La battaglia del Tagliamento: il sacrificio della Brigata "Bologna" sul Monte di Ragogna e lo sfondamento imperiale di Cornino (30 ottobre - 3 novembre 1917)
Conquistata
la cittadina di San Daniele e l’intero circondario di Majano, alla
sera del 30 ottobre la 12a Divisione di Fanteria germanica, la 50a
Divisione di Fanteria austro-ungarica, la 55a Divisione di Fanteria
austro-ungarica e alcuni reparti della 13a Divisione Schützen
austro-ungarica convergevano sui ponti di Pinzano, Pontaiba e
Cornino, le cui difese risultavano imperniate rispettivamente sul
Monte di Ragogna e sull’Isolotto del “Clapàt”. Giova
sottolineare che, in quei giorni, il Tagliamento presentava una
tumultuosa piena ed i ponti rappresentavano l’unico strumento
possibile per valicarlo in massa. Già avevano assistito a quel
terrificante spettacolo naturale le centinaia di migliaia di soldati
italiani in ritirata, oltre ai tantissimi profughi civili che avevano
scelto abbandonare i propri focolari per esodare verso l'interno del
Regno. Ai fini dell’avanzata austro-germanica, la necessità di
conquistare almeno uno dei tre ponti del Medio Tagliamento (Pinzano,
Pontaiba e Cornino) aveva la priorità. Per converso, le retroguardie
italiane ingaggiarono la battaglia con una disposizione di resistenza
ad oltranza, che tradiva da una parte la speranza del Comando Supremo
di arrestare il nemico sul Tagliamento, dall'altra parte la necessità
di frenare l'avanzata austro-germanica per dare tempo e spazio al
resto dell'esercito di ripiegare dietro il Tagliamento, di
riorganizzarsi almeno in parte e, se necessario, di arretrare in
sicurezza fino al Piave. Alla sera del 30 ottobre 1917, la testa di
ponte di Ragogna era presidiata dalla Brigata "Bologna",
rinforzata da un battaglione della Brigata "Barletta" e da
alcune compagnie mitragliatrici. Responsabile della testa di ponte
era il Colonnello Brigadiere Carlo Rocca, comandante titolare della
"Bologna". L’Isolotto del Clapàt, affiorante nel bel
mezzo del Tagliamento tra i due tronconi del ponte di Cornino, veniva
guarnito da centinaia di uomini delle Brigate "Genova" e
"Siracusa" oltre che di alcune compagnie mitragliatrice
autonome, agli ordini del Generale Tesei: tutto quanto rimaneva delle
due unità, dopo i difficili combattimenti sostenuti nelle precedenti
giornate. Poco a tergo di questi valorosi veterani, si attendava un
battaglione del 234° Reggimento della Brigata "Lario". Un
altro battaglione della medesima brigata era appostato oltre
Flagogna, mentre nel vasto e articolato territorio montano tra
Forgaria, l’Altopiano di Monte Prat, il Monte Covria e Peonis si
trovavano i circa cinquemila uomini della Brigata "Lombardia",
comandati dal Colonnello Brigadiere Vito Puglioli. Presso Pinzano
erano invece schierati due battaglioni misti riconducibili alle
Brigate "Barletta" e "Parma". L’artiglieria
italiana si contava in poche batterie di piccolo e medio calibro
appostate sulle alture della destra Tagliamento, con scarsa dotazione
di munizioni. Tutte queste compagini risultavano mobilitate nel Corpo
d’Armata Speciale che, agli ordini del Generale Antonino Di
Giorgio, fu costituito per disposizione del Generale Cadorna tra il
26 ed il 27 ottobre 1917, non appena si palesò la dolorosa necessità
di evacuare il fronte isontino e di imbastire un fronte di resistenza
sul maggior fiume friulano. Invero, la grande unità “d’emergenza”,
distesa lungo il Medio Tagliamento tra Spilimbergo e Trasaghis, si
trovò a sopperire interamente alla funzione difensiva della oramai
sfasciata ala sinistra della 2a Armata. Nonostante l’inferiorità
di uomini e mezzi, il clima moralmente deleterio, l'assenza di un
costante appoggio d’artiglieria e l'incompletezza delle trincee
esistenti, l’ordine che le retroguardie italiane ricevettero dai
propri comandi si ravvisava chiaro: “Resistere sino all’ultimo
uomo e all’ultima cartuccia!”. Sin dal pomeriggio del 30 ottobre,
le truppe delle divisioni austro-ungariche del Gruppo Krauss
vanamente attaccarono il ponte di Cornino, ben protetto dalle
mitragliatrici piazzate sull’Isolotto del Clapàt e dai pochi
cannoni italiani che dalla destra del fiume spazzavano il ramo
orientale del ponte, danneggiato ma non demolito per opera dei
genieri del 1° Reggimento Zappatori. Anche il 63° Reggimento della
12a Divisione Slesiana operò un colpo di mano verso Muris, ma i
fanti della "Bologna" e del III/137° Reggimento Brigata
"Barletta" arginarono, invero con perdite gravi, la falla.
All’alba del 31 ottobre, la K.u.K. 50a Divisione di Fanteria del
Generale Karl Gerabek e la 12a Divisione di Fanteria germanica, la
“Slesiana” agli ordini del Generale Arnold Lequis (che il 24
ottobre aveva sfondato dinnanzi a Tolmino ed era penetrata per ben
venti chilometri entro le linee italiane) investirono la testa di
ponte di Ragogna, conquistando San Giacomo. Contemporaneamente, la
13a Divisione Schützen austriaca scatenava con la sua artiglieria un
furioso bombardamento sulle trincee tenute dalle fanterie italiane e
colpiva le regie bocche da fuoco dislocate tra i rilievi di Pinzano.
Più volte gli assaltatori avevano risalito i pendii sovrastanti il
paese di Muris ed il Rio del Ponte, ma si ritrovarono costretti al
ripiegamento dall’inaspettata reazione italiana. Alle 3 a.m. del 1°
novembre 1917, i mitraglieri appostati sul Clapàt si sganciarono
sulla riva destra del Tagliamento in piena, mentre i genieri del 1°
Reggimento danneggiavano l’arcata occidentale del ponte di Cornino.
La carenza e la scarsa qualità dell’esplosivo non permisero,
tuttavia, la totale distruzione dell’opera. Nello stesso tempo, il
ponte ligneo di Pontaiba veniva dato alle fiamme dai genieri
italiani: l’unica via di scampo per gli eroici fanti della Brigata
"Bologna", esemplari nell’attuare l’ordine di difesa ad
oltranza del Monte di Ragogna, rimaneva il ponte di Pinzano. Alle
prime ore di luce del 1° novembre 1917, la 12a Divisione germanica,
appoggiata da decine di batterie e rincalzata da un reggimento della
13a Schützen, nonché dotata delle micidiali mitragliatrici leggere
di ultima generazione L.M.G. 08/15, sferrò l’attacco che voleva
rivelarsi decisivo. Pur giungendo a circa 300 metri dal ponte di
Pinzano, l’impeto degli slesiani veniva respinto dagli uomini
superstiti del 40° Reggimento della Brigata "Bologna". La
50a Divisione austro-ungarica riusciva invece a conquistare la cresta
del Monte di Ragogna, senza però sbaragliare il 39° Reggimento
Fanteria italiano che, nonostante le tante perdite, in parte poté
ripiegare e restringere il suo fronte difensivo sulle propaggini
sovrastanti San Pietro. Tuttavia, le squadre più avanzate della 12a
slesiana erano giunte a poche centinaia di metri dal ponte di
Pinzano, che iniziavano a bersagliare con mitragliatrici e
artiglierie di piccolo calibro al fine di porre fuori uso il sistema
di mina apprestato dagli italiani. La gravità della situazione
impose al Generale Carlo Sanna, comandante la 33a Divisione, di
ordinare la demolizione del ponte di Pinzano. Udendo i combattimenti
che divampavano tra le case di San Pietro, i genieri innescarono le
cariche. Alle 11:25 del 1 novembre 1917, una fragorosa detonazione
mandava in polvere l'arcata occidentale del ponte di Pinzano,
precludendo ogni possibilità di salvezza ai difensori ancora in armi
sulla sinistra del Tagliamento. Ciononostante, i fanti della
"Bologna" opposero una disperata resistenza sino al
pomeriggio, quando furono inesorabilmente sopraffatti, anche a causa
della mancanza di munizioni e viveri. Tragedia nella tragedia, appena
brillate le cariche esplosive che demolirono il ponte di Pinzano, la
regia artiglieria aprì il fuoco di repressione sul Monte di Ragogna,
falciando sia le fila austro-germaniche, sia i soldati italiani
(prigionieri o combattenti che fossero). Centinaia di militari
austro-germanici e italiani trovarono la morte sulle falde del Monte
di Ragogna e fra le case dei sottostanti paesi. Presso il monumento
ai Caduti di San Giacomo di Ragogna, tuttora esiste un cippo eretto
dal Dipartimento Cimiteriale germanico a ricordo di 37 soldati
italiani, sepolti in una fossa comune. Solo circa seicento fanti
riuscirono a porsi in salvo oltre il Tagliamento in piena. I
rimanenti, più di quattromila difensori, furono catturati dagli
austro germanici nei combattimenti del 30-31 ottobre e sopratutto
nell’atto finale del 1° novembre. Scendeva la sera del 1 novembre
1917: sulla Piazza Vittorio Emanuele II di San Daniele, il comandante
prussiano della 14a Armata imperiale, Generale Otto von Below,
concesse agli ufficiali prigionieri della “Bologna” ed al suo
valoroso comandante, Colonnello Carlo Rocca, l’Onore delle Armi.
Anche la Relazione Ufficiale Austriaca, come varie fonti italiane,
rammenta “l’eroica difesa” sostenuta dalla Brigata "Bologna"
e dalle unità a essa aggregate sulla testa di ponte di Ragogna.
Scardinato il Monte Ragogna, il Generale Principe Felix zu
Schwarzenberg con la sua 55a Divisione puntò allo sfondamento del
fronte a Cornino. In merito al nobile austriaco, si rammenta anche il
coraggioso tentativo di guidare personalmente il forzamento a nuoto
del Tagliamento ingrossato. Nelle sue “Lettere dal Fronte”, il
Principe rievoca l’assalto-guado fallito: “…Ovunque, dove mi
muovevo, mi coprivano parecchie mitragliatrici, schierate in avanti
sulle bancate sabbiose tra i rami del fiume per riuscire a colpire le
posizioni nemiche sull’Isolotto del Clapàt con un fuoco di fianco,
le quali erano comandate da due ufficiali inferiori. Arrivati presso
piccole branche del fiume, quei due comandanti della truppa dissero:
<< Qui l’acqua è troppo profonda, qui nessuno passa!>>
Sentito ciò, sono entrato nell’acqua che mi arrivava a metà busto
e non mi sembrava troppo fredda. Appena dopo, anche le truppe del
reparto si tuffarono nel fiume con risate e grida ed alla fine si
tuffarono anche quei due signori!” Nonostante lo slancio di
Schwarzenberg, i reiterati attacchi scagliati da reparti della 50a e
soprattutto della 55a Divisione di Fanteria austro-ungarica al ponte
di Cornino, fallirono. La resistenza dei difensori, soccorsa dalla
piena del Tagliamento, inizialmente rigettò le velleità delle
colonne d’assalto imperiali. Il 1° novembre, le retroguardie
italiane abbandonarono l’Isolotto del Clapàt e retrocessero la
linea di difesa sulla riva destra del fiume. I genieri fecero saltare
il tronco occidentale del ponte di Cornino: l’esplosione
accartocciò la carreggiata ferroviaria, ma non i piloni in pietra
che continuavano a infrangere le gelide acque del Tagliamento in
piena. Nella sera del 2 novembre 1917, con l’ausilio della
spregiudicata azione delle artiglierie schierate in posizione
avanzata e gettando una traballante passerella tra i piloni
sopravissuti all’esplosione, i soldati bosniaci del Capitano Eugen
Redl (K.u.K. IV Battaglione del 4° Reggimento Fanteria Bosno
Erzegovinese) piombarono di sorpresa sulla riva destra del
Tagliamento. Sopraffatta la debole reazione dei fanti del II/234°
(Brigata "Lario"), vinto il pur pugnace contrattacco del
II/73° Fanteria (Brigata "Lombardia") e liquidato il moto
del I/234° Fanteria (Brigata "Lario"), i bosniaci, man
mano rinforzati dai camerati che transitavano sul frettolosamente
riattato ponte di Cornino, disarticolarono il fronte nemico. Nella
mattinata del 3 novembre 1917, la Testa di ponte austro-ungarica
comprendeva Flagogna e il ponte sul Fiume Arzino. I germanici della
12a Divisione slesiana attraversavano intanto il Tagliamento sui
resti, ripristinati anche mediante gittamento di pontoni, del ponte
di Pontaiba. Poca cosa poterono le fucilate degli sparuti fanti,
appartenenti alla Brigata "Barletta", presenti in loco. Dal
canto suo, l’azione difensiva della Brigata "Lombardia",
la quale combatté con tenacia dal 3 al 5 novembre in sanguinosi ma
frazionati episodi tra San Rocco, Monte Prat e Monte Covria, non
prese mai la forma di quel contrattacco che in un primo tempo (forse)
avrebbe potuto rigettare il nemico nelle acque del Tagliamento. Il 4
novembre 1917, la progressione verso occidente delle divisioni 12a
germanica e 55a austro ungarica, subito rincalzate dalla K.u.K. 50a
Divisione di Fanteria, dalla K.K. 22a Divisione Schützen e dalla
“Deutsche Jäger Division”, si profilava di tale gravità da
costringere il Comando Supremo italiano a disporre al proprio
esercito l'esecuzione della ritirata generale dietro il Fiume Piave.
L’azione difensiva sul Monte di Ragogna e dinnanzi a Cornino
permise al Regio Esercito di acquistare cinque giorni a pro della sua
ritirata/riorganizzazione, scalfendo l’imbattibilità degli
attaccanti che dovettero impegnarsi nelle reiterate e costose azioni
descritte. Il successo della grande operazione di retroguardia appare
però ridimensionato dalla decisione dei comandi italiani di
sacrificare una brigata efficiente come la "Bologna",
quando l’unità aveva oramai svolto il proprio compito principale e
si manifestava ancora praticabile il suo salvataggio. Che le ragioni
di quella decisione fossero morali (far vedere che c'era ancora
qualcuno disposto a non cedere) piuttosto che strategiche, (la
speranza di fissare il fronte sul Tagliamento e quindi la volontà di
mantenere sul Monte di Ragogna un’utile testa di ponte), poco
importa sul piano concreto: si trattò di una scelta discutibile per
la causa bellica italiana e fatale per il destino di migliaia di
uomini. Lo sfondamento imperiale occorso tra il 2 e il 3 novembre
1917 all’altezza di Cornino, da taluni denominato la “Seconda
Caporetto”, impresse agli eventi una velocità di manovra che si
rivelò minacciosa per il ripiegamento italiano. Tant’è che la
repentina avanzata austro-germanica, con la complicità delle non
sempre pronte contromisure adottate dagli italiani, intrappolò le
regie 36a Divisione e 63a Divisione tra le Prealpi Carniche,
annientate combattendo nella battaglia di Pradis e di Tramonti; di
più, permise al Battaglione da Montagna del Württemberg (un ruolo
primario ebbe il distaccamento guidato dal Tenente Erwin Rommel -
transitato il 5 novembre sul ponte di Cornino) di catturare presso
Longarone la “grande coda” della 4a Armata, quasi 10.000 uomini
in ripiegamento dal Cadore.
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