1.1 L’esercito italiano nel maggio 1917 e la X battaglia dell’Isonzo
La
VI Battaglia dell’Isonzo aveva comportato, come sappiamo, il crollo
della testa di ponte di Gorizia, costringendo i comandi
austroungarici a ritirarsi precipitosamente su una linea appena
abbozzata ma forte naturalmente, tale da congiungere il Monte Kuk al
torrente Vertoiba e ricollegarsi alle posizioni carsiche fi no
all’Hermada e al mare. Diverse di queste posizioni assunsero ben
presto fama sinistra: il Vodice, l’imprendibile Monte Santo, il San
Gabriele, la sella di Santa Caterina, l’insignifi cante ma
imprendibile San Marco. Negli ultimi mesi del 1916 Cadorna concentra
la propria attenzione strategica essenzialmente sull’area
meridionale del fronte (le tre “spallate” del Carso), destinando
sull’anfi teatro Goriziano contingenti inferiori di truppa e
limitandosi ad attacchi sostanzialmente secondari. Perché tutto ciò?
La risposta può pervenirci dalla voce dello stesso Cadorna, il
quale, già il 16 Agosto 1916, aveva capito perfettamente che: “i
combattimenti svoltisi… hanno chiarito che la linea su cui
l’avversario ci contrasta l’ulteriore avanzata oltre l’Isonzo
non sono semplici posizioni di retroguardia, ma vere e proprie linee
fortifi cate, per avere ragione delle quali occorre, come la lunga
esperienza ci ha ormai insegnato, una preparazione dell’attacco
metodica e completa”.1 Un tale spiegamento preparatorio richiede
evidentemente tempo, organizzazione e metodicità: ecco dunque il
motivo per cui il Comando Supremo italiano “rimanda” a tempi
migliori il grande, inevitabile attacco alla dorsale montuosa dei
“Santi” che circondano Gorizia. L’inverno fra il 1916 e il 1917
vede il grande impegno dello stato italiano a costituire nuove
brigate, a dotare di munizionamenti e provviste di ogni genere
l’esercito, a dispiegare tutte le energie a disposizione per fi
nalmente pervenire alla soluzione vittoriosa del conflitto. L’11
aprile 1917 Cadorna è in condizione finalmente di muoversi: i
comandanti della 3° Armata (Duca d’Aosta) e della Zona di Gorizia
(gen. Luigi Capello) vengono incaricati di predisporre la nuova
battaglia, che dovrà investire, senza soluzione di continuità,
l’intera area del fronte fra l’Altipiano della Bainsizza, l’anfi
teatro Goriziano e il Carso. Si dovranno lanciare diversi
attacchi consecutivi, impiegando opportunamente l’artiglieria più
mobile, in modo da spiazzare tatticamente i comandi nemici
nell’impiego delle riserve, per poter conseguire il sospirato
sfondamento decisivo. Il pensiero di Cadorna, probabilmente (troppo)
concentrato su Trieste, riservava alla Zona di Gorizia un ruolo
“sussidiario” all’azione principale che si sarebbe svolta più
a sud, sotto la spinta di ben sedici divisioni fresche e ben dotate
di artiglieria. Il comando della Zona di Gorizia, reso autonomo dalla
Terza Armata e costituito il 10 marzo 1917 con i corpi d’armata VI,
VIII, XXVI (successivamente il XXVI era stato trasferito e
rimpiazzato dal II e dal XXIV), per un totale di dodici divisioni e
un gruppo alpino, aveva il compito di ingannare gli imperiali con una
falsa puntata a nord, sulla Bainsizza, per quindi concentrare la
propria azione sulla conquista del Kuk, del Vodice, del monte Santo,
del San Gabriele e del San Marco; immediatamente a seguire sarebbe
scattato il grande assalto della Terza Armata al Carso, dal Trstely
all’Hermada. Lo schieramento di artiglierie per l’azione
sussidiaria contava di 32 grossi calibri, 726 medi e 573 piccoli, 296
bombarde da 240 mm e 386 da 58 mm. Di fronte, gli austro-ungarici
schieravano il XVII corpo (gen. von Fabini) con27 battaglioni e 42
batterie, ed il XVI (gen. Kralicek) con 35 battaglioni e 85 batterie.
441 compagnie italiane si stavano per scontrare con 360 compagnie
austro-ungariche, con una superiorità numerica piuttosto limitata
considerando le precedenti esperienze. Il 2 maggio 1917 Capello
elabora in tutti i dettagli l’Operazione V: azione principale
contro la linea monte Kuk (611), monte Vodice, monte Santo, monte San
Gabriele; azione dimostrativa a nord, a ridosso dell’Altipiano
della Bainsizza; azione secondaria a sud, contro il monte San Marco e
i costoni digradanti su Vogersko. Alla vigilia della battaglia il
gen. Capello dichiara pomposamente: “La vittoria si deve
raggiungere al di la dell’ultima trincea”; “la fanteria deve
sentire in se stessa, nel suo spirito offensivo, nella perfetta
rispondenza fra la direzione risoluta dei capi e l’esecuzione
rapida e animosa dei gregari, il segreto della vittoria”; “lo
slancio della fanteria sarà preceduto e sorretto da una tremenda
ondata di ferro e di fuoco, destinata a sconvolgere ogni insidia ed a
ripristinare il libero e vasto campo in cui al più ardito e al più
forte è assicurata la vittoria”.
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