incredibilmente le Alpi, dilagando verso la pianura padana. Quel
fatidico giorno, nel Foro boario, dove si svolgeva il mercato del
bestiame, un bue perse l’orientamento e spaventato riuscì a salire
le scale di un edificio fino al terzo piano per poi precipitare nel
vuoto. Questa è la più antica allusione scritta, riguardo
all’esistenza di edifici a più piani esistenti a Roma. Questa
zona, non distante dall’Aventino era una parte vitale della città,
costituita dalla popolazione tradizionalmente con minori possibilità
economiche. Tuttavia il censo dei cittadini di sesso maschile, che
vivessero in città o nelle campagne circostanti, di quel periodo era
pari a circa 330.000 persone, finita la seconda guerra punica, il
numero scese a 214.000, di cui 200.000 solo in città, per cui,
vista la dimensione della stessa in quegli anni, è perfettamente
verosimile che edifici a più piani fossero effettivamente già stati
costruiti. Un altro aneddoto che ci conferma quanto detto, lo
troviamo nel 186 a.C., quando il console Postumio, estorse una
confessione ad una testimone, allo scopo di scatenare una
persecuzione contro i seguaci del culto di Bacco, ritenuto da molti
immorale. Nell’occasione il console chiese alla madre di nascondere
la delatrice al terzo piano della sua abitazione, chiudendo l’accesso
sulla strada e aprendone uno nuovo verso l’interno della stessa
abitazione.
Roma,
una città in affitto: la negoziazione:
Accertato
quindi che fra la fine del III secolo a.C., e l’inizio del II
secolo a.C., gli edifici a più piani, chiamate Insulae, erano già
presenti, è altrettanto vero che gli stessi proprietari di quei
condomini, non disdegnassero affatto di affittare i loro appartamenti
a prezzi a dir poco esorbitanti. In questo senso la Lex Claudia,
promulgata proprio nel 218 a.C., che vietava ai senatori di ottenere
guadagni con i commerci all’estero, diede uno slancio maggiore ad
investire in Italia e in particolar modo nel settore agricolo e
immobiliare. Di pari passo, la crescita della popolazione a Roma era
in continuo aumento, sia durante la guerra, quando a causa delle
devastazioni di Annibale, molti cercarono riparo entro le mura, sia
dopo, quando le opportunità di lavoro attirarono un gran numero di
persone. Si calcola che attorno al 130 a.C., la popolazione sfiorasse
il mezzo milione di abitanti, un numero destinato a raddoppiare poco
più di un secolo dopo. Dare accoglienza ad un così gran numero di
persone fu possibile solo grazie ad un florido mercato immobiliare,
si calcola che in epoca augustea, su di un milione di abitanti,
750.000 fossero plebei, un numero fra i 100 e i 200 mila schiavi, e a
malapena 20.000 abitanti fra Equites, soldati e famiglie dei circa
300 senatori, rappresentavano la parte benestante della città.
E’ quindi fin troppo evidente come questa grande discrepanza,
creasse una minoranza di affittuari e una stragrande maggioranza di
inquilini, Roma, una città in affitto, appunto.
Già
a partire da Augusto, le normative stabilivano un’altezza massima
di queste insulae di sette piani, Traiano più tardi la porterà a
sei, ma già questo ci basta per capire quanto fosse vasta la
speculazione, e in molti casi totalmente fuori controllo. Aggiungiamo
inoltre che se in epoca imperiale si cominciò a fare uso del
cemento, ai tempi della Repubblica, le insulae erano quasi tutte
costruite in legno, il che le rendeva insicure e soggette a frequenti
incendi, se ne registreranno infatti più di quaranta! I graticci
utilizzati, specialmente ai piani più alti, per separare quelli che
erano in molti casi veri e propri tuguri, erano sicuramente
quelli più a rischio, ed è proprio per questo che all’interno di
ogni abitazione era severamente vietato accendere fuochi. Lo
scrittore e giurista romano, Aulo Gellio a riguardo scrive con
rammarico, che se vi fosse stata la sicurezza di evitare gli
incendi, non avrebbe esitato a vendere ogni suo terreno fuori Roma
per diventare proprietario di immobili, visti gli altissimi prezzi a
cui venivano affittati. Le speculazioni però non riguardavano solo
gli affitti ma anche le loro riparazioni, Giovenale, e anche Seneca
ricordano loro malgrado come molte Insulae fossero sorrette da miseri
pali di legno, facendo inoltre riferimento alle modeste ma
redditizie riparazioni eseguite da vari amministratori senza
scrupoli.
Roma,
una città in affitto: persone che vanno e persone che arrivano:
A
Roma il mercato degli affitti si rinnovava ogni anno, e i nuovi
contratti entravano in vigore dal primo di luglio. Da un episodio che
riguarda l’imperatore Tiberio e un senatore, si può evincere che
un appartamento sfitto ma già utilizzato, venisse aggiudicato ad un
prezzo più favorevole. Tiberio in effetti, concesse al senatore di
allontanarsi da Roma, per stabilirsi nei suoi possedimenti di
campagna, con la promessa che sarebbe tornato l’anno seguente,
quando affittare un’abitazione sarebbe stato per lui più
conveniente. Un pò come succede ancora oggi, l’amministratore
aveva libero accesso ai suoi immobili, ragion per cui, salvo per chi
aveva fatto contratti pluriennali, a giugno di ogni anno, egli
entrava in un appartamento già abitato con nuovi potenziali
inquilini con il doppio scopo di far vedere loro la casa, ma anche di
mettere una maggiore pressione su chi ancora la abitava, magari
ottenendo un aumento del prezzo. Fatto sta che alla fine di giugno di
ogni anno il numero di persone che entravano, e quelli che
uscivano perchè non più in grado di pagare, era altissimo.
Ma
chi viveva nelle insulae? Al primo piano avremmo trovato le
abitazioni più comode, generalmente dotate di un ambiente principale
dotato di finestre che affacciavano sulla strada o strutturate
intorno ad atri o a cortili interni, un’abitazione che oggi
diremo a disposizione del ceto medio, di quelle persone che non sono
ricche, ma tutto sommato non muoiono di fame. Salendo i gradini
dell’edificio il discorso cambia, i vari ambienti sono sempre più
angusti, pericolanti e spesso senza finestre, fino ad arrivare agli
ultimi piani dove il tutto si riduce ad una mansarda sporca e
maleodorante, inutile dire che ai piani più alti, si stabiliscono i
più poveri, coloro i quali in caso di incendio, o crollo, non hanno
alcuna via di scampo. Seneca ci offre uno spaccato di quella vita,
una volta ritiratosi dalla politica, ci racconta che si trasferì in
un’abitazione sopra a delle terme, condividendo l’appartamento
con un falegname. Nei suoi racconti è suggestivo come il rumore
della strada e dell’acqua delle terme si mescolino insieme,
scandendo ogni momento della giornata. Nei piani inferiori delle
insulae, sono spesso presenti negozi, laboratori o locande.
Tuttavia
si può affermare che la maggioranza della popolazione non avesse
grosse possibilità economiche, anzi, una parte non ne aveva
decisamente, e proprio per questo motivo che ad un certo punto, ogni
ambiente che fosse anche solo parzialmente coperto divenne per così
dire abitabile. I sottotetti invasi dai piccioni, divennero quindi
appartamenti per i più poveri, l’unica comodità di cui
disponevano era un catino ai piedi delle scale ove scaricare
contenuti di vario tipo, purtroppo però molte volte si preferiva
gettare il tutto dalla finestra più vicina, insomma più scale
si facevano, più il prezzo scendeva, ma la speculazione era arrivata
a livelli tali che spesso si registrarono subaffitti di locali di
appartamenti già abitati. Per concludere infine una satira di
Giovenale che rende bene l’idea di cosa potesse significare vivere
a Roma in quel periodo: «Tante
volte puoi morire, quante sono di notte le finestre aperte sulla
strada per la quale passi. Augurati quindi che le finestre si
contentino di versarti sulla testa i contenuti dei loro catini».
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