1916, inferno in Valsugana
Dopo
un inverno parco di neve ma estremamente rigido nelle temperature, al
punto da far registrare tra le regie truppe svariati casi di
assideramento e congelamento, le operazioni militari riprendono tra
gennaio e marzo 1916, quando la Compagnia Baseggio, con reparti di
fanteria e un battaglione alpino provvisorio formato dagli elementi
non in licenza dei battaglioni Val Cismon e Val Brenta, sposta più
avanti la linea d’occupazione in fondovalle penetrando in Roncegno,
Torcegno e Marter e iniziando la salita del costone orientale del
Panarotta. Proprio alle falde di questo monte, attorno al cocuzzolo
di quota 1.450 dove sorge la chiesetta di Sant’Osvaldo, tra il 4 e
il 6 aprile si consuma il sacrificio della Compagnia Baseggio, che
esce dagli scontri letteralmente distrutta e con meno di 60 uomini
ancora in grado di combattere sugli oltre 450 in organico. Tra il 12
ed il 13 aprile l’attacco italiano si sviluppa in grande stile, con
l’impiego di oltre settemila uomini, sia sul fondovalle, verso
Novaledo, sia sui fianchi contro monte Carbonile (a sud), monte Broi
e Sant’Osvaldo (a nord del Brenta). Fallita immediatamente in
Valsugana, l’offensiva sembra avere inizialmente successo sui
fianchi: la fanteria italiana occupa di slancio monte Carbonile e
anche il Sant’Osvaldo è preso. Qui, sull’onda del successo, le
regie truppe iniziano addirittura, con la neve al ginocchio, la
salita verso la sommità del Panarotta. Ma il contrattacco
austroungarico smorza presto ogni velleità: il 14 aprile trecento
Landesschützen riprendono il Carbonile e due giorni più tardi una
violentissima e protratta azione a tenaglia travolge le
neoconquistate posizioni italiane in sinistra Brenta: cadono
Sant’Osvaldo e monte Broi e gli italiani ripiegano anche da Marter,
rischierandosi su una linea che da monte Colo scende al torrente
Larganza, davanti a Roncegno.
Una
calma relativa scende sulla valle fino alla vigilia dell’offensiva
austriaca del maggio 1916, definita più tardi “Strafexpedition”
(spedizione punitiva): si trattava di un attacco progettato per
sfondare le linee italiane tra Adige e Brenta, con lo sforzo
principale concentrato sugli altipiani di Vezzena, Lavarone e
Folgaria. In Valsugana e sui monti a nord erano previste piccole
azioni dimostrative, destinate a trattenere truppe nemiche altrimenti
spostabili contro il fronte principale d’attacco. Un primo attacco
austroungherese su monte Colo il 15 maggio si risolve dopo dodici ore
in un disastro, con la perdita di centinaia di uomini e nessun
guadagno territoriale, mentre sul lato opposto della Valsugana, in
Val di Sella, un’azione convergente di due agguerriti battaglioni
sfonda la linea italiana all’altezza della grotta di Costalta e
della Malga Busa del Mòchene, cioè sulle ali della linea di
sbarramento. Aggirato sui fianchi, lo schieramento di Val di Sella
crolla in pochi giorni permettendo la lenta, ma inesorabile discesa
austriaca verso Olle: si viene così a creare un varco sul fianco
destro della linea italiana sull’altopiano dei Sette Comuni,
prontamente sfruttato dal nemico per risalire da Sella sul
fondamentale bastione di cima Portule e innescando anche qui un
drammatico ripiegamento italiano. Allo stesso tempo, in Valsugana,
l’arrivo degli austriaci a Olle e Borgo obbliga al ripiegamento
anche le truppe di Roncegno, monte Colo, monte Ciste, Salubio, Val
Calamento, monte Setole. Passo Cinque Croci e Col di San Giovanni
sono in mano avversaria già dal 16 maggio grazie a un colpo di mano
che ha messo in fuga il presidio di alpini del battaglione Val
Brenta, ripiegato a Forcella Magna.
Dopo
accaniti combattimenti, tra 23 e 26 maggio gli italiani abbandonano
anche monte Civeron (aggirato da un reparto d’assalto austriaco
sceso dall’altopiano), Telve, Carzano, Scurelle, Spera e Strigno,
per schierarsi sulla linea trincerone di Ospedaletto – monte Lefre
– Bieno – Samone – monte Frattoni – monte Cima – Forcella
Dogo – cima Ravetta – cima Primaluna – Tombolin di Caldenave –
Cresta Ravetta – cima Trento – cima Brunella – Forcella Orsera
– cima Orsera – cima Buse Todesche – Cengello – Forcella
Magna – cima d’Asta.
Esauritasi
la spinta offensiva austroungherese, i contrattacchi italiani del
giugno 1916 cambiano di poco la situazione, obbligando l’avversario
a ripassare il torrente Maso solo all’inizio di luglio e
stabilizzando il fronte proprio lungo la linea di separazione
individuata dal torrente Maso di Campelle. Gli austriaci mantengono
solamente una piccola, ma fastidiosa e fortificatissima testa di
ponte in sinistra Maso, all’altezza degli abitati di Palua,
Pianezze e Castellare, a dominio della piana tra Scurelle, Strigno e
Ospedaletto. Sul finire dell’estate, proprio attorno a questo
caposaldo si verificano violenti scontri, contemporanei alle
sanguinose azioni italiane volte a risalire sul Civeron, reso
imprendibile dagli zappatori imperialregi.
Il
lungo e pesante inverno ‘16/’17 esige il suo tributo di vittime
anche sui Lagorai. Il 13 dicembre 1916 è il giorno più nero per
ambedue gli schieramenti: in alta Val Calamento una valanga travolge
un accampamento di portatori russi e di riserve austriache uccidendo
95 persone, mentre in Val Fierollo altre slavine seppelliscono un
intero ospedaletto da campo italiano.
https://www.mostradiborgo.it/la-guerra-in-valsugana/
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