Medicina Romana
Anche
i Romani avevano medici e medicine, e perfino chirurghi, anche se non
si conoscevano nè batteri nè virus, scoperti solo nel 1800, per cui
erano sconosciuti il contagio e le cause di molte malattie.
Anticamente
la medicina proveniva dalle erbe, e la loro ricerca era affidata alle
donne. Erano le romane a prendersi cura con impacchi, decotti,
impiastri e tisane dei malati in famiglia, ed erano sempre le donne a
fare le levatrici.
Per
ciò che riguardava invece le malattie più gravi o la chirurgia gli
uomini che ne avevano possibilità andavano a studiarla nei paesi più
progrediti in materia, in Grecia e in Egitto, ma esisteva anche una
progredita medicina etrusca.
Infatti
già all'epoca in Egitto la chirurgia era molto progredita, tanto che
ancor oggi non si comprende come potessero operare anche al cervello,
come si vede in alcuni dipinti, pur non disponendo di mezzi atti ad
addormentare completamente il paziente.
Eschilo
e Teofrasto narrano che i figli della Maga Circe, esperta in farmaci,
divennero Principi etruschi specializzati nell'arte della madre;
Esiodo parla della grande rinomanza dei medici etruschi ambientalisti
e attenti all'igiene, attraverso le opere di canalizzazione ritenute
importanti per l'agricoltura ma anche per l'eliminazione delle acque
putride fonti d'infezioni.
IL
MEDICO DELLA MUTUA
Si
ha menzione di un negozio acquistato dallo Stato per Archagathus, il
primo medico greco venuto a Roma nel 229 a.c. (Gas NH XXIX.12, cfr
Mommsen, Münzwesen 632). Lo stato romano si preoccupò dunque di
fornire al medico greco la cittadinanza romana e soprattutto di un
locale dignitoso dove non si sarebbe pagato l'affitto. E' evidente
che lo stato aveva deciso di stipendiare il medico per fornire un
servizio ambulatoriale al popolo.
Forse
fu il primo medico della mutua a cui ne seguirono parecchi altri.
sappiamo del resto che vi fu a roma un'immigrazione di medici greci
che lavoravano ovviamente tanto nel pubblico quanto nel privato.
Questi medici curavano un po' di tutto, ma con diverse
specializzazioni, e soprattutto erano anche chirurghi. Insomma fecero
da medico della mutua e da ospedale. Ed ecco una lettera che
rappresenta il primo consulto medico (epistolario) documentato:
“Chairas
saluta moltissimo il suo carissimo Dionysios e gli augura salute per
sempre. Quando ho ricevuto la tua lettera fui così
straordinariamente felice, come se io fossi stato realmente con te,
infatti eccetto questa (lettera) non c’è nient’altro. Tralascio
di scriverti grandi ringraziamenti: infatti è necessario ringraziare
con le parole quelli che non sono amici.
Sono
persuaso di farmi forza con una certa tranquillità, e se non
l’equivalente, ti darò almeno una piccola parte dell’affetto che
tu provi per me. Mi hai mandato due versioni di ricette, una della
pomata di Arcagato (l'Archagathus greco di cui sopra),
l’altra di quella cicatrizzante.
Quella
di Arcagato è composta correttamente, mentre a quella del
cicatrizzante manca il dosaggio della resina. Ti prego di farmi
sapere di un cicatrizzante energico che sia in grado di sanare senza
rischio le piante dei piedi, giacché ne ho urgenza.
Per
quanto riguarda quello duro, mi hai scritto che ne esistono di due
tipi; mandami la ricetta scritta di quello disperdente; infatti anche
il tetrafarmaco è del tipo duro. Questa lettera è con sigillo. Ti
saluto e ricorda quello che ho detto. (Anno) V di Nerone il Signore,
(giorno) I (del mese di) Germanico.
A
Dionysios, medico”.
Si
sa che l'esercito romano si portava sempre medici appresso per curare
le ferite di guerra e steccare le ossa ma fu Giulio Cesare che ordinò
le prime scuole di medicina.
Qui,
oltre a studiare sui libri, si imparava anche a livello pratico. Il
maestro portava gli alunni nelle visite dei pazienti, come avviene
nei moderni ospedali: ci si esercitava a tastare il polso, a toccare
la fronte per la temperatura, ad esplorare occhi e bocca, a sentire
il battito del cuore appoggiando l'orecchio sul petto, a osservare il
colorito del paziente, e ad ascoltare la descrizione dei suoi sintomi
per la diagnosi.
Il
primo termometro venne inventato da Galileo, per cui non esisteva una
misura precisa della febbre (il "calor præter naturam" di
Galeno) però il medico osservava la frequenza e le caratteristiche
del battito cardiaco, il colore delle urine e la temperatura cutanea.
Sui tipi di battito ne sapevano molto più dei nostri medici attuali
infatti per Galeno le indicazioni del polso costituivano sintomi
febbrili molto più attendibili del calore cutaneo ("venis enim
maxime credimus, altera res est, cui credimus, calor").
Ippocrate
valutava la temperatura del malato ponendogli la mano sulla
fronte e distingueva la febbre lieve (calor dulcis) dalla
febbre elevata (calor mordax). Il medico greco Erofilo (325
ca. - 270 a.c.) aveva ideato una speciale di clessidra per
riconoscere il polso febbrile, ma non sappiamo se i romani ne
facessero uso. Sembra però che usassero contare i battiti per capire
se c'era febbre.
Agli
studenti non veniva rilasciato nessun attestato, per cui abbondavano
i ciarlatani, anche perchè i libri erano scritti in greco, costavano
molto e non era facile procurarseli.
All'inizio
i medici erano generici e curavano tutti i tipi di malattie, poi
divennero specilistici, curando una certa malattia o un organo
preciso. I medici usavano pure gli assistenti, soprattutto negli
interventi chirurgici, istruendoli quindi un po' nel campo. Così gli
assitenti diventavano medici.
Anche
nelle palestre, c'erano medici per traumi e ferite: dalle lussazioni
alle distorsioni muscolari, ai traumi ossei, intervenedo con
medicine, esercizi e diete.
IPPOCRATE
Molto
importante per lo sciluppo dell'arte medica fu Ippocrate di Kos - 460
- 377 a.C. un medico greco considerato il padre della medicina
Viaggiò
moltissimo, per studiare e imparare, visitò tutta la Grecia
arrivando in Egitto e in Libia. Comprese che la malattia e la salute
di una persona dipendessero da circostanze umane e non dal volere
divino, considerò la persona come un corpo non disgiunto dall'anima,
per cui valutava le circostanze di vita e lo stato d'animo del
paziente, e ottenne grande fama debellando la grande peste di Atene
del 429 a.C.
Ippocrate
inventò la cartella clinica e l'osservazione comparata dei sintomi,
introducendo per la prima volta la diagnosi e la prognosi.
Inoltre
fondò una scuola medica regolando le norme di comportamento del
medico, raccolte nel suo famoso giuramento obbligatorio per i medici
a tutt'oggi, in cui, tra l'altro, era contemplato il segreto
professionale.
Pensava
che il corpo umano era governato da quattro umori diversi: sangue,
bile gialla, bile nera, flegma, che combinandosi in differenti
maniere condurrebbero a salute o malattia. Comprese l'importanza
della dieta e il collegamento tra medicina e chirurgia.
Ippocrate
influenzò molto la medicina romana, infatti in alcuni libri romani
si descrive il comportamento che il medico deve tenere durante la
visita: deve esser discreto, parlare a bassa voce, essere sorridente,
esprimere fiducia e ottimismo per la guarigione, e se il paziente è
agitato, deve calmarlo con persuasione e dolcezza.
Secondo
i suoi dettami la visita medica si estese alla palpazione
dell'addome, l'esame della gola, delle urine, delle feci,
l'auscultazione del torace, riconoscendo i suoni normali da quelli
anomali degli organi interni.
Quando
il malato non poteva recarsi dal medico, mandava uno schiavo a
chiamarlo. I medici che andavano a visitare i pazienti erano chiamati
"clinici". Nel caso di malattie particolarmente gravi era
previsto il consulto medico.
A
Roma non esistevano ospedali ma botteghe-ambulatorio sulla strada,
con scaffali, cassapanca e cassetta per le attrezzature, talvolta
appese con ganci alle pareti o poggiate sulle mensole.
Fungevano
pure da posti di soccorso e cliniche private dove i pazienti, dopo
l'intervento chirurgico, potevano essere seguiti e curati. Il medico
preparava personalmente le pomate, gli infusi, gli impiastri sulle
ferite ecc., a volte con segreti del mestiere riservati solo a lui.
C'erano
poi tenute agricole che servivano a curare gli schiavi e veri e
propri ospedali militari dove venivano praticate la chirurgia e la
medicina per la cura delle ferite in guerra.
LE
MATERIE PRIME
Le
sostanze usate da medici e farmacisti erano di natura vegetale,
animale o minerale. Delle piante officinali venivano adoperate varie
parti, dalla radice, alla foglia, al pistillo e al fiore, in base
alla malattia. Esistevano pure erbe rare, e inoltre le erbe dovevano
essere colte in una determinata stagione e anche in un periodo del
giorno o della notte.
Silfio:
da spezia a farmaco (pianta estinta)
Del
Silfio come medicamento piuttosto che come spezia ne scrive
Ippocrate, che ne consiglia l’utilizzo come purgante, per le
febbri, come rimedio per il prolasso dell’ano, in caso di dolori
addominali e per disturbi ginecologici (De diaeta in morbis acutis).
Il
silfio era considerato dai classici un rimedio che:
produceva
calore (calefaciens et ardorem producit - Dioscoride),
disseccante
(siccandum madorem toto corpore ciet; vim habet molliendi,
attrahendi, calefaciendi - Dioscoride)
risolutivo
(vim habet calefaciantem, urentem, attrahentem, discutiendem;
aperiunt ora in corporibus quod stoma Graece dicitur; crustas vero
resolvit - Celso; incipientem suffusionem dissipat - Dioscoride;
laevat quod exasperatum est - Celso).
Usato
nei colliri, mescolato a resina di lentisco o gomma ammoniaca (Dorema
ammoniacum D. Don - Apiaceae).
Dorema
ammoniacum: (pianta
estinta)
Antiastenica;
antipiretica e sudorifica. Toglie il dolore (ad omnem dolorem veterem
- Scribonio Largo). Per Plinio cura asma, dispnee, pleuriti e
polmoniti (Naturalis Historia). Per Celso la tosse acuta e cronica;
dolori articolari in paticolare la “podagra” (Scribonio Largo).
Per Teofrasto, Plinio il Vecchio, Sorano di Efeso era pure una pianta
abortiva.
GALENO
Galeno,
medico greco di Pergamo, studiò medicina per dodici anni. Quando
tornò a Pergamo, nel 157, lavorò come medico alla scuola dei
gladiatori facendo esperienza sui traumi e le ferite che lui,
descriverà come le finestre nel corpo.
Dal
162 visse a Roma, dove scrisse e operò, dimostrando pubblicamente la
sua conoscenza dell'anatomia. Per la sua fama divenne medico
dell'imperatore Marco Aurelio, Commodo e Settimio Severo.
Effettuò
vivisezioni di numerosi animali per studiare la funzione dei reni e
del midollo spinale, impiegando ben 20 scrivani per annotare le sue
parole. Molte delle sue opere e manoscritti furono distrutti da un
incendio del Tempio della Pace a cui li aveva donati.Il
principio fondamentale della vita era per lui il pneuma (aria, alito,
spirito), che scrittori seguenti interpretarono come anima.
Lo
spirito animale nel cervello controllava movimenti, percezione e
sensi, lo spirito vitale nel cuore controllava il sangue e la
temperatura corporea mentre lo spirito naturale nel fegato regolava
alimentazione e metabolismo.
Dimostrò che le arterie trasportano sangue, non aria; effettuò i primi studi sulle funzioni dei nervi, del cervello e del cuore; sostenne inoltre che la mente era situata nel cervello, non nel cuore, a differenza della tradizione aristotelica.
Ebbe numerosi meriti, soprattutto per lo studio dell'anatomia anche se fu brutale e spietato nel trattamento degli animali. Ma nche per aver diffuso la medicina di Ippocrate. Tuttavia fece anche errori, e il più grave fu che non adottò il bendaggio per bloccare le emorragie perorando la pratica del salasso, in ossequio alla sua teoria umorale, trasformandolo in un rimedio universale. Cosa che perdurerà per tutto il medioevo e oltre.
I LUOGHI E GLI STRUMENTI
I primi farmaci realizzati a Roma venivano prodotti dai medici con l'aiuto dei loro discepoli. Solo a partire dal II secolo a.C. si iniziò la prima farmacia romana, che non solo vendeva le medicine ma era un laboratorio in cui si fabbricavano dalle materie prime.
I farmacisti si servivano di cucchiaini in bronzo per polveri e paste, ampolle per i liquidi, vasi in bronzo e talvolta persino in argento o in oro, pestelli in pietra per sminuzzare, e bilance a uno o due piatti. I farmaci erano complessi, dovuti a una mescolanza di sostanze semplici per cui i medici facevano ricette o ne inventavano di nuove, a volte valendosi anche di pratiche magiche.
Le sostanze semplici erano collocate in scatole di legno con l'indicazione del contenuto, ma c'erano pure cofanetti, in metallo, osso o avorio, con diversi scomparti, che i Romani conservavano in casa. Una piccola farmacia col necessario per un pronto soccorso.
LA CHIRURGIA
I Romani disponevano di attrezzi chirurgici molto simili a quelli moderni. Tra i reperti di ferro e di bronzo si contano:
astuccio aperto pieghevole con ferri chirurgici cioe' bisturi, e, una leva per le ossa.
astuccio con cardini per strumenti chirurgici.
bisturi, a spatolae e a lancetta.
un attrezzo lenticolare che veniva introdotto nel cranio del paziente dopo che questo era stato perforato con un altro strumento.
piccole forbici.
cauterio bronzeo a piastrina.
cauterio a lancetta.
forceps (forcipe) a semicucchiaio.
attrezzo di ferro usato per estrarre le punte delle frecce dalle ferite.
pinze.
scalpelli.
sonde.
bottiglietta di ceramica a forma di piede che di solito conteneva olio o acqua calda per il chirurgo callista.
Pur non conoscendo virus e batteri i medici detergevano le ferite con una spugna o un batuffolo di lana imbevuti nell'acqua fredda o nell'aceto o nel vino, poi decideva se intervenire con strumenti chirurgici o dare punti di sutura.
Una specie di disinfettante erano gli "empiastri" che si mettevano sulle ferita con una spatola, nonchè sostanze cicatrizzanti delle quali la più usata l'argilla rossa.
Per calmare il dolore esistevano preparazioni applicate attorno alla ferita o pozioni da ingerire. Talvolta le ferite venivano ricoperte da una fasciatura. Dopo due giorni si toglievano le bende e si disinfettava nuovamente.
Probabilmente il medico prima dell'operazione preparava un anestetico con diverse piante e erbe come la madragola bianca (la cui radice, in passato, si riteneva fosse dotata di virtù magiche e poteri afrodisiaci), il giusquiamo e il papavero.
La stanza delle operazioni era molto simile ai moderni ambulatori, con il tavolo e una sedia dallo schienale alto dove si sedeva il dottore, e un lettino per il paziente.
Gli strumenti chirurgici di ferro venivano avvolti in bende imbevute di olio per impedirne la ruggine, quelli di bronzo venivano lavati con aceto per il verderame.
VELENI E ANTIDOTI
I Romani temevano molto gli avvelenamenti, provocati da animali o da cibi. Il grande timore verso il veleno iniettato da animali era esagerato, ritenendo pericolose anche punture di piccoli e innocui insetti. I medici romani sapevano perfettamente che cosa fare in caso di avvelenamento da cibo: per prima cosa dovevano provocare il vomito e successivamente si passava agli antidoti, anch'essi preparati nelle farmacie.
LA FARMACIA COSMETICA
I medici conoscevano piuttosto bene varie malattie della pelle, le quali venivano curate con rimedi naturali. Anche alle malattie più lievi veniva attribuita considerevole importanza. I Romani avevano molta cura del loro corpo, soprattutto le donne, che usavano prodotti profumati per il corpo, colori e unguenti per il viso, maschere di bellezza (nate proprio nell'antica Roma) e speciali polveri per i denti. Per gli uomini c'erano gli oli profumati da applicare dopo il bagno, togliendone poi il supergluo con lo strigile.
Dimostrò che le arterie trasportano sangue, non aria; effettuò i primi studi sulle funzioni dei nervi, del cervello e del cuore; sostenne inoltre che la mente era situata nel cervello, non nel cuore, a differenza della tradizione aristotelica.
Ebbe numerosi meriti, soprattutto per lo studio dell'anatomia anche se fu brutale e spietato nel trattamento degli animali. Ma nche per aver diffuso la medicina di Ippocrate. Tuttavia fece anche errori, e il più grave fu che non adottò il bendaggio per bloccare le emorragie perorando la pratica del salasso, in ossequio alla sua teoria umorale, trasformandolo in un rimedio universale. Cosa che perdurerà per tutto il medioevo e oltre.
I LUOGHI E GLI STRUMENTI
I primi farmaci realizzati a Roma venivano prodotti dai medici con l'aiuto dei loro discepoli. Solo a partire dal II secolo a.C. si iniziò la prima farmacia romana, che non solo vendeva le medicine ma era un laboratorio in cui si fabbricavano dalle materie prime.
I farmacisti si servivano di cucchiaini in bronzo per polveri e paste, ampolle per i liquidi, vasi in bronzo e talvolta persino in argento o in oro, pestelli in pietra per sminuzzare, e bilance a uno o due piatti. I farmaci erano complessi, dovuti a una mescolanza di sostanze semplici per cui i medici facevano ricette o ne inventavano di nuove, a volte valendosi anche di pratiche magiche.
Le sostanze semplici erano collocate in scatole di legno con l'indicazione del contenuto, ma c'erano pure cofanetti, in metallo, osso o avorio, con diversi scomparti, che i Romani conservavano in casa. Una piccola farmacia col necessario per un pronto soccorso.
LA CHIRURGIA
I Romani disponevano di attrezzi chirurgici molto simili a quelli moderni. Tra i reperti di ferro e di bronzo si contano:
astuccio aperto pieghevole con ferri chirurgici cioe' bisturi, e, una leva per le ossa.
astuccio con cardini per strumenti chirurgici.
bisturi, a spatolae e a lancetta.
un attrezzo lenticolare che veniva introdotto nel cranio del paziente dopo che questo era stato perforato con un altro strumento.
piccole forbici.
cauterio bronzeo a piastrina.
cauterio a lancetta.
forceps (forcipe) a semicucchiaio.
attrezzo di ferro usato per estrarre le punte delle frecce dalle ferite.
pinze.
scalpelli.
sonde.
bottiglietta di ceramica a forma di piede che di solito conteneva olio o acqua calda per il chirurgo callista.
Pur non conoscendo virus e batteri i medici detergevano le ferite con una spugna o un batuffolo di lana imbevuti nell'acqua fredda o nell'aceto o nel vino, poi decideva se intervenire con strumenti chirurgici o dare punti di sutura.
Una specie di disinfettante erano gli "empiastri" che si mettevano sulle ferita con una spatola, nonchè sostanze cicatrizzanti delle quali la più usata l'argilla rossa.
Per calmare il dolore esistevano preparazioni applicate attorno alla ferita o pozioni da ingerire. Talvolta le ferite venivano ricoperte da una fasciatura. Dopo due giorni si toglievano le bende e si disinfettava nuovamente.
Probabilmente il medico prima dell'operazione preparava un anestetico con diverse piante e erbe come la madragola bianca (la cui radice, in passato, si riteneva fosse dotata di virtù magiche e poteri afrodisiaci), il giusquiamo e il papavero.
La stanza delle operazioni era molto simile ai moderni ambulatori, con il tavolo e una sedia dallo schienale alto dove si sedeva il dottore, e un lettino per il paziente.
Gli strumenti chirurgici di ferro venivano avvolti in bende imbevute di olio per impedirne la ruggine, quelli di bronzo venivano lavati con aceto per il verderame.
VELENI E ANTIDOTI
I Romani temevano molto gli avvelenamenti, provocati da animali o da cibi. Il grande timore verso il veleno iniettato da animali era esagerato, ritenendo pericolose anche punture di piccoli e innocui insetti. I medici romani sapevano perfettamente che cosa fare in caso di avvelenamento da cibo: per prima cosa dovevano provocare il vomito e successivamente si passava agli antidoti, anch'essi preparati nelle farmacie.
LA FARMACIA COSMETICA
I medici conoscevano piuttosto bene varie malattie della pelle, le quali venivano curate con rimedi naturali. Anche alle malattie più lievi veniva attribuita considerevole importanza. I Romani avevano molta cura del loro corpo, soprattutto le donne, che usavano prodotti profumati per il corpo, colori e unguenti per il viso, maschere di bellezza (nate proprio nell'antica Roma) e speciali polveri per i denti. Per gli uomini c'erano gli oli profumati da applicare dopo il bagno, togliendone poi il supergluo con lo strigile.
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