Bombarda
La
bombarda austriaca era ben visibile in alto: sembrava un barilotto o
un grosso bottiglione nero senza collo, che avanzava alternando le
due estremità. Quando i militari sentivano il colpo di partenza
gridavano: bomba … bomba e tutti guardavano in alto per scorgerla,
indicarne la direzione e far sì che ciascuno trovasse il riparo
migliore possibile.
Un
pomeriggio al grido di bomba, bomba, guardammo in alto e vedemmo la
bomba, il barilotto nero, che veniva nella nostra direzione. Ho già
detto che fuggire è più pericoloso che buttarsi a terra, perché
nell’esplodere; la resistenza del terreno fa sì che le schegge,
nella loro proiezione, assumano, grosso modo, la figura dei petali
aperti di un fiore, un semiarco e quindi non possono colpire che è
steso a terra, anche se poco lontano; se, invece, l’esplosione
sorprende un uomo in piedi che fugge, lo taglia a pezzi.
Il
barilotto, la bombarda cadde sul campo ad una decina di metri dal
nostro rifugio. Non avevamo nessun riparo. Quando cadde gli detti un
rapido sguardo e gridai ai compagni: giù la testa il più possibile.
Il più giovane, Alessi, tentò la fuga, ma con un colpo della mano
lo indussi a mettersi giù anche lui. Tutte queste cose: il rapido
sguardo alla bomba, l’esortazione a tener bassa la testa e impedire
la fuga di Alessi avvennero nel giro di pochissimi secondi, poi si
attese l’esplosione. Per quanto tempo? Non lo so: certamente si
trattò di pochi secondi ancora, ma a me sembrò un’eternità! Ed
effettivamente dell’eternità eravamo sulla porta.
Finalmente
lo scoppio avvenne ed il sibilo delle schegge, i petali del fiore,
passò sopra di noi. Subito dopo ci si raccolse come seduti sui
talloni, per offrire il minor bersaglio possibile alla caduta di
pietre, lanciate in alto dall’esplosione. Finite di cadere le
pietre, ancora in mezzo ad un gran polverone, mi sollevai, mi tastai
un po’ qua un po’ là sul corpo: niente, me l’ero cavata.
Guardai il mio compagno di destra: anche lui era indenne, mi volsi
allora a sinistra e chiesi ad Alessi se era tutto a posto: non mi
rispose ma mi guardò con due occhi sbarrati e, girandosi un po’,
mi mostrò la spalla destra: il tessuto della divisa era lacerato e
usciva sangue. Con decisione strappai la manica, misi a nudo la
spalla e vidi che la ferita interessava la giuntura del braccio, ma
non la cavità toracica. Allora gli dissi: te la senti di correre
fino al posto di medicazione? se no ti accompagno io. Mi rispose che
ce l’avrebbe fatta da solo e partì subito.
Tre
mesi dopo mi mandò una cartolina da un ospedale di Bari, il che
voleva dire che le cure cui fu sottoposto furono lunghe, ma che
poteva scrivere. Qualcuno potrebbe chiedermi: ma tu chi eri che
comandavi e decidevi quello che dovevano fare gli altri?
Rispondo:
avevo solo un po’ più di esperienza di guerra, per cui gli altri
mi ascoltavano.
Dal
diario di Guido Alunno,
Militare,
Regia Guardia di Finanza, XX battaglione Regia Guardia di Finanza,
XII battaglione Regia Guardia di Finanza, finanziere

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