1917, La guerra in Valsugana
Il
1917 si apre con i postumi del terribile inverno: a Forcella Magna
(2.214 m) si sono registrate precipitazioni complessive per
quattordici metri di neve. La viabilità in quota è assai limitata e
i disagi si prolungano fino al maggio 1917.
In
fondovalle la situazione ristagna, con le forze austriache schierate
lungo la destra idrografica del torrente Maso dalla Val Calamento
(spigolo di monte Valpiana – monte Setole – Tramenaga) e tra i
paesi di Carzano e Castelnuovo in fondovalle. In destra Brenta monte
Civeron è ancora teatro, fino ad agosto, di scontri brevi, ma
cruenti: obiettivo degli attacchi italiani è la quota 775 (il
“Boccardin”), fortificata e resa imprendibile dagli austriaci. A
metà agosto gli italiani ripiegano sulla destra del rio dei Carrari
e della Val Maora (costone del Col del Zibìlo), abbandonando le
posizioni avanzate del Cafelòto e di quota 696 del Civeron
(localmente Col delle Merde), prontamente rioccupate dagli austriaci.
Le
ripercussioni della battaglia dell’Ortigara, che dal 10 al 25
giugno infuria più a sud sull’orlo dell’Altopiano, sono minime
in Valsugana: alcuni attacchi subito abortiti contro il Civeron e
nulla più. Tranquillità assoluta in Val Campelle, dove sono minime
anche le azioni di pattuglia, mentre aumentano i disertori austriaci
(soprattutto di nazionalità rumena, polacca, dalmata e
cecoslovacca).
A
metà agosto prende avvio la vicenda nota come “il sogno di
Carzano”: un gruppo di traditori di nazionalità ceca e boema,
comandati dal tenente sloveno Ljudevit Pivko, concorda con gli
italiani un colpo a sorpresa presso il paese di Carzano: gli
avamposti presso Castellare e Scurelle saranno messi fuori
combattimento drogando con oppio il rancio, verrà interrotta la
corrente elettrica nei reticolati, gli italiani verranno guidati da
congiurati esperti dei luoghi all’occupazione dei punti più
importanti della linea, colonne volanti di truppe d’assalto
dovranno infiltrarsi nelle retrovie austriache e penetrare verso
Levico e Pergine, magari fino a Trento. Ma l’operazione,
poveramente condotta nonostante la pianificazione accurata, fallisce
miseramente con oltre un migliaio di perdite per gli italiani: dopo
un avvio promettente nella notte del 18 settembre, i bersaglieri
vengono contenuti tra Telve e Carzano e all’alba si trovano
circondati dai rinforzi austriaci, giunti nel frattempo. Le migliaia
di uomini ammassati tra il Tesino e Strigno restano inutilizzati e
non possono evitare il massacro che si consuma il mattino seguente
all’interno di Carzano, dove la lotta infuria tra gli incendi e le
esplosioni fino al pomeriggio. Gli austriaci accuseranno circa 250
perdite, a fronte della cifra sei volte superiore di italiani fuori
combattimento.
Il
24 ottobre è il giorno di Caporetto. Le conseguenze della disfatta
sull’Isonzo si manifestano in Trentino solo all’inizio di
novembre, quando il fronte viene arretrato sulla linea Melette di
Foza – Canal di Brenta all’altezza di San Marino – Monte Grappa
– Fiume Piave. Le trincee di Ospedaletto e del Lagorai sono
evacuate tra il 7 e l’11 novembre, così come le linee di cima
Caldiera e di cima d’Asta. Il ripiegamento avviene sotto la
protezione di reparti di retroguardia che si sacrificano a forte
Campo, sull’altopiano di Celado e al forte di cima Lan per
rallentare le avanguardie avversarie. A cima Campo il comando e una
compagnia del battaglione Monte Pavione (350 uomini circa) resistono
per due giorni e poi, accerchiati e privi di munizioni, si arrendono
la sera del 12 novembre nel forte ormai disarmato delle artiglierie.
I
due forti di Primolano, del Tombion, del Covolo di S. Antonio e di
cima Lan sono fatti esplodere. Cadono intatti in mano avversaria
forte Lisser e forte Campo. Abbandonati e inutili restano gli
appostamenti in caverna di Coldarco (sotto Enego) e quelli in
barbetta di Col del Gallo (a est del Tombion). La Valsugana trentina
diventa retrovia dell’armata austroungherese impegnata nello
scontro finale sul Grappa e sull’altopiano dei Sette Comuni.
https://www.mostradiborgo.it/la-guerra-in-valsugana/
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