1.3 la battaglia, 12 Maggio 1917
Alle ore 4,30 comincia l’azione dell’artiglieria da Auzza al
Vipacco, con brevi interruzioni per accertare l’esito del fuoco sui
reticolati e sulle linee austriache; il martellamento prosegue con
vigore per ben due giornate, provocando anche una vivace reazione del
nemico. Secondo la Relazione Uffi ciale italiana: “il tiro della
nostra artiglieria, per quanto preciso ed effi cace, non era tuttavia
suffi ciente a demolire le ampie e sicure caverne retrostanti alla
prima linea, nella quale l’avversario era rimasto riparato durante
la preparazione del - 11 - fuoco di distruzione, per uscirne all’atto
in cui le nostre truppe si accingevano ad avanzare”.5 Presso il II
Corpo avviene il “siluramento” del comandante titolare, gen.
Garioni, giudicato “indeciso e sfi duciato” da Capello e
sostituito quindi dal gen. Badoglio. 14 maggio 1917 Alle ore 12.00
scattano da Plava le fanterie del II corpo (3° e 60° divisione)
14 maggio 1917
Alle ore 12.00 scattano da Plava le
fanterie del II corpo (3° e 60° divisione), mentre il forzamento
settentrionale dell’Isonzo a Loga e Bodrez, verso la Bainsizza,
viene rimandato al giorno seguente. La brigata Udine occupa di
slancio quota 383 est, dedicata al gen. Montanari che vi era caduto,
e avanza verso q. 363 e il vallone di Paljevo. Il Colonnello
Brigadiere Pantano Gherardo, Comandante della Brigata, a tal
proposito afferma nella sua relazione: “Il terreno era divenuto
qualche cosa di straordinariamente caotico; benché l’ostacolo
fosse completamente infranto, rottami di ogni genere, buche profonde,
camminamenti franati, grovigli di reticolati, fi li spinosi a mucchi,
rendevano penosissimo il passaggio. I soldati, fra quelle rovine,
procedevano forzatamente lenti; quelli più in basso porgevano le
armi a coloro che avevano potuto salire…”. Al suo fianco la
brigata Firenze, frammista a reparti di bersaglieri, tende allo
inizia a muoversi la 53° Divisione (gen. Maurizio Gonzaga):
la brigata Avellino raggiunge con gravi perdite il primo fortino di
Zagomila. Più a est il VI corpo (Brigata Campobasso) occupa di
sorpresa, nel tardo pomeriggio, la vetta del monte Santo; quindi ne è
ricacciato nella notte da un contrattacco; falliscono anche tutti i
tentativi contro il San Gabriele e Santa Caterina. Di fronte a
Gorizia l’VIII corpo occupa un’altura presso Tivoli e una piccola
quota sul San Marco, poi è ovunque arrestato.
15 maggio 1917
Nel corso della notte nuclei di bersaglieri e alpini forzano l’Isonzo
e occupano una testa di ponte attorno a Loga e Bodrez, sulla
Bainsizza; ciò attira a nord alcune riserve austroungariche. Nel
settore del II Corpo, intanto, la brigata Udine è fermata intorno a
q. 363; la brigata Firenze, seguita da reparti della Teramo,
conquista quota 535 del Kuk e ascende faticosamente verso la vetta
(q. 611); più giù la brigata Avellino espugna Zagora e i fortini di
Zagomila, operando poi lungo il versante sud del Vodice e tendendo
alle sommità occidentali del monte. La brigata Palermo ritenta la
salita a Monte Santo, ma resta bloccata sul versante. Gli assalti
degli altri Corpi d’Armata falliscono
La sera Cadorna e Capello si incontrano e, fi duciosi nei successi
conseguiti sul Kuk, decidono di proseguire gli attacchi per
conseguire un successo strategico.
16 maggio 1917
Nella notte la brigata Firenze
arresta alcuni contrattacchi nemici e, di slancio, espugna alle ore
9,00 q. 611, catturando 800 prigionieri e molte armi. Intanto la 53°
divisione prosegue da sud l’attacco contro il Vodice, raggiungendo
la sella di q. 524 (verso il Kuk) e l’anticima di q. 592. Scrive al
riguardo Antonio Baldini:“Nascosto fra i roccioni in cresta
del Sabotino, ho seguito come un ladro la battaglia sul passo del
Vodice… Le artiglierie scuotevano tutta la montagna: e gli echi
prigionieri nella gola dell’Isonzo urlavano sopraffacendosi come
onde in tempesta, onde che pareva ogni tanto schiumassero fi n sulle
creste per sbordare e liberarsi: e questi ploranti boati concorrevano
a mettere tra la precipitosa scogliera del Sabotino e le ripide del
Vodice e del Santo non so che distanza leggendaria, di paura: e gli
occhi poi si meravigliavano come allucinati di poter leggere tanto
chiaramente nella montagna combattuta lì di faccia. Era come una
grande pagine della Guerra quella spiegata davanti a me: una pagina
scura e bruciata, di boschi fumosi , di strade rovinate, di rocce
calde, di terre lavorate a scale dal cannone: la grande pagina dove
il nemico ributtato oltre le cime, non poteva più leggere. Zagora,
cancellata dal cannone, Zagomila, scancellata, macerie pestate in
polvere fi na. L’anima correva sotto le creste del Vodice per
ritrovarvi i solddati che vi erano saliti un momento prima: i soldati
della brigata Avellino. Li scopriva annidati Ponte di Barche
sull’Isonzo. (archivio C.D.S.) - 14 - fra i sassi,infi nitamente
poveri, pietosamente minuscoli, sotto una bassissima corona di
esplosioni di shrapnel. Gruppetti di fi gli di madre, ogni tanto uno
spaventoso globo di fumo nero s’apriva in mezzo a loro, li copriva
con la sua ombra, e il terribile fragore arrivava solo dopo un
momento al nostro orecchio impietosito. Povera Avellino, dei tuoi
bravi fi gli non uno si muoveva dal suo posto. Il portasegnali teneva
ancora in piedi il piccolo disco. In fondo alla gola l’Isonzo
correva d’un verde delicato, come infuso di latte e d’ ambra,
all’ombra dei boschi ancora fi tti e scuri... ”.7 Il VI corpo
attacca ancora vanamente il monte Santo. L’VIII Corpo perviene a
una modesta avanzata su Grazigna.
17 maggio 1917
La giornata è destinata alla preparazione del prossimo attacco:
rafforzamento delle linee, sistemazione delle comunicazioni,
rifornimento d’acqua.
8 maggio 1917
La 53° divisione, su precise
direttive di Capello, lancia l’attacco per impadronirsi della
dorsale del Vodice e puntare al Monte Santo. Il gen. Gonzaga ordina
un attacco su tre colonne: quella di sinistra, composta dai fanti
della brigata Teramo, a cui si aggiunsero gli alpini del battaglione
Moncenisio, doveva avanzare da q. 592 su q. 652 (detta “il cappello
da prete”); quella centrale, composta da battaglioni alpini Monte
Levanna ed Aosta e dai fanti della brigata Girgenti, doveva avanzare
dalla posizione detta “Casa del Pastore” sempre contro la cuspide
del Vodice; quella di destra, composta dagli alpini del battaglione
Val Toce, avrebbe puntato alla sella di q. 503, verso il Monte Santo.
Mentre la colonna di sinistra è arrestata con enormi perdite, quella
centrale attacca alle 9,30 e, dopo prolungati e accaniti
combattimenti, perviene sulla vetta del Vodice (q. 652), espugnandola
alle ore 15,15 e resistendo a numerosi contrattacchi. Racconta il
capitano G. Vecchi, del battaglione Aosta: “…verso il
declivio sud-est nasce una mischia furiosa, il nemico è volto in
fuga,il ten. Maquignaz… insegue il nemico riuscendo con pochi
alpini a saltare dentro una caverna posta sul rovescio della trincea
austriaca creando momenti di panico e confusione determinanti nelle
truppe avversarie e obbliga alla resa 50 austriaci, catturando anche
due mitragliatrici. Per tutto il giorno e la notte il nemico tenta di
contrattaccare. I superstiti del battaglione, cui si aggiungono due
compagnie mitragliatrici e un reparto fanteria, si prodigano nella
difesa delle linee conquistate, mentre la vicinanza e quasi il
frammischiamento delle trincee avversarie, fa sì che anche qualche
colpo della nostra stessa artiglieria ci raggiunga e concorra ad
aumentare le nostre perdite”. Un altro testimone oculare dei
fatti, l’Onorevole Marcello Soleri, aggiunge particolari
interessanti: “Quando già avevamo raggiunto la quota 656 [in
realtà quota 652] , la nostra artiglieria, postata sull’antistante
Sabotino – Galleria rigurgitante degli spettatori e dei tifosi
della battaglia - continuava a sparare sulla detta quota, sebbene noi
tenessimo ben alzati i dischi che dovevano segnalare la nostra
presenza sulla vetta, ma che non venivano visti per la scarsa luce,
per la distanza, per il polverone. Il colonnello Testafochi si
attaccò inutilmente al telefono da campo, che i genieri telegrafi
sti con magnifi co ardimento ci facevano seguire nell’avanzata, man
mano che essa procedeva, e cercò invano di informare e persuadere il
comando del Corpo d’Armata che avevamo raggiunto la vetta. Impugnai
allora io la manopola del telefono, chiamai ed ottenni di parlare
personalmente col generale Badoglio, comandante il nostro corpo
d’armata, e gli confermai che ci trovavamo sulla quota 656 [in
realtà quota 652] , pregandolo di far spostare il tiro
d’artiglieria. Ma poiché egli sembrava dubitare della nostra
affermazione, concitato gridai: Generale, se non ci crede venga a
vedere. Si persuase, ma venutomi poi a visitare all’ospedale mi
disse che aveva lasciato impunita una tale risposta, solo perché
veniva da me”. Non riesce invece l’azione di destra, in
direzione del Monte Santo. Il gen. Capello, a questo punto, ordina di
concentrare tutti gli sforzi nell’area Vodice – Monte Santo, ed
ordina lo sgombero della promettente testa di ponte sulla Bainsizza
(l’operazione verrà felicemente realizzata nei giorni seguenti).
19 maggio 1917
La Brigata Teramo, ad organici
fortemente ridotti, perviene alla conquista della sella del Vodice e
viene subito rimpiazzata da nuclei di alpini dei battaglioni Monte
Granero, Val Pellice e Moncenisio. Su tutta l’area si susseguono
attacchi italiani e contrattacchi austriaci; secondo Baj-Macario:
“Lassù era un inferno, enormi le perdite, le malattie infettive
serpeggiavano, faticosissimi i lavori per scavare le trincee. Sotto
il bombardamento squillavano le note degli inni nazionali e marziali
suonati dalla musica divisionale. Solo col pugno d’acciaio si poté
tenere il Vodice”.
20 maggio 1917 La Brigata Palermo assalta i ruderi del convento del
M. Santo, ma un - 16 - contrattacco la respinge. Sul Vodice gli
alpini del battaglione Monte Granero e Val Varaita insieme ai fanti
della brigata Teramo occupano le case di Vodice, a q. 565, superando
le posizioni della “Selletta” e tendendo alla testata del Rohot e
alle pendici meridionali del Kobilek. La Brigata Elba inizia ad
avvicendarsi alla Teramo sulle posizioni raggiunte. Falliscono tutti
i tentativi di occupare q. 503.
21
– 22 maggio 1917
Risulta necessario avvicendare i reparti più provati con altri
freschi, ma l’artiglieria imperiale rende difficile ogni operazione
e arresta i tentativi di consolidamento del terreno conquistato.
23 maggio 1917 Mentre inizia
la grande spallata carsica, la battaglia dell’anfi teatro Goriziano
sta giungendo a un punto morto e i tentativi italiani di proseguire
l’avanzata risultano vani. La Brigata Girgenti, appoggiata da
reparti alpini del Val Pellice, del Monte Cervino e dai bersaglieri,
allarga l’occupazione sul pianoro della vetta del Vodice. Reparti
della Brigata Elba avanzano fi no alla testata del vallone del Rohot.
Proseguono intanto gli inutili assalti contro Monte Santo.
25 maggio 1917
Viene respinto all’alba un altro contrattacco austriaco. La 53°
Divisione (Bersaglieri e reparti della brigata Elba) nel pomeriggio
attacca ripetutamente q. 503 ma non riesce a raggiungere la posizione
per la forte resistenza nemica. Le truppe austriache, pressate su q.
363, sgombrano la posizione e si ritirano sulla linea
Deskla-Rohot-pendici del Vodice.
26 maggio 1917
Mentre proseguono le operazioni di assestamento attorno a Paljevo,
Cadorna decide di interrompere le operazioni nella Zona di Gorizia,
limitandosi a consolidare il terreno conquistato. Ma l’occupazione
del monte resta parziale, in quanto gli austroungarici ne controllano
ancora la q. 568, alcune posizioni sui fi anchi e il versante
settentrionale. 28 maggio 1917 Un contrattacco austriaco riconquista
la vetta del Vodice, ma viene presto respinto. In un ultimo slancio
offensivo, gli alpini del battaglione Monte Cervino insieme ai fanti
della Girgenti ed ai bersaglieri occupano alcuni camminamenti del
costone sud - orientale (dall’attuale monumento a Gonzaga verso la
sella di q. 503) e respinge i contrattacchi nemici.
Il bilancio della battaglia, da parte italiana, risulta solo
parzialmente positivo: le conquiste sono importanti e promettenti, ma
è mancato lo sfondamento atteso. Secondo la Relazione Uffi ciale:
“la cura posta nel predisporre la manovra in ogni particolare la
fede da tutti sentita nel successo e l’energia con cui fu condotta
la battaglia avrebbero fatto sperare di poterne trarre i frutti
maggiori. Questi invece mancarono essenzialmente per la scarsezza dei
mezzi. Con 300 bocche da fuoco pesanti in più e con altre sette o
otto divisioni, ben diverso avrebbe potuto essere il risultato della
battaglia”. 11 Le perdite sono state enormi: i 26 battaglioni
impegnati per la conquista del monte hanno perduto 500 uffi ciali e
11.000 uomini (oltre il 60% degli effettivi); la 53° divisione, alla
fi ne della battaglia, non esisteva più. Da parte austriaca, alla
soddisfazione per l’eroica resistenza attuata (la 5° Armata viene
onorata del nome “Isonzo Armee” per iniziativa dello stesso
Imperatore Carlo) si affi anca la constatazione delle
proporzionalmente altrettanto forti perdite subite, tali da inibire
al gen. Boroevic ogni ulteriore contrattacco su vasta scala. La
completa conquista italiana del Vodice avverrà soltanto nell’Agosto
1917, quale effetto dello sfondamento sulla Bainsizza; le truppe
imperiali, per evitare l’aggiramento, abbandoneranno le posizioni
attorno al monte Santo e andranno a trincerarsi saldamente sul San
Gabriele
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