Venezia FC: La Nuova Venezia - Il corteo in Canal Grande tra bandiere e cori di festa e l'apoteosi a San Marco -

Un serpentone di barche che avanzano sotto il ponte di Rialto, si snodano lungo il Canal Grande, sbucano in Bacino San Marco. E poi la foto di gruppo sotto la Basilica, tutt'intorno un tappeto di bandiere e cori di festa. Il trionfo del Venezia sta tutto qui, nell'unicità di una città che si muove a ritmo di remo e che ha festeggiato i suoi beniamini come nessun'altra al mondo potrà mai replicare. Bagno di folla doveva essere e bagno di folla è stato. Festa collettiva doveva essere, e festa collettiva è stata. Remiere al gran completo, dirigenti in gondola, tifosi a bordo dei barchini con motore da quattro cavalli, il sole e il caldo a baciare il ritorno in Serie A dopo 19 anni di astinenza. Non mancava nulla, nemmeno gli assembramenti inevitabili e le tante mascherine abbassate tra i tifosi. A poco sono valse le raccomandazioni e gli appelli alla responsabilità da parte della società e delle istituzioni cittadine alla vigilia. La passerella vittoriosa della squadra di Paolo Zanetti, scortata dal corteo d'acqua con almeno un centinaio di barche, inizia dopo le 15. Incedere lento, senza fretta: ci sono voluti quasi due decenni per tornare nella massima serie, c'è tutto il tempo per gustarsi il trionfo. Lungo Canal Grande, dalle rive, residenti e tifosi si affacciano per applaudire la cavalcata inizia ad agosto e culminata giovedì, con il pareggio vittorioso contro il Cittadella conquistato al 93esimo da un gol del venezianissimo Riccardo Bocalon. Il primo tripudio è al ponte di Rialto, con l'inno di San Marco che risuona dagli altoparlanti. I giocatori, a bordo di un'imbarcazione da trasporto, indossano una maglia con una "A" stampata a lettere cubitali. Impossibile sbagliarsi. Si accendono fumogeni, si canta a squarciagola "Forza Unione Alè". Troppo forte la voglia di tifare dal vivo, di persona, dopo più di un anno di stadi chiusi per colpa del Covid. Poco prima delle 16.30, le prime imbarcazioni colorate delle remiere compaiono davanti Punta della Dogana. E' il segnale. Piazza San Marco, la riva dei Giardini Reali, il molo del Todaro: tutto gronda già di euforia. La squadra viene fatta sbarcare al pontile di Actv di Vallaresso. E la passerella ha inizio. I giocatori si fanno largo tra le ali di tifosi in festa. Si mescolano famiglie con piccoli tifosi al seguito, ventenni esultanti, ultras dei gruppi organizzati, anziani e residenti di ogni estrazione. Sventolano bandiere, compaiono magliette da gara datate fine anni '90, gli anni di Recoba e Maniero e del Venezia corsaro in Serie A.In mezzo al tripudio, anche il presidente Duncan Niederauer. Sotto le colonne di San Marco e San Todàro, l'ex amministratore della borsa di New York abbraccia come un padre con i suoi figli i giocatori. Uno a uno, in fila, aspettano a turno. Capitan Modolo viene sollevato di peso. «È un momento indimenticabile, di quelli che capita una volta nella vita», si lascia sfuggire Niederauer, fresco di tuffo in laguna ai piedi del Penzo dopo il successo di giovedì. Cose che, in effetti, a New York non capitano di frequente. Scatta il festival di selfie, autografi, pacche sulle spalle, strette di mano, cori. Si suda, si canta sotto le mascherine, si riprende con lo smartphone la gioia incontenibile. Una cosa così non capita certo tutti i giorni. Il più acclamato è il "doge" Bocalon, veneziano doc e autore della zampata decisiva nella sfida con il Cittadella. Viene acclamato, abbracciato, caricato sulle spalle dai tifosi e portato in trionfo. «Momento indescrivibile, resterà per sempre nella storia. Non potevo chiedere di più», dice l'attaccante. Le forze dell'ordine controllano da lontano. È giorno di festa, deroga al divieto di assembramenti: impossibile disperdere la gioia dei tifosi. La squadra di disgrega tra Palazzo Ducale e il campanile di San Marco, giocatori e tifosi sono tutt'uno mentre camminano verso la Basilica. L'appuntamento è sotto i pennoni. È la foto di gruppo più bella. Dirigenti, giocatori, staff si dispongono su due file mentre i tifosi non smettono di cantare nemmeno un istante. Compare solo a questo punto Paolo Zanetti. Allenatore della squadra veneziana da solo un anno, è considerato da tutti il vero artefice della promozione.Le sirene di mercato sono tante, e insistenti. Lui non ne fuga nessuna, ma intanto si gode il momento. Salta in braccio a Niederauer, abbraccia i suoi ragazzi, si fa caricare sulle spalle. E si concede qualche attimo di leggerezza e gioia pura: «Una cosa incredibile, solo qua si può vivere una cosa del genere. Sono davvero emozionato. Il futuro? Non adesso».Venti minuti, poco più. La squadra attraversa nuovamente la piazza. Stavolta la comitiva cammina veloce. Ma non è una fuga: è solo l'intervallo tra il primo e il secondo tempo. Si torna negli spogliatoi, in barca. Stavolta il corteo anziché impiegarci un'ora, punta dritto di nuovo verso piazzale Roma. Destinazione: Taliercio. È il secondo tempo della festa. Quella che sancisce una volta per tutte il ritorno in serie A. --Eugenio Pendolini
Clacson, cori e tamburi
Ultras e famiglie uniti per l'omaggio ai vincitori
Il secondo tempo della notte magica che ha sancito la promozione del Venezia in Serie A è un corteo che unisce due città. E, dopo il Canal Grande, ieri pomeriggio i tifosi della squadra si sono presi anche la terraferma, colorando di arancioneroverde il grandissimo parcheggio del Taliercio. La squadra e mister Paolo Zanetti si godono lo spettacolo dall'alto, sul tetto del centro sportivo: il colpo d'occhio è magnifico. Uno a fianco all'altro, il loro arrivo a bordo del pulmino dai vetri oscurati è l'esplosione della gioia. Una felicità che sta cullando questa città da tre giorni e che non sembra affievolirsi. La festa è scandita dai cori dei tifosi, radunatisi fin dal primo pomeriggio. L'aria è colorata dal rosso e dall'arancione dei fumogeni. Il profumo di salamelle che proviene dal piccolo chiosco è un'epifania dei grandi eventi spazzati via dalla pandemia. E la festa non è solo per celebrare la più grande impresa calcistica del Venezia degli ultimi 19 anni, ma è il primo atto di ritorno alla vita per questa città. Lo raccontano gli sguardi dei tifosi. L'urlo liberatorio di Antonio Raviele: 76 anni, un passato come primario della Cardiologia all'ospedale Dell'Angelo. Alla fine se ne va, con le mani intrecciate a quelle della moglie e del nipote: «Queste sono cose che succedono una volta nella vita», gli dice. Tutto intorno è una festa. A misura degli ultras della sud, ammassati davanti alla recinzione che li separa dal centro sportivo; ma anche a misura di famiglie: tantissime quelle che si sono radunate ieri, per applaudire i giocatori. E, se i tifosi non possono andare allo stadio, allora sono loro a "rendersi" stadio, stringendo in un metaforico abbraccio la squadra che ha regalato un bellissimo sogno. Improvvisando, ricreando l'atmosfera della curva su un rettangolo di asfalto. Del resto, è il calcio stessa a essere una splendida illusione. I tifosi urlano, i giocatori rispondono, in un incessante botta e risposta che abbatte ogni barriera. Poco più in là ci sono i bambini che, indossando la maglia del Venezia, giocano a calcio. E ci sono gli altri che corrono, stringendo forte tra le mani i palloncini a forma di "A" o del colore della squadra. Le auto regalano nuova musica: l'incessante suono dei clacson, che si mischia con quello dei tamburi e con i cori degli ultras. La bandiere dei tifosi sono gonfiate dal vento. Anche la pioggia attende la fine della festa per palesarsi, timida. Le celebrazioni sono un climax ascendente che non conosce riposo. All'esterno del palasport è stato attaccato un lunghissimo striscione: «Contro ogni ostacolo, lottare con onore. Forza ragazzi, incondizionatamente amore». Per un pomeriggio, anche il basket - lo sport che, negli ultimi anni, ha regalato le più grandi soddisfazioni a questa città - si deve piegare di fronte all'impresa degli arancioneroverdi. I leoni del Venezia e di Venezia, che nemmeno i gladiatori del Cittadella sono riusciti a domare.
Laura Berlinghieri
Il vicentino, il doge e i ragazzi di nonno Molinaro
«Per noi sono tutti come Cristiano Ronaldo»
«Un vicentino vi ha portato in Serie A, il calcio è strano» dice mister Paolo Zanetti. E la risposta, immediata, degli ultras, arriva con il coro «Chi non salta vicentino è». Dal tetto del centro sportivo del Taliercio che domina lo spazio ricoperto dai tifosi, l'allenatore di Valdagno decide di rompere il ghiaccio con una battuta. Potrebbe dire qualsiasi cosa, la risposta dei suoi tifosi rimarrebbe la stessa: l'applauso, enorme. L'altro eroe del pomeriggio è Riccardo Bocalon, protagonista delle urla che si levano dalla macchia arancioneroverde. Del resto parliamo del "doge", che, con il suo goal sul filo del triplice fischio, ha regalato al Venezia la Serie A. «Per ringraziarvi non basterebbero tutti i giorni dell'anno», grida ai tifosi in festa, per poi dedicare un pensiero all'uomo che è anima di questa squadra: «Molinaro, giocatore e persona che ha fatto una grandissima carriera». E via con un altro coro per Cristian Molinaro: 38 anni a luglio, 17 gare in questa stagione. Poco dopo, nella meritata passerella di presentazioni dedicata ai giocatori, Zanetti lo ribattezzerà affettuosamente «Il nonno». I ragazzi sono schierati uno a fianco all'altro, come all'inizio di ogni partita. Adesso, però, la partita è finita; e anche il campionato, regalando a questa squadra la gioia più grande, una gioia inattesa. Il mister scandisce i nomi dei suoi giocatori - compresi gli assenti, come Maleh, convocato in nazionale -, regalando a ognuno il giusto applauso. I nomi del capitano Modolo, del fautore del passaggio in A Bocalon, del trascinatore della squadra Di Mariano, e poi di Forte, Fiordilino, Aramu e Pomini sono accolti con un boato. Ma l'affetto dei tifosi investe tutti i giocatori: titolari e riserve. Perché nel Venezia è il gruppo a fare la differenza. «Sono tutti Cristiano Ronaldo», sintetizza efficacemente Claudia Fuin, veneziana del centro storico, tifosissima della squadra. I giocatori rispondono partecipando ai cori, lanciando i palloni ai tifosi che occupano il parcheggio del campo sportivo. Lì su c'è anche Mattia Aramu. «È il mio giocatore preferito» dice, con un filo di voce, il piccolo Tommaso Comellato, sette anni, di Verona. Conferma papà Gabriele: «Quando gioca il Venezia e io lavoro, Tommy mi manda i messaggi vocali: "Papà ha segnato Aramu"». I due, maglie arancioneroverdi, sono arrivati da Verona solo per applaudire i ragazzi. Non c'è Hellas o Chievo che tenga. «Io sono di origini veneziane. Mio figlio è nato a Verona, ma tifa Venezia come me. Giovedì abbiamo guardato la partita insieme. Tommy ha anche sforato il "coprifuoco" delle 21. 30: la mamma gli ha concesso di andare a letto finita la partita». Poco più in là, ci sono Tony Trapani con la moglie Carlotta Mezzogiorno e il figlioletto Leonardo. Un cucciolo d'uomo di appena nove mesi, vestito con la maglia arancioneroverde, e per il quale il papà vede già un futuro da grande portiere. Naturalmente, tra i pali del Venezia. «Proprio come lo sono stato io», racconta. «Giocavo nell'under 13 del Venezia quando la prima squadra era in Serie A, nei primissimi anni Duemila. Ho dei ricordi bellissimi ed essere qui, ora, a festeggiare il ritorno in A è un'emozione enorme. Se non ci fosse Leonardo, sarei nella mischia». È soprattutto la festa dei bambini, anche se a volte è solo un pretesto. Marco Andriolo, Mattia, Gianmarco (10 anni) e Nicole Di Luca (14 anni) non fanno nemmeno in tempo a confermare che, sì, l'anno prossimo vorrebbero andare allo stadio, che subito risponde papà Alberto Di Luca: «Certo che li porto». Mattia e Nicole Di Luca tifano Venezia e Inter; in serie difficoltà su chi tifare l'anno prossimo, rispondono con un diplomatico «Che vinca il migliore». Ma indossano magliette arancioneroverdi e hanno la bandiera con il leone.

Commenti

Post popolari in questo blog

Quota 126 del Vippacco

I cadaveri del Sei Busi - Monte Sei Busi, Ronchi dei Legionari (GO) il maggio 1916

Fucilazione di un soldatino