I campi di battaglia del 1915-1916 sul Carso isontino

Impero austro-ungarico. Dopo nove mesi di tentennamenti, l'esercito italiano guidato dal Generale Luigi Cadorna mosse alla volta dei confini per la conquista di Trento e Trieste. L'esercito austro-ungarico, fin dall'inizio del maggio 1915, temendo un tradimento dell'alleato (ricordiamo che l'Italia, nel periodo prebellico, faceva parte della Triplice alleanza con Germania ed AustriaUngheria) cominciò a rafforzare militarmente le zone del confine orientale. Davanti e sul Carso Monfalconese nonché sul Collio Goriziano si cominciarono a scavare le prime trincee, rinforzate in alcuni punti da cemento. Nonostante il lavoro incessante dei prigionieri di guerra russi, della territoriale e di lavoratori mobilitati del luogo, quando i soldati dell'Impero accorsero tra la fine di maggio e l'inizio di giugno per difendere i confini, trovarono solo pochi ricoveri in cemento armato (limitatamente ubicati nella zona del Monte Sabotino e del Monte Podgora) e fortificazioni graffiate nella roccia carsica con parapetti di pietre, il più delle volte riparate da muri a secсо usati dai contadini per dividere le proprietà. Tuttavia, anche se le opere difensive austriache risultavano spesso approssimative, la natura delle
alture carsiche era di per sé atta alla difesa (se ne accorsero ben presto anche i fanti italiani che in massa si fecero massacrare davanti ai reticolati rimasti intatti nelle prime battaglie del 1915). L'avanzata delle armate italiane, dopo il superamento del vecchio confine con l'Impero, avvenne con estrema cautela; ciò fu determinato soprattutto da difficoltà d'ordine logistico e dall'incapacità dei comandi italiani troppo timorosi e cauti nel primo sbalzo offensivo. Tra il 5 ed il 10 giugno i fanti italiani passarono l'Isonzo a Pieris e nei pressi di Isola Morosini (Grado) occupando il Monte Fortin ed i paesi di Gradisca e Monfalcone. Per quasi tutto il giugno 1915 i due eserciti si fronteggiarono senza impegnarsi in estesi combattimenti, anche perché l'area pedecarsica tra i villaggi di Redipuglia e Vermigliano era diventata un immenso pantano, poiché i genieri austriaci facendo saltare la diga di sbarramento ed irrigazione di Sdraussina-Sagrado avevano allagato la zona. La situazione era la seguente: gli italiani in basso, riparati dalle alture che circondano Monfalcone, ed a ridosso del primo gradone carsico; gli austriaci in alto, sul ciglio e a mezza costa delle alture. La linea partiva dal mare nella zona paludosa del Lisert (Monfalcone), saliva sulle quote 121 e 85, scendeva nel vallone del lago di Pietrarossa, si saldava alla linea che correva sul Monte Debeli, Monte Cosich, quota 70 di Selz, Monte Sei Busi, alture di Redipuglia, continuando ininterrotta per Sagrato, Monte Cappuccio, San Martino-Monte San Michele, seguendo l'Isonzo fino alla testa di ponte di Gorizia. Iniziata il 23 giugno 1915, la prima battaglia dell'Isonzo aprì la lunga serie delle dodici battaglie che dal 1915 al 1917 insanguinarono il Carso. I combattimenti si susseguirono per giorni, settimane e mesi con gravi perdite da entrambe le parti: dal maggio 1915 all'ottobre 1917 la guerra sul Carso costò ai due eserciti belligeranti circa un milione di morti ed un numero incalcolabile di dispersi, feriti e mutilati.
Rispetto al numero delle perdite i vantaggi ottenuti furono irrilevanti; il progresso territoriale medio realizzato nelle prime undici battaglie fu valutato al massimo in 4 metri per ogni giorno di combattimento. La grande guerra non fu una guerra di conquista ma di logoramento; gli sforzi inauditi ed i mezzi profusi, anche se non portarono a conquiste significative (si pensi alla conquista della testa di ponte di Gorizia), contribuirono ad usurare non soltanto gli eserciti in lotta, ma anche e soprattutto le industrie belliche ed il cosiddetto "fronte interno", fino a determinare l'epilogo finale.
Pro Loco Scorzè, ciclo di incontri “Il ricordo del nostro passato” Villa Toffolo -2013-

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