La nostra impreparazione bellica Edolo, 20 settembre 1915

I nostri uomini sono calzati in modo da far pietà: scarpe di cuoio scadente e troppo fresco per l’uso, cucite con filo leggero da abiti anzi che con spago, a macchina anzi che a mano. Dopo due o tre giorni di uso si aprono, si spaccano, si scuciono, i fogli delle suole si distaccano nell’umidità l’uno dall’altro.
Un mese di servizio le mette fuori d’uso.
Questo fatto ridonda a tale danno, oltre che all’economia dell’erario, del morale delle truppe costrette alla vergogna di questa lacerazione, e, in guerra, alle orribili sofferenze del gelo! Quanta abnegazione è in questi uomini così sacrificati a 38 anni, e così trattati! Come scuso, io, i loro brontolamenti, la loro poca disciplina! Essi portano il vero peso della guerra, peso morale, finanziario, corporale, e sono i peggio trattatati. Quanto delinquono coloro che per frode o per incuria li calzano a questo modo; se ieri avessi avuto innanzi un fabbricatore di calzature, l’avrei provocato a una rissa, per finirlo a coltellate.
Noi Italiani siamo troppo acquiescenti al male; davanti alle cause della nostra rovina morale diciamo: “E va ben!”, e lasciamo andare. […] Non posso far nulla: sono ufficiale, sono per giuramento legato a un patto infrangibile di disciplina; e poi la censura mi sequestrerebbe ogni protesta. […] Chissà quelle mucche gravide, quegli acquosi pancioni di ministri e di senatori e di direttori e di generaloni: chissà come crederanno di avere provveduto alle sorti del paese con i loro discorsi, visite al fronte, interviste, ecc. Ma guardino, ma vedano, ma pensino come è calzato il 5° Alpini!
da C. E. Gadda, Giornale di guerra e prigionia, Einaudi, Torino

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