I Cannensi e la caduta di Siracusa
I “cannensi” erano i soldati romani sopravvissuti alla più disastrosa sconfitta mai subita da Roma: la battaglia di Canne, nel 216 a.C., quando l’esercito di Annibale annientò quasi 80.000 legionari. Quei pochi che scamparono al massacro non furono accolti come eroi, ma condannati all’infamia. Il Senato, spietato nel suo giudizio, li marchiò come indegni, li esiliò in Sicilia e proibì loro il ritorno finché la guerra non fosse finita.
Ma nel lungo esilio, i cannensi non si piegarono mai alla disperazione. Mentre Roma li dimenticava, loro si addestravano, si rinforzavano, si preparavano a riscattare il proprio nome. L’occasione arrivò con l’assedio di Siracusa, città potente e ribelle, alleata di Annibale e sostenuta dalla genialità difensiva di Archimede.
Nel 213 a.C., quando Marco Claudio Marcello guidò le legioni romane contro Siracusa, fu a quei soldati dimenticati che affidò alcuni dei compiti più duri. I cannensi, considerati traditori della patria, combatterono invece come i più fedeli tra i suoi figli. Scalavano le mura sotto una pioggia di pietre e fuoco, sfidavano le macchine da guerra del genio greco, affrontavano la morte con la forza disperata di chi non ha più nulla da perdere, se non la vergogna che li opprimeva.
Furono determinanti nella presa della città. Quando Siracusa cadde, il loro valore fu riconosciuto sul campo, seppur non nei fasti del Senato. Essi, che a Canne avevano visto la disfatta e l’umiliazione, furono ora gli artefici della vittoria su una delle più tenaci roccaforti del Mediterraneo.
Ma neppure quel gesto bastò a lavar via l’infamia che Roma aveva inciso nei loro nomi. Nessun trionfo, nessuna ricompensa. Eppure, nelle pietre di Siracusa conquistata, nelle lacrime di chi seppe rialzarsi, si cela la grandezza sommessa dei cannensi: soldati dimenticati, eroi senza statua, la cui gloria vive solo nel silenzio della Storia.

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