Piccolo io e grande io
Più
volte, nell’affrontare lo studio del Buddismo o semplicemente
confrontandoci con i compagni di fede, ci sarà capitato di
imbatterci nei concetti di piccolo io e grande io.
Spesso
questi due sono espressi in forma contrapposta, e a grandi linee
possiamo dire che se il grande io rappresenta quel complesso di
percezione-reazione generalmente definito come atteggiamento
positivo, il piccolo io ne rappresenta uno negativo.
Ma
che cos’è dunque il piccolo io, e cosa il grande io?
Possiamo
provare a dare una risposta basandoci sul principio delle nove
coscienze.
Questo principio, in sintesi, illustra in che modo
interagiamo con la realtà che ci circonda, prima percependo, poi
formulando giudizi sulle cose e agendo a seconda del nostro karma e
del nostro stato vitale.
Se le prime cinque coscienze spiegano
come “apprendiamo” informazioni dall’ambiente circostante –
quindi vista, udito, olfatto, gusto e tatto – la sesta unifica le
percezioni formulando giudizi sulla realtà.
La settima
coscienza è quella più vicina al termine italiano “coscienza”,
ovvero il livello della nostra identità in parte conscia in parte
inconscia che, traendo le informazioni dalla sesta coscienza, integra
il senso morale, il sentimento religioso e anche la consapevolezza
dell’io.L’ottava coscienza invece è l’enorme voragine del
karma, nella quale sono accumulati e si accumulano gli effetti e le
cause delle nostre tendenze innate. La sua influenza è determinante
per tutti i livelli di “coscienze” superiori, e questo
spiegherebbe perché ognuno di noi percepisce e reagisce in maniere
completamente diverse allo stesso fenomeno: a seconda del karma
individuale percepiamo lo stesso fenomeno in modi sensibilmente
diversi.
A
questo punto possiamo soffermarci un attimo e notare come quanto
sopra illustri una sorta di circolo vizioso: il karma influenza il
nostro modo di percepire, e a seconda di come percepiamo reagiamo di
conseguenza, andando ad alimentare il nostro karma con le nostre
azioni, per ripetere il ciclo daccapo. Ecco il piccolo io.
Possiamo
quindi introdurre il concetto di nona coscienza, ovvero la coscienza
universale che sottende tutte le altre o, per usare le parole del
Daishonin, «l’immutabile realtà che regna su tutte le funzioni
della vita»: in altre parole la Buddità della quale ogni fenomeno –
compresa la nostra vita – è manifestazione.
Attivando
la nona coscienza, ovvero richiamando la Buddità della quale siamo
intrinsecamente dotati, «tutta l’energia del karma, sia positivo
sia negativo, si indirizza verso la creazione di valore e la mente o
coscienza del nostro gruppo etnico e dell’umanità intera viene
percorsa da una corrente di compassione e saggezza» (Saggezza, vol.
2, 423).
La nona coscienza ci permetterebbe quindi di uscire dal
“circolo vizioso” del nostro karma: ma come possiamo attivarla?
Il Daishonin afferma: «I cinque caratteri di Myoho-renge-kyo
rappresentano la nona coscienza», cioè Myoho-renge-kyo è la vita
universale stessa. Ecco il grande io.
Possiamo adesso farci
un’idea un po’ più precisa di cosa siano piccolo e grande io: se
il primo è un mondo schiacciato dalla propria visione personale
della realtà, ingombrato dai propri desideri egoistici, dominato
dalla paura e dagli istinti, il secondo è la terra della saggezza,
del coraggio e della compassione, della libertà, della purezza e
della gioia.
La prima conclusione che possiamo trarre, quindi, è
che piccolo io e grande io non sono concetti statici, ma condizioni
che possono cambiare all’interno dell’individuo con la
trasformazione dello stato vitale. Per questo è così importante
recitare Daimoku prima di ogni altra azione.
Non a caso Nichiren
parla di «diventare maestri della propria mente e non lasciare che
la mente sia la propria maestra » (Lettera
ai fratelli, RSND,
1, 447), così come nel Sutra del Loto viene data una importanza
capitale alla “purificazione dei sei organi di senso”.
Per
inciso, quanto alla purificazione dei sei organi di senso, Nichiren
Daishonin afferma:
«La
parola benefici (kudoku)
significa la ricompensa rappresentata dalla purificazione dei sei
organi di senso. […] Perciò la parola kudoku significa
conseguire la Buddità nella propria forma presente» (La
raccolta degli insegnamenti orali, BS,
118, 52)
Ecco
perché noi manifestiamo la Buddità coerentemente con noi stessi, o
“nella nostra forma presente”: semplicemente, così come siamo,
possiamo percepire e di conseguenza vivere la realtà
indipendentemente dai nostri condizionamenti karmici. Così possiamo
purificare la nostra vita, liberi dal circolo vizioso del karma.
Questo significa vivere basandoci sul grande io.
Anche tutte le
attività che portiamo avanti per kosen-rufu sfidandoci
nella nostra rivoluzione umana non sono altro che occasioni per fare
emergere il nostro karma, vedere le catene del nostro piccolo io e
spezzarle sulla base di una preghiera risoluta. Scrive il maestro
Ikeda:
«Possiamo
rafforzarci e migliorarci attraverso le attività della Soka Gakkai.
Nichiren Daishonin scrive: “Forgiando il ferro, tutti i suoi
difetti vengono in superficie” (RSND, 1, 442). Quando partecipiamo
alle attività della Soka Gakkai il nostro karma talvolta si
manifesta in forma di difetti come la debolezza, la vigliaccheria e
l’egoismo. Ma se ci dedichiamo con successo a un’attività dopo
l’altra senza farci sconfiggere, forgiamo il nostro carattere e
possiamo vincere sulle nostre tendenze negative, facendo così la
nostra rivoluzione umana. È per questo che dedicando la nostra vita
alla missione di kosen-rufu e
sviluppandoci possiamo cambiare il nostro karma»
Cos’è
la rivoluzione umana Esperia,
pag. 120)
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