La visione buddista di vita e morte
Per
molte persone, morte significa assenza di vita. In quest'ottica, la
vita è percepita come tutto ciò che è bene – ciò che incarna la
pienezza e la luce. La morte è percepita al contrario come tutto ciò
che è male – ciò denota il vuoto e l'oscurità. Questa percezione
negativa della morte ha influenzato l'esistenza umana sin dagli albori
della storia. Ma questa visione della morte è semplicistica e
infantile, specialmente alla luce dei cicli di creazione ed
estinzione che governano il mondo naturale e l'universo stesso.
Il
Buddismo insegna con grande precisione l'intima e inscindibile
relazione che lega il microcosmo della vita umana individuale al
macrocosmo della vita universale. Tutti i fenomeni universali sono
contenuti in un singolo istante di vita nella profondità della
nostra vita, e ogni istante di vita vibra a ritmo con tutti i
fenomeni dell'universo. Questa non è un'intuizione limitata ai
seguaci di Nichiren o a qualche particolare scuola filosofica. Basti
pensare ai versi del poeta William Blake:
Vedere
un mondo in un grano di sabbia
e
il Paradiso in un fiore di campo,
tenere
l'infinito nel palmo della mano,
l'eternità
in un'ora
Avere
una simile percezione significa davvero vivere nell'istante, e
non per l'istante. La differenza è quella che passa tra ciò
che è materiale e ciò che è eterno. Il Buddismo vede la nostra
vita nel contesto del microcosmo, la vita dell'universo che è
esistita per tutta l'eternità (o almeno da un passato
inimmaginabilmente remoto). Allo stesso modo anche la nostra vita,
che è una sola cosa con la vita dell'universo, è sempre esistita in
una forma o nell'altra, percorrendo un ciclo senza fine di nascita e
morte, declino e rinnovamento, soggetto alle leggi fisiche di questo
universo. Secondo l'insegnamento del Budda, la vita, come l'energia,
non può essere né creata né distrutta, e la morte è semplicemente
il processo di declino e rinnovamento che governa tutti i fenomeni.
Perciò
la filosofia buddista anticipa di quasi tremila anni le leggi della
conservazione dell'energia e della materia, che affermano che né
l'energia né la materia vanno mai perse ma si convertono
semplicemente in forme differenti. (Per esempio, l'energia elettrica
che attraversa il filamento di una lampadina si converte in luce e
calore). Nichiren insegnò che vita e morte sono gli aspetti alterni
del nostro vero io, espressi dalla Legge di Nam myoho renge kyo. Egli
scrive: “Myo rappresenta la morte e ho la vita. Gli esseri viventi
che attraversono le due fasi di vita e morte sono le entità dei
dieci mondi, o le entità di Myoho renge kyo […]. Nessun fenomeno,
il cielo e la terra, yin e yang, il sole e la luna, i cinque pianeti
o ciascuno dei mondi dall'Inferno alla Buddità, sono liberi dalle
due fasi di vita e morte. Vita e morte sono semplicemente le due
funzioni di Myoho renge kyo.”
In
altre parole, tutte le cose che si manifestano fisicamente nello
stato di vita, si ritirano in uno stato di latenza dopo la loro
estinzione o morte. Il Buddismo distingue tra la realtà fisica e uno
stato di latenza in cui la vita continua a esistere invisibilmente.
Questa condizione di latenza, che è uno stato né di esistenza né
di non esistenza, può creare sconcerto agli occidentali. Per noi,
una cosa o esiste o non esiste. Ma pensate ad un fiore di ciliegio in
inverno. Benchè il fiore non sia visibile, esiste, dormiente, in
attesa di sbocciare quando si presenteranno le condizioni adatte (la
primavera). Lo stesso vale per la nostra vita. Quando il corpo fisico
cessa di funzionare, la nostra vita entra in una nuova fase, un
periodo di latenza, seguito dalla rinascita.
Come
scrive Daisaku Ikeda: “Secondo la visione buddista la vita è
eterna e si reincarna continuamente, per cui il Buddismo considera la
morte non tanto la fine della vita quanto l'inizio di una nuova
esistenza. Per i buddisti il fenomeno della reincarnazione è
evidente di per sé, come lo era per gli antichi indiani, che lo
chiamavano in sanscrito, sansara. […] La premessa
fondamentale del Buddismo è che la vita è eterna e che ogni singolo
essere vivente attraverso un ciclo ininterrotto di nascite e morti.
Alcuni dei risultati di recenti scoperte scientifiche sia nel campo
della medicina sia in quello della parapsicologia tendono a
suffragiare queste idee. Tali ricerche includono gli studi sulle
“esperienze di quasi-morte” e quelle “sulle esperienze di vite
passate”.
Per
quanto riprendere una prospettiva filosofica orientata verso la vita
eterna potrebbe sembrare idealistico o non scientifico, nient'altro
che un balsamo emotivo per il nostro terrore esistenziale, in verità
è il modo più ragionevole e realistico di considerare la questione.
Senza la morte non ci potrebbe essere vita. Josei Toda, il secondo
presidente della Soka Gakkay, una volta scrisse: “Nulla sarebbe più
spaventoso che non morire. Un conto sarebbe se ci fossero solo esseri
umani. Ma se tutti gli esseri viventi non dovessero morire, le
conseguenze sarebbero veramente disastrose. Supponiamo che tutti i
gatti, i cani, i topi e persino i polpi non morissero. Ciò creerebbe
enormi problemi. Se nulla dovesse morire, cosa succederebbe? Anche se
qualcuno o qualcosa venisse battuto, o ucciso, o investito da un
treno, o privato del cibo, non morirebbe. La conseguenze sarebbe un
pandemonio”.
La
morte è necessaria. Ci permette di apprezzare le meraviglia della
vita, di assaporare la grande gioia di essere vivi. Nichiren afferrò
il profondo concetto di vita e morte espresso dal Sutra del Loto, che
spiega che sia la vita sia la morte sono intrinseche nella vita
umana. Sottolineò che l'opinione comune che la vita e la morte sono
due fenomeni separati conduce o alla credenza in un'anima che
continua a esistere eternamente, o all'idea che la morte corrisponda
all'allunamento e che al di là di essa non vi sia niente. “Il
resto è silenzio”, per dirla con Amleto. Entrambi le prospettive,
disse Nichiren, sono illusorie, perchè ignorano il ciclo di vita e
morte che permea l'universo. Come egli scrisse: “Odiare la vita e
la morte e cercare di separarsi da esse è illusione o illuminazione
parziale. Percepire che la vita e la morte sono essenziali è
illuminazione o completa comprensione.
Ora,
quando Nichiren e i suoi discepoli recitano Nam myoho renge kyo,
sanno che vita e morte sono l'intrinseco funzionamento dell'essenza
fondamentale. Essere o non essere, nascita e morte, apparizione e
scomparsa, esistenza terrena e futura estinzione, sono tutti processi
essenziali ed eterni”. Comprendendo profondamente questa raffinata
visione possiamo progredire verso l'illuminazione e affrontare la
morte con dignità. Ma resta la domanda: se la vita continua, in
quale forma continua? Dal momento che la forma implica l'incarnazione
o la materia, e gli insegnamenti buddisti non suggeriscono che l'io
fisico sopravviva in qualche modo per poi rinascere, è necessario un
altro approccio. Per afferrare pienamente la prospettiva buddista
sulla morte, dobbiamo analizzare in dettaglio le teoria delle “nove
coscienze”.
Il
Budda nello specchio pag.131-132-133-134-135 di Woddy
Hochswender/Greg Martin/Ted Morin
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