Biblioteche Romane
Durante
la Repubblica Romana, il modo principale con cui i libri entravano in
circolazione derivava dalla presentazione di copie che gli autori
offrivano agli amici, ai patroni, ai proprietari di collezioni
private, e altri. I testi venivano copiati dagli schiavi e posti poi
in vendita. Gli stessi gestori delle librerie erano in genere
schiavi, oppure liberti. I Romani conoscevano ormai la pergamena e la
rilegatura dei librim il cui antesignano fu Cesare, che piegò i
fogli in due e li ammucchiò fermandoli con delle fettucce dimodochè
non occupassero troppo posto nei carri (si pensi al rotolo con
l'anima di legno). Non solo i romani rilegavano i libri ma avevano
personale specializzato per questo: i "glutinatores" cioè
i rilegatori.
Questo
pubblicizzare i componimenti da parte degli autori continuò ad
essere un mezzo di diffusione importante, anche dopo la creazione di
biblioteche pubbliche, poiché questi donavano una copia delle
proprie opere alle biblioteche. Biblioteche e librerie non erano la
stessa cosa, esattamente come oggi. Nelle librerie i libri si
sfogliavano ma averne a casa propria permetteva di leggere a
piacimento soprattutto con gli amici, e particolarmente nelle cene,
dove si discorreva di cultura e si declamava, talvolta con schiavi
appositi ma più spesso invitando i nuovi autori che recitavano i
propri versi o leggevano dei passi di prosa.
Verso
la fine della Repubblica i negozi di libri avevano una cattiva
reputazione, in parte perchè si pensava alla cultura greca che lì
veniva diffusa come a una degenerazione dell'animo romano, in parte
perchè non tutte le librerie erano all'altezza di copiare
correttamente il greco o di tradurlo correttamente in latino.
L'attività
principale della libreria era quella di fornire libri richiesti dai
propri clienti, il che significava individuare e reperire copie da
cui trascrivere, un bel problema in una città che aveva solo
biblioteche private. Con l'impero si ampliò il ruolo del
commerciante di libri. Roma diventò il centro della cultura
attirando scrittori, letterati, studiosi, studenti e insegnanti da
tutto il mondo circostante. Questo moltiplicò le richieste e spinse
le librerie a investire in libri con diverse copie per ottemperare
alle molte richieste.
Quanto
fosse esteso questo campo si comprende dal Curriculum Vitae di
Valerio Eudemone, molto stimato dall'Imperatore Adriano:
"- Commissario
delle Finanze di Alessandria;
-
Direttore delle Biblioteche, sia greche che latine;
-
Segretario della Corrispondenza in Greco;
-
Procuratore della Licia e di altre sei regioni in Asia
Minore;
-
Commissario delle Eredità;
-
Procuratore della Provincia d'Asia;
-
Procuratore della Provincia di Siria;
-
Prefetto dell'Egitto."
Durante
il suo mandato come Direttore delle Biblioteche, Eudemone portava con
sé un bagaglio di abilità ed esperienze in economia e finanza che
avranno certamente beneficiato la gestione delle biblioteche delle
quali era direttore, sebbene non tenesse questo incarico molto a
lungo.
Verso
la metà del II sec. ac. la
cultura greca venne diffusa a Roma da un circolo di patrizi guidati
da Scipione l'Emiliano di cui si diceva che, durante la
III guerra punica, nel 146 ac., mentre dal suo posto di
generale osservava bruciare la vinta Cartagine, citò i versi
di Omero su Troia in fiamme. Suo padre, Emilio Paolo,
distruttore dell'impero macedone, non prese bottino per sé, ma
lasciò a Scipione e all'altro suo figlio la biblioteca reale.
LE
BIBLIOTECHE PRIVATE
Le
biblioteche private di Roma antica furono parecchie e considerevoli,
perchè l'aristocrazia romana oltre ad amare l'erudizione greca e
latina, reputava la biblioteca un segno di prestigio. In epoca
imperiale si moltiplicarono le biblioteche nelle dimore degli
imperatori e nelle case di filosofi, retori, scrittori e poeti.
Le
varie operazioni che si svolgevano in una biblioteca erano di
comparare i testi tra loro, correggerli e completarli quando male
interpretati o mancanti di alcune parti, oltre a disporli negli
scaffali e magari pubblicarli.
Essi
venivano sistemati con un certo criterio negli scaffali e nelle
stanze, per poi fornirli in lettura. La biblioteca era composta da
una o più grandi sale nelle quali i libri erano rotoli di pergamena
attorno a un'asticella di legno chiusi poi con un cordoncino, oppure
fogli rilegati in quaderni.
Questi erano custoditi in scaffali
contenuti in appositi armadi, collocati in nicchie che si aprivano
lungo le pareti. In alcune i lettori avevano accesso diretto alle
opere e per questo venivano considerate del tipo “a scaffale
aperto”.
In
altre i lettori non prelevavano i libri direttamente, ma un
inserviente, che Apuleio chiama "Promus librorum", andava
agli speciali armadi dove venivano conservati i volumi e li portava
ai lettori. Il direttore si chiamava Procurator e solo molto più
tardi troviamo il termine bibliothecarius in Frontone.
Gli
autori erano divisi in poeti e prosatori e disposti in ordine
alfabetico, così come le loro opere. Un aiuto a reperire opere ed
autori era dato dagli indices, i cataloghi. Nella sala si potevano
trovare appositi tavoli da lettura, ma si potevano anche ammirare
molteplici statue, sia degli autori piu’ illustri (come testimonia
Plinio a proposito di Varrone), sia di Minerva o delle Muse.
I
CATALOGHI
In
biblioteca, infine, ci si recava al mattino, quando c’era piu’
luce per leggere. Quintiliano e Seneca ci informano di come le
biblioteche avessero cataloghi che descrivevano il contenuto stanza
per stanza, così come oggi si usa per le sale di una galleria
d'arte, ma poi il contenuto di ogni sala era elencato in ordine
alfabetico di autore.
Sappiamo
anche che nella biblioteca Ulpia gli scaffali erano numerati, perciò
supponiamo lo fossero anche nelle altre. I libri, costituiti com'è
noto di papiro e più tardi di pergamena, erano a forma di rotolo: il
volumen, così detto appunto perché si avvolgeva e si svolgeva
intorno ad un bastoncino: l’umbilicus, fissato all'ultimo foglio.
I
fogli di papiro, di cui esistevano varie qualità, dalla più
scadente alle migliori, venivano incollati uno di seguito all'altro
dal lato più lungo, e la striscia che si formava era abbastanza
lunga. Fu Cesare a inventare questo antesignano del libro, durante le
sue campagne militari, affinchè i suoi scritti non pesassero troppo
ma soprattutto occupassero meno spazio sul carro.
Gli
autori dividevano la loro opera in libri, ogni libro veniva
arrotolato e chiuso in una custodia: capsa o theca di cuoio. La
lettura avveniva svolgendo il rotolo gradatamente da sinistra verso
destra e un cartellino attaccato all' umbilicus portava il titolo
dell'opera e il numero del volume. Il libro, in origine un insieme di
tavolette cerate legate insieme, sostituite poi dalla pergamena,
ancora ai tempi di Marziale (40-104 d.c.) stupiva per l'innovazione e
la praticità la praticità.
I
fogli di pergamena erano tagliati, piegati e cuciti insieme a formare
quaderni (il quaternio aveva 16 pagine dei nostri giorni) che
venivano ancora cuciti insieme a seconda delle necessità, e
presentava il grande vantaggio di poter essere scritto sulle due
facce mentre sul volumen si poteva scrivere da una sola parte.
Il
papiro cercò di adeguarsi alla forma del codice ma, assolutamente
inadatto, cadde rapidamente in disuso. Verso gli ultimi tempi della
Repubblica si usò acquistare i libri dal bibliopola a cui si
ordinavano anche copie, e la figura del libraio si confonde con
quella dell'editore.
Officine
scrittorie esistevano sia presso le biblioteche private che in quelle
pubbliche. Ecco come lo studioso Romolo Staccioli descrive,
in base ai resti e ai documenti, la Biblioteca Ulpia:
“L’aula,
rettangolare, e originariamente aperta con un lato colonnato sul
cortile della Colonna, era pavimentata con lastre di granito grigio
inquadrate da fasce di marmo numidico o «giallo antico». Due ordini
di colonne in pavonazzetto, sormontate da un fregio con motivi
vegetali, ornavano le pareti. Grandi nicchie erano poste al di sopra
di tre gradini che le rendevano accessibili, destinate a ospitare gli
armadi di legno nei quali venivano conservati i libri. Nella parete
di fondo s’apriva una grande edicola che conteneva la statua
dell’imperatore o, forse, quella di Minerva, dea della sapienza.
L’altra aula della biblioteca era esattamente di fronte, al di là
della Colonna, concepita, essa stessa, come una sorta di grande
«libro» illustrato”.
Per
ovviare ai problemi di umidità vi erano intercapedini poste tra i
muri delle sale interne e quelli esterni dell’edificio.
Vitruvio
nel De Architectura ricorda come “le biblioteche devono essere
rivolte a oriente in modo da sfruttare il sole del mattino; inoltre i
libri non imputridiscono. Infatti nelle stanze volte a sud e a ovest
i libri vengono danneggiati dalle tignole e dall’umidità a causa
del sopravvivere dei venti umidi, rendendo i rotoli ammuffiti con
l’infondere loro aria umida”
Mentre
Vitruvio dettava regole sull'orientamento migliore degli ambienti
delle biblioteche (De architectura I 2, 7 e VI 4,I), i loro
possessori si ingegnavano di adornarle con ringhiere di marmo, statue
e mosaici.
Con l'avvento del cristianesimo molte di esse furono
riciclate nei monasteri dell'epoca medievale, dove vennero adoperate
per scrivere sugli ampi margini, vista l'irreperibilità all'epoca
della pergamena, e talvolta copiate dagli amanuensi che potevano
rivendere le opere ai signori che avevano avuto la fortuna di
ricevere un'istruzione ormai negata al popolo. Purtroppo gli
amanuensi raramente furono studiosi appassionati, per cui le opere
furono copiate in modo incompleto, o inesatto o addirittura
travisato.
IL
PROBLEMA DELLE TRADUZIONI
Varrone
nel De Agricoltura, cita cinquanta libri che consiglia alla moglie di
leggere, naturalmente tutti greci. E' l'epoca delle biblioteche
private, con libri ottenuti in prestito e copiati o regalati da
amici. Spesso erano copie di presentazione da parte degli autori.
Coloro
che volevano copie ma non conoscevano l'autore potevano prenderli in
prestito da amici che invece lo conoscevano e quindi copiarli. Una
volta che l'autore aveva distribuito le sue copie dono o quelle di
presentazione, il suo libro era divulgato e chiunque poteva farne una
copia.
Difficile invece comprare libri, poiché a Roma c'erano
ancora poche librerie. Cicerone narra che sulla scalinata di una
taberna libraria, vicino al Foro, Attico ottenne la copia
di Serapione che aveva acquistato per Cicerone da una
libreria romana.
Del
resto una copia prodotta da un proprio copista, fatta da un libro
preso in prestito, poteva esser controllata nella fedeltà
all'originale, ma non si poteva farlo con una copia acquistata da un
libraio, di cui non si sapeva la qualità della traduzione.
Cicerone
espose a suo fratello la difficoltà delle traduzioni dei libri in
latino:
"Per i libri in latino non so dove andare; le
copie sono fatte e vendute strapiene di errori."
Spesso
i librai usavano "scribi incompetenti e che non
ricontrollavano i testi", e occorreva pertanto portarsi in
libreria un esperto di libri; così Cicerone cercò l'aiuto
dell'esperto Tirannione per aiutare il fratello a scegliere i libri.
LE
LIBRERIE
La
libreria era praticamente uno scriptorium, cioè una
copisteria.
Il librario possedeva una copia delle opere
prrincipali, come Omero, Euripide, Platone,
Aristotele, con poche copie di ciascun autore, da vendersi
direttamente dal banco.
Diceva
infatti Cicerone che "i libri che uno vorrebbe avere non
sono quelli che sono in vendita", cioè i soliti.
Invece
i libri si compravano bene all'estero, soprattutto
ad Atene, a Rodi e ad Alessandria.
Una
delle prime collezioni di Cicerone proveniva dalla Grecia; Attico suo
buon amico, che allora viveva ad Atene, gliela raccolse coi suoi
soldi.
Costava così cara che Cicerone dovette chiedere ad
Attico di attendere un po' per il rimborso, dichiarando "ego
omnes meas vendemiolas eo reservo " cioè "sto
risparmiando tutte le mie spigolature per questo."
Attico
era ricchissimo per cui non ci furono problemi. Ma da qui si desume
che i libri erano merce da ricchi, almeno come collezione.
BIBLIOTECA
DEGLI SCIPIONI
Le
prime di cui abbiamo notizia risalgono agli ultimi secoli della
Repubblica. Furono prede di guerra confiscate dai generali vincitori
ai vinti, come ad esempio quella portata dagli Scipioni in seguito
alla conquista di Pella nel 167 a.c., che diventò poi centro di
cultura attorno a cui si riunirono tutti gli artisti, in uno dei
primi circoli culturali che prese il nome dagli Scipioni.
Gli
Scipioni non solo furono grandi patrioti, valenti generali e uomini
dalla mente innovativa, ma pure studiosi e amanti della conoscenza e
dell'arte. Si sa che Scipione e suo fratello acquisirono tramite loro
padre la collezione libraria della biblioteca macedone che
il generale pretese interamente per sè rinunciando però a qualsiasi
altra ricchezza del bottino di guerra.
La
biblioteca indubbiamente vasta fu iniziata verso la fine del V sec.
ac. da Archelao I re di Macedonia, così amante della
cultura greca da chiamare Euripide ed altri
famosi letterati ateniesi presso la sua corte. La
biblioteca fu arricchita poi da Antigono II Gonata, (277-239
ac.)
anche lui grande amatore delle arti. Scipione fu quindi in grado di
offrire accesso a quegli scrittori latini che godevano della sua
amicizia, e a fornire scritti greci introvabili.
Ennio,
che i romani consideravano il padre della letteratura latina,
tradusse dal greco in latino la singolare storia
utopico-filosofica di Evemero, che narra di un viaggio
immaginario verso un'isola sconosciuta dell'Oceano Indiano. Ennio
deve aver ricevuto il testo greco da Scipione, poiché Evemero aveva
passato più di un decennio presso la corte macedone e certamente
aveva fatto in modo che la biblioteca reale contenesse alcune copie
delle sue opere.
BIBLIOTECA
DI SILLA
La
biblioteca di Silla, arricchita dai bottini di guerra, possedeva la
rarissima e preziosisima collezione di Aristotele. Questa era
infatti capitata in una famiglia dell'impero di Pergamo che
l'aveva riposta sottoterra per salvarla dalle razzie degli agenti
reali. Fu infine venduta ad un bibliofilo, Apelliconte di Teos,
che la portò ad Atene. Nell'86 ac. Silla
prese Atene e, quando Apelliconte morì poco dopo, si impossessò dei
suoi libri e se li portò a Roma.
Così
Silla, conquistata Atene durante la prima guerra contro Mitridate
(88-86 a.c), si porta a Roma la biblioteca di Apellicone di Teo,
grande raccoglitore di testi rari il quale, secondo la tradizione,
avrebbe acquistato a Scepsi i resti delle biblioteche di Aristotele e
Teofrasto.
Questa
collezione includeva opere di Aristotele e del suo
successore, Teofrasto, ma dovevano venire restaurati, dato che
l'umidità ed i vermi l'avevano danneggiata. Apelliconte li aveva
fatti spesso ricopiare, restaurando il testo dove mancava, ma non
essendo uno studioso, aveva commesso molti errori. Dopo la morte di
Silla, la collezione passò a suo figlio Fausto, che non se ne
interessò molto, lasciandola alle cure del bibliotecario
responsabile.
Tirannione
di Amisos, un saggio grammatico greco che viveva
in Italia ed era abile nella manutenzione e organizzazione
dei libri, riuscì ad entrare nelle buone grazie di Fausto (e del
bibliotecario) e gli fu permesso di revisionare e riparare i
contenuti della biblioteca sillana, rendendo i libri nuovamente
usabili e leggibili. Poi Fausto, il figlio di Silla, venne ucciso
mentre combatteva contro Cesare in Africa nel 46 ac. Si sa che parte
della biblioteca confluì in quella di Cicerone.
A
Roma durante il II sec. a.c. vennero dunque diffondendosi le
biblioteche private, su modello di quelle ellenistiche. Fu proprio a
seguito alla conquista della Grecia da parte dei romani che fu
portata nella capitale una grande quantità di libri, come bottino di
guerra.
Molti
intellettuali disponevano di una propria biblioteca, che mettevano a
disposizione di chiunque volesse servirsene. Tra essi possiamo
ricordare Lucullo, probabilmente la più famosa, e quella di
Cicerone, che con l’aiuto dell’ esperto amico Attico, raccolse
numerosi testi, e nella quale confluirono anche i libri di Silla, e
quella dei Pisoni ad Ercolano.
Plutarco,
narra la stessa cosa di Paolo Emilio, che aveva depredato la
biblioteca del re Perseo, ultimo re dei Macedoni, sconfitto a Pidna
(168 a.c.) e Lucio Licinio Lucullo che ne trasferì a Roma un'altra,
importante e ricca di opere filosofiche, dopo la guerra contro
Mitridate (72-70 a.c.) permettendone magnanimamente la consultazione
ai cultori del greco. Ma tutte queste biblioteche erano prelevate in
toto, non frutto di un lavoro e una ricerca.
D'altronde
i romani erano stati impegnati nella lunga, eccezionale impresa di
dominio sugli italici e popoli limitrofi, per cui non avevano avuto
tempo di elaborare la loro povera, anche se antichissima letteratura,
e si basarono sulla letteratura greca per i loro interessi
culturali.
Gli
antichi romani non erano affatto ignoranti, e secondo Tito Livio già
intorno al V sec. a.c. i giovani aristocratici romani andavano in
Etruria a studiare lettere, e probabilmente il greco, che conoscevano
anche attraverso contatti con i greci dell'Italia meridionale. Basti
pensare che l'alfabetizzazione in epoca imperiale era nella stessa
percentuale di quella odierna.
Esemplare
il caso di Livio Andronico, originario di Taranto, uno dei più
importanti centri della Magna Grecia, fu portato a Roma come schiavo
da Livio Salinatore nel III sec. a.c., dove gli venne resa la libertà
per i suoi meriti di precettore e dove riuscì ad introdurre per la
prima volta i poemi omerici, adattandone alcuni contenuti ed
espressioni, che altrimenti sarebbero rimasti di difficile
comprensione, alla maniera latina (ad esempio identificò le Muse con
le riconoscibilissime Camenae, divinità romane delle fonti venerate
nel santuario di Porta Capena )facilitando così, la diffusione della
letteratura greca.
Verso
la fine dell'età repubblicana o privati cominciarono a permettersi
le proprie biblioteche affidandole alle cure di dotti liberti, spesso
gli stessi precettori dei propri figli. Queste biblioteche erano
sistemate spesso nelle ville suburbane, per gli studi letterari nella
pace agreste, ma anche perchè era uno status simbol di ricchezza.
Scrive
Petronio:
“A
che fine innumerevoli libri e biblioteche , delle quali a stento il
proprietario durante la propria esistenza riesce a leggere i
cataloghi?.. Per molti , ignari perfino dei primi rudimenti delle
lettere, i libri non sono strumenti di studio, ma ornamento da sala
da pranzo.. Giustificherei pienamente questa ostentazione se fosse
dettata dal desiderio di studio: invece queste opere di sacri
ingegni, separate dai ritratti di costoro, vengono riunite per il
decoro e l’ornamento delle pareti”
BIBLIOTECA
DI SULPICIO GALLO
Sulpicio
Gallo, che Cicerone reputava "uno dei nobili romani
più devoti allo studio delle lettere greche", fu un esperto
di astronomia, di certo con una biblioteca ben fornita che,
oltre a raccogliere molti autori filosofici e letterari greci,
includeva molte e rare opere greche sull'astronomia. Gallo potrebbe
aver ricevuto da Scipione il testo di un rinomato poema
sulle costellazioni scritto dall'erudito poeta Arato che
lo scrisse su suggerimento di Antigono Gonata e ci doveva
sicuramente essere una copia nella biblioteca macedone; tuttavia
quest'opera doveva esser troppo semplice per un valido studioso come
Gallo.
I
testi più seri erano reperibili solo nella Biblioteca di
Alessandria, e forse Gallo ordinò che gli venissero fatte delle
copie e mandate a Roma. Appena prima della Battaglia di
Pidna del 148 a.c., Emilio Paolo lo chiamò affinché
parlasse alle truppe e spiegasse scientificamente l'eclisse
lunare che stava per sopraggiungere, in modo che i soldati
romani non si spaventassero e pensassero che fosse un segno negativo
degli Dei; Gallo poi scrisse effettivamente un trattato sull'eclissi.
BIBLIOTECA
DI POLIBIO
Polibio,
generale e politico greco trasportato a Roma come ostaggio dopo
Pidna, e che divenne amico intimo di Scipione, visse a Roma e scrisse
una storia dei romani sul cinquantennio dallo scoppio della II guerra
punica (218-202 ac.), fino alla distruzione dell'impero macedone
portata a termine da Emilio Paolo nel 168, il quale si era portato a
Roma la prima biblioteca conosciuta e registrata nella storia.
Polibio
scriveva in greco coll'intento di spiegare al mondo greco
cosa aveva permesso a Roma di salire così rapidamente all' immenso
potere economico, militare e civile che aveva, chiaramente per
ingraziarsi i romani ma pure perchè era rimasto sinceramente
abbagliato dalla civiltà dell'urbe. Sicuramente attinse alla storia
monumentale della Sicilia scritta da Timeo perché,
come lui stesso annuncia, continua "da
dove Timeo ha lasciato".
Ma
Polibio conosce e giudica molti autori, per cui deve aver avuto una
fornita biblioteca, in larga parte ottenuta copiando i testi di
Scipione, noto tra l'altro per la sua generosità, e non solo aveva
opere note, come quella di Timeo di Tauromenio, ma pure meno
note e accessibili, come quelle di Caritone e Sosilo.
Inoltre viaggiava molto e quindi poteva fare acquisti in merito. Un
soggiorno ad Atene, per esempio, avrebbe potuto fargli
recuperare una copia della storia di Timeo, dato che costui aveva
scritto là e Atene era il posto dove i librai fecero la loro prima
comparsa:
- Critica Teopompo, autore di una massiccia
storia dei tempi di Filippo II padre di Alessandro
Magno, per le sue bugie, acrimonie e pettegolezzi.
-
Critica Filarco, che aveva trattato della storia greca del III
sec. ac., come scrittore sensazionalista piuttosto che storico.
-
Critica Filino, che aveva descritto la I guerra punica,
perchè troppo filocartaginese.
- Critica Caritone e
Sosilo, che si occuparono della II guerra punica dato che
facevano entrambi parte delle file annibaliane, come "
Ma
Polibio conosce e giudica molti autori, per cui deve aver avuto una
fornita biblioteca, in larga parte ottenuta copiando i testi di
Scipione, noto tra l'altro per la sua generosità, e non solo aveva
opere note, come quella di Timeo di Tauromenio, ma pure meno
note e accessibili, come quelle di Caritone e Sosilo.
Inoltre viaggiava molto e quindi poteva fare acquisti in merito. Un
soggiorno ad Atene, per esempio, avrebbe potuto fargli
recuperare una copia della storia di Timeo, dato che costui aveva
scritto là e Atene era il posto dove i librai fecero la loro prima
comparsa:
- Critica Teopompo, autore di una massiccia
storia dei tempi di Filippo II padre di Alessandro
Magno, per le sue bugie, acrimonie e pettegolezzi.
-
Critica Filarco, che aveva trattato della storia greca del III
sec. ac., come scrittore sensazionalista piuttosto che storico.
-
Critica Filino, che aveva descritto la I guerra punica,
perchè troppo filocartaginese.
- Critica Caritone e
Sosilo, che si occuparono della II guerra punica dato che
facevano entrambi parte delle file annibaliane, come "chiaccheroni
pettegoli".
-
Apprezza invece Sicione, famoso generale e politico
del Peloponneso nella II metà del III sec. ac.,
per
le memorie di Arato.
-
Apprezza invece Sicione, famoso generale e politico
del Peloponneso nella II metà del III sec. ac.,
per
le memorie di Arato.
BIBLIOTECA
DI VILLA DEI PAPIRI – POMPEI
La Villa
dei Papiri ad Ercolano in Italia, è l'unica
biblioteca dell'antichità classica che si sappia sia
sopravvissuta a tutt'oggi - grazie alla cenere vulcanica
del Vesuvio che, trasformandosi in tufo, ha
preservato i rotoli per duemila anni. La collezione privata di questa
Villa potrebbe una volta esser appartenuta a Lucio Calpurnio
Pisone Cesonino, suocero di Giulio Cesare, durante il I
secolo ac.
Sepolta
dall'eruzione del Vesuvio che distrusse la città nel 79
dc., fu riscoperta nel 1752 e circa 1800 rotoli
carbonizzati furono rinvenuti al piano superiore della Villa stessa.
Usando tecniche moderne di recupero, come l'immagine multispettrale,
sezioni di rotolo prima illeggibili sono ora srotolate e decifrate. È
probabile che esistano ancora altri rotoli seppelliti nella parte del
sito archeolgico inferiore della Villa ancora da scavare.
BIBLIOTECA
DI CICERONE
Le
biblioteche erano molto spesso patrimonio delle ville e delle ricche
domus, e non sempre per reale interesse di studio (Petronio,
Luciano), perchè i prezzi dei libri erano salati per cui solo i
ricchi potevano provvedersi di una biblioteca, contentandosi altri di
qualche libro di filosofia o di poesia o letteratura. Pertanto
qualcuno ne sfoggiava come pstentazione di ricchezza, ma la maggior
parte erano veramente apprezzate perchè i romani studiavano più di
quanto non si faccia oggi, sia perchè esistevano le scuole pubbliche
di base, sia perchè i maestri privati si pagavano poco a meno che
non fossero molto illustri, sia perchè anche le famiglie modeste
sentivano la necessità di mettere colti insegnanti a fianco dei
figli. Vedi Cesare la cui famiglia viveva nel malfamato e povero
quartiere della Suburra, dando però a Giulio una ottima istruzione
sia di latino che di greco.
Siamo
nel giugno del 56 ac.: Cicerone è in campagna e si occupa di
sistemare la sua biblioteca di Anzio: Att. IV, 4a. 5, 3. 8, 2.
Cicerone viene aiutato dal liberto Tirannione per l’ordinamento dei
libri, ma richiede ad Attico la presenza di due rilegatori
(glutinatores, Att. IV, 4a, 2). Sempre a giugno Attico invia Dionisio
e Menofilo, che preparano etichette (sittibae), che riscuotono
l’approvazione di Cicerone: Att. IV, 5, 3. 8, 2. Si sa che nella
sua biblioteca confluirono i libri di Silla, e quella dei Pisoni ad
Ercolano. Ma sicuramente aveva libri anche a Roma, a Tusculum e a
Formia, proprietà che gli vennero purtroppo completamente
distrutte.
In
una lettera ad Attico, Cicerone si lamenta di una copia del suo De
Finibus fatta da Cerellia, una donna che era sua amica o parente
e ben nota ad Attico. Se ne crucciava perché Cerellia aveva fatto la
copia da un'altra copia che aveva in qualche modo ottenuto dal
bibliotecario di Attico, prima che Cicerone fosse pronto a farla
circolare ufficialmente. Cerellia era "ovviamente
incendiata dall'entusiasmo per la filosofia",
afferma Cicerone con un po' di misoginia. Ma Cerellia era molto
interessata alla filosofia e sembra avesse una collezione
di opere alla quale era decisa di aggiungerci l'ultima uscita di
Cicerone. Cerellia era forse un'eccezione come donna che possedesse
una biblioteca, perchè alle donne non era concessa l'erudizione che
spettava agli uomini, a meno che non si trattasse di patrizi
dall'animo illuminato che concedevano il sapere anche alle figlie.
Infatti Tullia, la figlia di Cicerone, è detta da suo padre
doctissima.
«
Prebelle feceris si ad nos veneris. Offendes designationes
Tyrannionis mirificam in librorum meorum bibliotheca, quorum
reliquiae multo meliores sunt quam putaram. Et velim mihi mittas de
tuis librariolis duos aliquos, quibus Tyrannio utatur glutinatoribus,
ad cetera administris, iisque imperes ut sumant membranulam, ex qua
indices fiant, quos vos Graeci, ut opinor σιλλοβους
appellatis. Sed haec, si tibi erit commodum. Ipse vero utique fac
venias, si potes in his locis adhaerescere et Piliam adducere. Ita
enim et aequum est et cupit Tullia. Medius fidius ne tu emisti λοχον
praeclarum. Gladiatores audio pugnare mirifice. Si locare voluisses,
duobus his muneribus liber esses. Sed haec posterius. Tu fac venias
et de librariis, si me amas, agas diligenter. »
«
...Gran bella cosa farai venendomi a trovare. Ti accoglierà la
magnifica sistemazione dei miei libri nella biblioteca, fatta da
Tirannione. Quello di essi che mi resta è assai meglio di quanto mi
aspettassi. Vorrei anche che tu mi mandassi un paio dei tuoi copisti
che servano a Tirannione nel lavoro di incollatura o, in generale,
come aiutanti, e fa' che portino della pergamena per farne i titoli,
quelli che voi greci chiamate, credo, sillobi. Tutto questo, però,
se non ti reca disturbo. Ma, sopra tutto, vieni tu, e fai in modo di
fermarti un po' in questi paraggi e di condurre anche Pilia, il che
mi sembra giusto ed è tanto desiderato da Tullia. E poi, perbacco,
hai comperato davvero una magnifica compagnia di gladiatori; mi
dicono che combattono splendidamente! Se tu avessi voluto darli in
affitto, con codesti due spettacoli potevi ripagartene la spesa. Ma
di tutto ciò a più tardi: l'essenziale è che tu venga e mi
raccomando, te ne prego, provvedi per i librai. »
(Cicerone,
Epistulae ad Atticum, IV.4a.1)
Cicerone
peraltro era riuscito ad ottenere i servizi di Tirannione, l'esperto
che aveva messo in ordine la biblioteca di Silla. Ma il piacere
non durò a lungo perchè nel 46 ac. scrive
a Publio Sulpizio, comandante
delle forze armate in Illiria (
penisola balcanica):
«
delle forze armate in Illiria (
penisola balcanica):
« Dionysius,
servus meus, qui meam bibliothecen multorum nummorum tractavit, quum
multos libros surripuisset nec se impune laturum putaret, aufugit. Is
est in provincia tua: eum et M. Bolanus, meus familiaris, et multi
alii Naronae viderunt, sed, quum se a me manumissum esse diceret,
crediderunt. Hunc tu si mihi restituendum curaris, non possum dicere,
quam mihi gratum futurum sit. »
« Il
mio schiavo Dionisio, che maneggiava la mia preziosa biblioteca, ha
rubato molti dei miei libri e, sapendo che sarebbe stato punito, si è
nascosto. Si trova nella tua zona. Fu visto dal mio amico Marco
Bolano e numerose altre persone a Narona, ma lui ha detto che l'avevo
liberato e gli hanno creduto. Se tu riuscissi a farmelo ritornare,
non ti dico quanto te ne sarei grato. »
(Cicerone,
Ad Familiares 13.77.3.)
Ma
lo schiavo si nascose permanentemente presso una tribù dei Vardei
vicino a Narona e Cicerone non recuperò mai più i suoi
volumi.
Quando gli morì la amatissima figlia Tullia Attico
invitò Cicerone ad andarlo a trovare nelle prime settimane dopo la
morte di Tullia per poterlo consolare. Tullia era la figlia da lui
definita doctissima, che partecipava alle discussioni di filosofia ed
era stata istruita sulla cultura greca. Così Cicerone si recò nella
grande biblioteca di Attico, dove lesse tutto quello che i filosofi
greci avevano scritto circa il superamento del dolore, "ma
il mio dolore sconfigge ogni consolazione".
Contro le grandi sofferenze non servono le riflessioni.
BIBLIOTECA
DI TITO POMPONIO ATTICO
In
qualità di ricco cittadino, T. Pomonio Attico ebbe nella sua casa
sul Quirinale una biblioteca molto fornita alla quale spesso Cicerone
ricorse, nonostante egli stesso ne fosse fornito a Roma e fuori Roma.
Di
lui dice C. Nepote:
"Tito
Pomponio Attico non diceva nè poteva sopportare la falsità. E così
la sua affidabilità non era senza severità nè la sue severità
senza facilità, al punto che era difficile a acapire se gli amici lo
venerassero di più o lo amassero. Di qualunque cosa fosse richiesto,
era molto cauto nel promettere, perché riteneva che fosse di persona
non liberale ma leggera promettere quello che non si può mantenere.
Ma poi nel mantenere quello che avesse una volta accordato, metteva
un tale impegno, da sembrare che trattasse non un affare affidato da
altri, ma suo proprio. Mai ebbe a pentirsi di un impegno preso;
riteneva infatti che in quella faccenda fosse in giuoco la sua
riputazione, che era la cosa a cui teneva di più. e così si trovò
a dover trattare tutti gli affari dei Ciceroni, di M. Catone, di Q.
Ortensio, di A. Torquato, inoltre di molti cavalieri romani."
Si
può immaginare se un tipo così retto e leale potesse tenere una
biblioteca per vanto. Non solo era un uomo profondamente istruito ma
essendo pure generoso, si sa che volentieri mise a disposizione i
suoi libri, giungendo a prestarli o a farli copiare. Egli amava la
letteratura e odiava la guerra. Quando Cinna mosse guerra a Roma egli
andò ad Atene, per studiare soprattutto, ma trovò anche il modo di
aiutare i più bisognosi ragione per cui molto lo amarono e stimarono
gli Ateniesi.
Anche perchè rimanendo saggiamente apolitico,
Attico sopravvisse a tutte le traversie dell'epoca e morì
serenamente nel suo letto nel 32 con la sua proprietà
intatta. Cicerone dopo la morte di sua figlia si recò presso di lui
per cercare conforto nei libri, segno evidente che la libreria di
Attico era molto più fornita della sua.
BIBLIOTECA
CALPURNIO PISONE
I
resti cospicui della biblioteca di una villa romana, affiorati sulla
fine del Settecento dagli scavi di Ercolano, appartenuta
probabilmente a L. Calpurnio Pisone Cesonino risultano costituiti in
prevalenza di opere del filosofo epicureo Filodemo di Gadara, che
rifugiato presso Calpurnio Pisone radunava com'è lecito supporre i
giovani allievi romani nella biblioteca dell'ospite. Il carteggio di
Cicerone ci documenta sui suoi sforzi per procurarsi libri in Grecia
e a Roma, con l'aiuto di T. Pomponio Attico e perfino sul suo
desiderio di conoscere -come si ordinasse una biblioteca (Ad Att., 1,
7). Dopo il ritorno dall'esilio i resti delle sue raccolte
saccheggiate furono messi insieme e riordinati dal grammatico
Tirannione e da abili schiavi(Ad Att., IV, 4a, 1; 5, 3; 8, 2).
BIBLIOTECA
DI TERENZIO VARRONE
Roma
possedeva rinomate biblioteche che non erano state formate con
bottini di guerra, ma messe su con pazienza e dispendio da personaggi
dedicati alla letteratura e al sapere.
Tali
collezioni inclusero sin dall'inizio opere latine, sebbene la
maggioranza fosse greca. Una di queste era la bella biblioteca
di Cicerone, e più preziosa quella del suo caro amico Attico,
di grande ricchezza ed erudizione, che parlava il greco quasi
come lingua madre.
Sembra
però che Varrone, a giudicare dalla quantità e varietà dei
suoi scritti, avesse una biblioteca che le superava entrambe, rivale
dell'alessandrino Didimo, infaticabile compilatore e filologo, ma
Varrone era anche lui instancabile, producendo senza sosta file di
libri e monografie su tutti gli argomenti: agricoltura, lingua
latina, storia di
Roma, religione, filosofia, geografia, tecnologia.
Le
sue opere sono quasi tutte scomparse, se non qualche brano del suo
libro sull'agricoltura. Discutendo chi avesse scritto in materia,
Varrone elenca non meno di cinquanta autorità greche, che si presume
avesse consultato. Tale meticolosa ricerca necessitava di una
biblioteca eccezionalmente rifornita. La villa di Varrone con la sua
biblioteca fu saccheggiata da Marco Antonio; Dopo la morte del
dittatore, Varrone fu inserito nelle liste di proscrizione sia di
Antonio che di Ottaviano, interessati più alle sue ricchezze che a
punire i congiuranti, da cui si salvò grazie all'intervento di
Quinto Fufio Caleno, grande amico di Cesare, per poi avvicinarsi a
Ottaviano a cui dedicò il De gente populi Romani volto
alla divinizzazione della figura di Giulio Cesare.
BIBLIOTECA
DI LUCULLO
"Tra
i cittadini romani famosi per le ricchezze e per il lusso,
famosissimo era Licinio Lucullo, il cui solo nome rievoca banchetti
sontuosi, splendide ville, suppellettile fastosa. Ma Lucullo fu anche
un prudente generale nella guerra contro Mitriade, un uomo di vasta
cultura, un accorto raccoglitore di opere d'arte. Spese moltissimo
denaro per comprare una notevole quantità di libri, che sistemò
nelle vaste sale della sua casa romana, permettendone a tutti la
lettura. Questa decisione gli attribuisce una lode anche più grande
del merito che ebbe scegliendo e comprando tutti quei libri. D'altra
parte egli stesso, quando era libero dalle occupazioni politiche, era
solito trattenersi nei portici, che circondavano la biblioteca, per
discorrere di filosofia con i molti dotti romani e greci che
frequentavano la sua casa".
La
biblioteca di Lucullo derivava da bottino raccolto durante
le sue vittoriose campagne militari in Asia
Minore settentrionale. Deprivato del comando nel 66 ac.,
si ritirò a vita privata e, assistito dall'immensa ricchezza che
aveva accumulato come generale vittorioso di tante battaglie, si
dedicò a stravaganze ed eccentricità varie. Mantenne una sontuosa
villa a Roma e altre nella provincia, istallando biblioteche in
ognuna, ricolme di libri che aveva riportato dalle guerre.
Le
biblioteche ricalcavano la forma della devastata biblioteca
di Pergamo: un insieme di stanze per le raccolte, colonnati dove
i lettori potevano stare, e sale dove si potevano riunire e parlare.
Generosamente, Lucullo rese disponibili le sue collezioni non solo
agli amici e parenti, ma anche ai letterati greci che
vivevano a Roma.
I
greci si reacavano da Lucullo perché i suoi libri, provenendo dagli
stati greci dell'Asia Minore, erano scritti in greco, ma poi
nella sua biblioteca vennero aggiunti anche i libri in latino,
anche se pochi rispetto a quelli greci. Gli scrittori latini avevano
cominciato appena due secoli prima, e la loro produzione era solo una
frazione di quello che era disponibile in greco.
(Plutarco, Luc.
42.1.)
« Ciò
che Lucullo fece per stabilire una biblioteca deve certo esser
menzionato. Raccolse molti libri ben scritti e l'uso che ne fece fu
più lodabile del fatto che li avesse acquistati. Aprì le sue
biblioteche a tutti, e le colonnate e le sale tutt'attorno divennero
accessibili ai greci senza restrizioni, i quali arrivarono lì quasi
si trattasse di una riunione delle Muse, e passavano insieme
intere giornate, evitando felicemente i loro altri doveri. »
La
biblioteca di Lucullo fu ereditata da suo figlio, che fu ucciso a
Filippi nel 42 ac. mentre combatteva dalla parte di Bruto e Cassio.
Durante
il periodo imperiale, il numero delle biblioteche pubbliche a
Roma passò dalle 3 del I sec. alle 28 del 377, come
attesta Publio Vittore nel "Dei Cataloghi Regionari Riportati In
Principio Di Ciascuna Regione"
BIBLIOTHECAE XXVIII
publicae: ex eis praecipuae duae, Palatina et Ulpia.
Le
grandi biblioteche del mondo antico servirono come archivi degli
imperi, deposito di sacre scritture, di libri di saggezza,
di letteratura, di poesia, di epica, di scoperte di fisica,
astronomia e geografia e pure di storia. Il volumen,
cioè il rotolo che si svolgeva in orizzontale, durò fino al IV - V
sec. dc., ma per i documenti anche fino all’XI; fu detto
rotulus quello a svolgimento verticale che persistette nel
Medioevo per usi particolari come brani liturgici o amministrativi.
Già
dal II sec. dc. prese forma rettangolare a fogli piegati e
riuniti insieme, assumendo il nome di codex, ma l'invenzione
risale a molto prima, quando Giulio Cesare scoprì che i fogli
piegati e rilegati con nastri occupavano meno posto e pesavano meno
sui carri da guerra. E siccome lui doveva scrivere ogni sera le
battaglie del giorno, togliere l'anima di legno ai rotoli fu una
grande scoperta. Il codex dunque consentiva di scrivere su ogni
facciata ed era molto più maneggevole. Si diffuse durante il IV
sec. nell’Occidente latino e durante il V sec. nell’impero
bizantino. Fin dall’inizio, l’impulso venne dato dai cristiani
che copiarono la Bibbia sul codex.
BIBLIOTECHE
PUBBLICHE
Svetonio,
nella biografia di Caligola, narra che Caligola stimasse
Virgilio e Livio così poco che "fu vicino a bandire i loro
scritti e le loro statue da tutte le biblioteche", il che fa
pensare che come minimo tutte le biblioteche della sua epoca avessero
opere di questi due autori. Ma i libri delle biblioteche riguardavano
non solo gli autori passati ma anche quelli presenti, che per farsi
conoscere donavano i loro scritti alle biblioteche pubbliche.
Infatti
le risorse di scrittori e poeti non consistevano molto sulla
pubblicazione e la vendita nelle librerie, quanto l'essere famosi
procurava loro molti vantaggi, dall'avere inviti continui a cena, al
favore dei mecenati che facevano loro elargizioni, al diventare
precettori di classi ricche, o ottenere incarichi ufficiali
dagli imperatori, o semplicemente vivere a corte nel lusso e nella
mondaneità.
Comunque
se per un serio approfondimento delle opere greche ci si doveva
recare ad Alessandria d'Egitto, per quelle latine bisognava
cercare a Roma. Roma, come Alessandria, curò che i testi delle
librerie fossero accurati e senza errori di trascrizione. Così per
gli acquirenti di libri, se la libreria non possedeva l'opera
ordinata, sapevano che il librario mandava il suo scriba alla
biblioteca per farne una copia fedele del testo originale.
Il
crescere della cultura invitò le librerie ad aver ampia
disponibilità delle opere di autori contemporanei che andavano per
la maggiore, specialmente i poeti. Per le opere più antiche,
spesso venivano regalata ma soprattutto provenivano da copie
commissionate. Uno dei metodi usati per rifornire la Biblioteca
Palatina e la Biblioteca del Portico di Ottavia era quello di inviare
scribi a trascrivere libri posseduti dai vari magnati romani, tipo i
volumina della biblioteca di Pollione. Alcune delle biblioteche
più note dei tempi repubblicani, come quella di Varrone o Lucullo o
Silla, subirono confische nella Guerra Civile, anche queste a
rinsanguare le biblioteche pubbliche e private, che insieme alle
collezioni di Pollione, di Attico e di altri, sotto Augusto Roma si
rifornì ampiamente di testi sia latini che greci.
I
BIBLIOTHECARI
Vespasiano
nominò Direttore delle Biblioteche Dionisio di Alessandria con alle
sue dipendenze un personale di uomini liberi delle classi più
elevate. Dionisio era un famoso erudito greco di Alessandria che
successivamente divenne Segretario degli Affari Greci. Il Direttore
delle Biblioteche non era un incarico a lunga scadenza, come quando
veniva dato quale vertice di una carriera burocratica per liberti
imperiali. Gli impiegati delle biblioteche perdevano il beneficio
della lunga relazione con il proprio capo, ma ci guadagnava la
gestione, avendo superiori capaci di gestire sia le collezioni che
l'economia.
Nelle
biblioteche imperiali, gli addetti provenivano dalla familia
Caesaris, e a capo di ogni gruppo c'era un bibliothecarius. Nel 144
Marco Aurelio al suo precettore Marco Cornelio Frontone scrive di
aver letto due libri molto interessanti ed è sicuro che anche
l'altro li vorrà leggere, ma non deve prenderli presso la biblioteca
del Tempio di Apollo, dato che quelle copie ce l'ha lui, bensì deve
ingraziarsi il bibliothecarius Tiberianus "il bibliotecario di
Tiberio".
Gli
impiegati" della bibliotheca erano perloppiù scribi, ma pure
"conservatori" o restauratori (dei rotoli) e vilici, cioè
assistenti, o commessi incaricati di prendere e riporre i rotoli in
uso. Tutti questi dovevano saper leggere e scrivere, cosa normale
nell'antica Roma, ma con un minimo di erudizione sui testi sia greci
che latini.
BIBLIOTECA
DI ASINIO POLLIONE
Roma
non si preoccupò di fornire biblioteche pubbliche fino all'età di
Cesare, vhi ebbe la prima idea di dare a Roma una biblioteca pubblica
fu Giulio Cesare (SVET., Caes., 44, 2), grande estimatore di
testi greci e latini (parlava e scriveva correntemente il greco),
progettando di suddividerla in due biblioteche gemelle: una che
contenesse testi greci ed una i testi latini, per "costruire
una biblioteca di libri greci ad uso pubblico ed una di libri latini,
entrambe molto grandi, ed il compito di costruirle ed organizzarle fu
assegnato a Marco Varrone" che, come narra Svetonio, volle
realizzare una magnifica biblioteca pubblica e che Terenzio Varrone,
l'uomo più erudito del suo tempo, doveva organizzare. La morte gli
impedì di realizzare questo come molti altri progetti.
La
biblioteca sorse così solo nel 37 a.c. ad opera di Asinio
Pollione, che la costruì sull'Aventino, nell'atrio del tempio della
Libertà. Asinio Pollione, deluso nelle sue aspirazioni
politiche, cercò la fama come illuminato sostenitore delle arti e
delle lettere; ed in effetti ebbe l'onore di restare nella storia
come colui che istituì la prima biblioteca pubblica a Roma,
nell'Atrio della Libertà, da lui restaurato in memoria del trionfo
sui Parti (39 a.c).
Anche
il nucleo di questa biblioteca era bottino di guerra: fu divisa, come
d’abitudine, in due sezioni, una greca e una latina, e le sale
furono ornate dalle immagini dei più grandi scrittori; tra questi,
sommo onore, l’immagine di Varrone, unico tra i viventi.
Asinio
Pollione, statista, comandante, poeta e storico, godeva dell'amicizia
di Catullo, Orazio e Virgilio, tre dei più
grandi poeti romani. Egli realizzò dunque nel restaurato
Atrio della Libertà, al Foro, una biblioteca greca e una latina,
come le aveva immaginate Cesare, ornate dalle immagini dei più
celebri scrittori, tra i quali Varrone, unico fra i viventi (PLiN.,
Nat. hist., VII, II5, XXXV, 10; SVET., AUg., 29). Di sicuro
Marco Terenzio Varrone che aveva scritto l'opera "Sulle
biblioteche" era il più accreditato al compito, ma l'assassinio
di Cesare nel 44 ac.,
pose fine al progetto.
Quando Pollione aprì
la prima biblioteca pubblica, sebbene si trovasse dinanzi a circa
sette secoli di scritti tra i quali scegliere per la sua sezione
greca, ne aveva solo due per quella latina. In teoria aveva quindi
abbastanza spazio per farvi entrare tutto ciò che considerava di
valore.
Sappiamo
della biblioteca di Pollione perché viene citata in vari scritti, ma
la sua è scomparsa nel nulla. Pollione aveva messo una statua di
Varrone nella sua biblioteca, a esprimere la sua profonda sstima in
questo erudito. La statua era in posizione centrale, appena fuori
dal Foro, e la biblioteca era composta da due sezioni, una per
le opere in greco e l'altra per quelle in latino, una sistemazione
che Cesare aveva ideato per la sua biblioteca e che verrà mantenuta
in tutte le successive biblioteche romane.
Quella di Pollione
era elegantemente adornata da statue di autori famosi, incluso un
autore vivente, il saggio Varrone. Poiché Varrone morì nel 27
ac, la biblioteca deve aver aperto le porte ad un certo punto durante
la precedente dozzina d'anni.
BIBLIOTECHE
DI AUGUSTO
Le
grandi biblioteche del Foro, erano diverse biblioteche separate,
fondate al tempo di Augusto e per volontà di Augusto, vicino al Foro
Romano. Edificò pure biblioteche presso il Portico di Ottavia vicino
al Teatro Marcello, nel Tempio di Apollo Palatino e nella stessa
Biblioteca Ulpia presso il Foro di Traiano, come attestano Svetonio
in Augustus 29.3 (Palatino); Plutarco, in Marcellus 30.6
e Cassio Dione 49.43.8 (Portico di Ottavia).
Lamenta
Ovidio caduto in disgrazia che "offre ai lettori le opere di
uomini illustri di cultura passati e presenti" ma non tiene
nulla della produzione di lui, né la biblioteca del Portico di
Ottavia né quella di Pollione. Qundi se ne deduce che la Biblioteca
Palatina ospitava scritti sia precedenti che contemporanei ad Ovidio,
e le altre due tenevano almeno quelle contemporanee, come le poesie
di Ovidio.
Per
migliorare l'efficienza del governo Augusto assoldò moltissimi
schiavi appartenenti al servizio imperiale. Coloro che si
dimostravano abili, man mano che aumentava la loro anzianità e
posizione, ottenevano la manumissio, l'affrancamento, e continuavano
a lavorare come liberti. Questi schiavi e liberti gestivano l'intera
forza impiegatizia, dal più basso commesso di un insignificante
dipartimento al capo del più importante ufficio imperiale: erano, in
effetti, i classici "dipendenti pubblici". Passavano
l'intera vita a svolgere le loro mansioni e i più ambiziosi facevano
carriera salendo i gradini delle promozioni.
BIBLIOTECA
PALATINA
Augusto,
che seguiva tutti gli intenti edificatori di Cesare traendoli dai
molti appunti lasciati dal prozio, istituì poi una biblioteca nel 28
a.c. con sede sul Palatino, ed in particolare nel portico del Tempio
di Apollo, vicino al suo palazzo, composta da due aule absidate con
all’interno delle nicchie per gli armadi. Così Augusto aprì sul
Palatino, vicino alla reggia, una biblioteca che raccoglieva tutti i
testi del diritto romano (IUVEN. Sat., I, 1, 128 e seg) e dove
l'imperatore presiedeva occasionalmente le sedute del Senato (SVET.
Aug. 29).
Le
sale erano adorne di clipei raffiguranti gli autori più famosi
mentre, in una delle absidi, vi era conservata una grande statua
dello stesso Augusto in veste di Apollo. Ricca di tutti i testi del
diritto romano, anche questa biblioteca fu divisa in due sezioni, una
greca e una latina. Essa venne ornata e arricchita di statue e fu
fatta dirigere dal grammatico Pompeo Macro. Distrutta dall'incendio
del 64 d.c. e ricostruita da Domiziano, fu di nuovo preda delle
fiamme al tempo di Commodo nel 191 d.c., finchè sparì nell'incendio
del 363 d.c.
I
resti della biblioteca sul Colle Palatino sono scarsi ma rivelano che
sin dall'inizio gli architetti romani per edificare le biblioteche
pubbliche non copiarono affatto i greci, ma trovarono un loro stile.
Dato che era uso archiviare le lingue separatamente, gli architetti
fornivano due strutture, in genere gemelle. Nella Biblioteca Palatina
esistevano infatti due sale identiche messe fianco a fianco. Nel
centro del muro posteriore di ognuna c'era una sala, con la statua
di Apollo, poiché il suo tempio era adiacente alla biblioteca.
Lungo
i muri laterali poi erano poste 18 nicchie con sotto un podio e una
scalinata. Le nicchie erano fatte per i libri. Incastrati dentro di
esse, come si evince da illustrazioni e antiche fonti, venivano poste
le librerie, "armaria", allineate con scaffalature chiuse
da sportelli. Questi potevano essere completamente chiusi oppure
formati da vimini o listelli di legno incrociati che ne lasciavano
scorgere il contenuto.
Le
librerie erano numerate ed i numeri registrati sul catalogo, vicino
ad ogni titolo per indicarne la posizione. I rotoli della collezione
bibliotecaria venivano sistemati orizzontalmente sulle mensole con le
estremità visibili e una targhetta di identificazione. Quindi,
quando gli utenti salivano le scale e aprivano le porte, le targhette
erano subito visibili. Le scaffalature superiori necessitavano però
di una scaletta portatile, la quale doveva esser disponibile sul
podio, come quelle attuali.
Mettendo
le collezioni librarie dentro nicchie lungo i muri, si aveva il
centro della sala disponibile per i lettori con tavoli e sedie.
Quindi, coi libri lungo le pareti e una sistemazione per i lettori al
centro, le biblioteche romane somigliavano alquanto alle sale di
lettura correnti e per nulla alle biblioteche greche che consistevano
di piccole stanze dove venivano collocati i libri, stanze che si
aprivano su colonnati dove i lettori consultavano i rotoli.
Ma
nel caso delle Biblioteca Palatina il colonnato del tempio di Apollo
era attaccato alla biblioteca, per cui si poteva portarvi i libri e
leggerli là, per godersi il fresco nella stagione calda.
Terminate
le guerre Augusto iniziò a ricostruire o abbellire Roma, a
partire dal 28 ac., col Tempio di Apollo sul Palatino,
vicino alla sua dimora, e accanto a questo la seconda biblioteca di
Roma: "la Biblioteca del Tempio di Apollo" o "la Biblioteca
Palatina", suddivisa in sezione greca e sezione latina, come
quella di Pollione.
L'organizzazione
della biblioteca fu affidata al grammatico Pompeo Macro
(SVET. Caes.56);
diretta poi dal liberto di Augusto, Caio Giulio Igino, (SVET., Do
grammat.). Distrutta dall'incendio neroniano del 64 e
ricostruita da Domiziano, poi di nuovo danneggiata nel 191 al tempo
di Commodo, perì definitivamente nell'incendio del 363 (AMMIAN
MARC. XXIII,
3, 3)
BIBLIOTECA
PORTICO D'OTTAVIA
In
seguito altre biblioteche furono istituite da Augusto e dai suoi
successori; nel IV sec. a Roma si contavano ben ventotto biblioteche
pubbliche. In tutto il territorio dell'impero sorsero biblioteche
pubbliche e tra i piú ricchi si diffuse l'uso di possedere una
propria biblioteca privata in cui gli schiavi lavoravano alla
copiatura e alla collazione delle opere.
Cinque anni dopo la
Palatina, Augusto ne fece edificare un’altra, a cui diede il nome
della sorella, la Bibliotheca Octaviae, ovvero fu la sorella di
Augusto che fondò, col permesso e i fondi di Cesare, una biblioteca
per perpetuare la memoria del figlio Marcello, morto nel 23 a.c, una
biblioteca pubblica sicuramente congiunta con il portico
d'Ottavia.
Si iniziò così la costruzione del Portico d'Ottavia
con una doppia biblioteca, un tempio a Giove Statore e a Giunone
Regina, dedicato a Marcello nel 23 ac. (PLUT.,Marcellus 30), con
testi greci e latini, archiviati separatamente come allora si usava.
La biblioteca, eretta nella corte dello spazioso colonnato
semiquadrato del Portico, venne diretta dal grammatico e poeta Caio
Melisso, liberto di Mecenate.
Distrutta
sotto Tito, nell'8o, fu restaurata da Domiziano e ricostruita con
larghissimi mezzi.
Forse
ricostruita dopo un successivo incendio insieme al portico di Ottavia
da Severo e Caracalla, nel 203 (C.I.L., VI, 1034). L'entrata
principale del portico d'Ottavia era accanto alla chiesa di S. Angelo
in Pescheria, dove gli avanzi di una sala, oggi visibili, potrebbero
aver riguardato la Biblioteca.
Quando la biblioteca del Portico
di Ottavia fu distrutta dal fuoco nell'80 dc., Domiziano la
fece ricostruire e si prese cura di far rimpiazzare alcune delle
collezioni perdute con copie provenienti da Alessandria. Il
fuoco colpì ancora durante il regno di Commodo, ma la
biblioteca fu restaurata dall'Imperatore Gordiano, che ci
aggiunse anche 62.000 libri lasciatigli da Quinto
Sereno Sammonico, un erudito già tutore di Geta e Caracalla.
BIBLIOTECA
DI TIBERIO (o Biblioteba domus Tiberiane)
Un'altra
biblioteca pubblica fu costruita da Tiberio e fatta annettere al
portico del Tempio di Augusto. Nel II sec. d.c. Frontone e poi
Gellio, e Flavio Vopisco nel IV sec. parlano ancora di una
Bibliotheca Domus Tiberianae, ricca di opere latine, ma non sappiamo
se è la stessa biblioteca annessa al Tempio di Augusto o un'altra
voluta da Tiberio e inclusa nel suo palazzo. Secondo alcuni Tiberio
ne edificò una nei pressi del tempio del Divo Augusto e ne ricavò
un’altra all’interno del complesso palaziale della Domus
Tiberiana.
Tiberio
costruì insomma una biblioteca annessa al tempio di Augusto al
Palatino (SVET., Tib. 74; PLIN., Nat. hist. XXXIV 43) che però venne
dedicato soltanto al tempo di Caligola. L'edificio funzionava ancora
nel 69 (SVET., Galba I) ma fu distrutto dal fuoco prima dell'anno 79
(PLIN., Nat. hist. XII 94) e restaurato da Domiziano insieme al
tempio di Augusto (MART., Epigr. IV 53-, XII 3, 7 s99.).
Di
questa Bibliotheca domus Tiberianae, ricca di opere della letteratura
latina, parlano Frontone (Epist. IV 5) e Gellio (Noctes Att. XIII 2o,
i) nel II secolo e Flavio Vopisco (SCRIPT. FIIST. AUG., Probus 2, I)
nel IV secolo.
Forse
fondata dallo stesso Tiberio, ma improbabile che si tratti della
biblioteca annessa al tempio di Augusto, trasportata al palazzo di
Tiberio dopo l'incendio dell'edificio.
Alla
morte di Augusto nel 14 dc., Roma aveva solo queste tre
biblioteche pubbliche: quella di Pollione vicina al Foro; quella del
Portico di Ottavia, vicino al Foro, e quella di Augusto
sul Colle Palatino. Il suo successore Tiberio ne aggiunse una e
forse due, sempre sul Palatino, ma non ne è rimasta traccia.
La
biblioteca di Tiberio doveva esser stata di considerevole grandezza,
dato che si racconta che fosse decorata con una statua di Apollo alta
quasi 15 m e posta al centro della sala nel muro postriore, come per
la Biblioteca Palatina,con due file di nicchie, una sopra all'altra,
per le librerie, struttura poi copiata nelle biblioteche successive.
Due
epigrafi romane ci informano che due impiegati di biblioteca che
lavorarono durante il regno di Tiberio, Caligola e Claudio,
cioè tra gli anni 14 e 54 dc. Una lapide in
marmo bianco, fatta a forma di altare e decorata con sculture come si
conviene a un uomo facoltoso, ricorda poi un certo Tiberio Giulio
Pappo, che "era intimo con Tiberio e quindi responsabile di
tutte le biblioteche degli imperatori da Tiberio Cesare fino a
Claudio Cesare".
Un'altra
lapide marmorea riporta di un certo "Tiberio Claudio Scirto,
liberto di Augusto, Direttore delle Biblioteche"; Dunque un
ex schiavo di Augusto, non solo liberato cioè reso liberto ma
l'aveva onorato dell'alta carica di direttore delle biblioteche
augustee. Due iscrizioni funerarie riportano ancora di Scirto
nominato o confermato da Tiberio come: "Direttore delle
Biblioteche" (procurator bibliothecarum).
Tiberio
aveva sotto la sua tutela quattro o cinque biblioteche pubbliche che
necessitavano di un responsabile. Si suppone anche che Scito non
fosse uno studioso ma un semplice amministratore che aveva fatto
carriera. Una bibliotheca templi Augusti è citata anche da Plinio il
Vecchio nella Naturalis Historia 34.43, che cita anche Gellio,
13.20.1 insieme a una domus Tiberianae bibliotheca
BIBLIOTECA
DI VESPASIANO
Vespasiano aggiunse
la sua biblioteca, testimoniata anche da Gellio, come parte
del Tempio della Pace che eresse vicino al Foro dopo la
fine della I guerra giudaica nel 70 dc., fra gli
anni 71-75, a est del Foro di Augusto, che secondo Plinio, fu uno dei
tre più begli edifici di Roma. Venne distrutta dal fuoco sotto il
regno di Commodo e si crede restaurata da Settimo Severo e Caracalla
(H. A, Tyr. Trig., 31, 10).
La
biblioteca, ricordata da Gellio, sembra fosse ricca di opere di
antiquari e grammatici latini. Alcune rovine pare siano state
identificate per quella di Vespasiano, ma senza certezza e comunque
troppo frammentarie per trarne informazioni. Nel 191, un
altro incendio distrusse il Tempio della Pace di Vespasiano e
sicuramente anche la biblioteca, ma furono entrambi restaurati
completamente dato che erano in piena forma nel 357.
BIBLIOTECA
TEMPLUM PACIS
Durante
l’ anno 75 d. c. l’imperatore Vespasiano ne fece realizzare
un’altra annessa al Templum Pacis, nel Foro della Pace, cioè
all'incirca nella zona dove oggi via dei Fori Imperiali incrocia
Largo C. Ricci. Secondo Plinio era uno dei tre edifici più belli di
Roma; fu distrutta dal solito ricorrente incendio al tempo di Commodo
e sembra venne restaurata da Settimio Severo. Secondo Aulo Gellio,
l'autore delle Noctes Atticae, essa era ricca soprattutto di opere di
autori latini.
BIBLIOTECA
DI TRAIANO o BIBLIOTECA ULPIA
Fu
memorabile la biblioteca "Ulpia" che Traiano fondò nel
Foro da lui costituito nel 113, che Gellio (XI, 17, I) chiamò
Bibliotheca templi Traiani e Flavio Vopisco designava, al principio
del sec. IV, come Bibliotheca Ulpia (H- A., Aurel., I, 7. I, 10. 8,
I. 24, 7; Tacitus, 8, 1: Carus et Numer., II, 3; Probus, 2, 1). I
resti di una delle sezioni delle quali la biblioteca constava, e
precisamente quello ad occidente della Colonna coclide, ci sono
stati restituiti nel corso di recenti scavi della zona imperiale.
Il
Foro di Traiano si estende a fianco
del Campidoglio, separato da questo da Via dei Fori Imperiali.
Il Foro Traiano si riconosce immediatamente perchè da esso svetta
alta nel cielo la famosissima Colonna Traiana con le rovine
archeologiche della biblioteca che constava di due sale gemelle, una
per le opere greche e una per quelle latine. Mentre nella
Biblioteca Palatina le sale erano affiancate, qui invece erano
speculari, ai lati opposti del portico quadrato con la Colonna al
centro.
Chi
voleva consultare opere in entrambe le lingue, doveva camminare circa
40 m da un'entrata, dopo il portico con la Colonna, e arrivare
all'altra entrata. La sala dalla parte del Campidoglio, a
sud-ovest della Colonna, è ben conservata e i resti, sebbene stiano
sotto Via dei Fori Imperiali, sono accessibili in un sotterraneo col
soffitto formato da travi che sostengono la strada. Si possono vedere
il pavimento, la porzione inferiore dei muri e una quantità di
frammenti marmorei che provengono dalle decorazioni.
La
biblioteca era ancora in piedi nel 456, perché un oratore che
fece un panegirico per l'imperatore in quell'anno, si
gloriò di aver ottenuto in ricompensa una sua statua tra quelle
degli autori che ornavano la biblioteca. Traiano non aveva badato a
spese facendo usare marmo e pietra, materiale quasi tutto
importato. Il pavimento era lastricato con grandi rettangoli di
granito grigio d'Egitto, separato da strisce di marmo giallo del Nord
Africa.
Il
materiale di costruzione dei muri, in cemento ricoperto di mattoni,
era totalmente rivestito di pavonazzetto, proveniente dall'Asia
Minore. Ogni nicchia era incorniciata con marmo bianco e sovrastata
da una modanatura di marmo bianco. Le colonne che sorreggevano la
galleria erano di pavonazzetto, con base e capitelli di marmo bianco,
e stavano di fronte a pilastri di pavonazzetto che decoravano lo
spazio della parete tra le nicchie.
La
statua nella sala sul fondo era di marmo bianco, sicuramente di
Traiano. La sala a sud-ovest, era spaziosa con 27,10 m ai lati e
20,10 m nella parte anteriore e posteriore. molto ariosa, dato che si
alzava per due piani ed era coperta da un soffitto a volta, forse
volte a crociera. Il muro che formava il retro della sala aveva al
centro una sala per alloggiare una statua di grani dimensioni; ad
entrambi i lati del recesso si trovavano un livello superiore e uno
inferiore di nicchie per librerie, due per livello.
Le
pareti che formavano i lati della sala avevano ognuno un livello
superiore e uno inferiore di sette nicchie. Sotto il livello
inferiore stava un podio, con tre scalini di fronte ad ogni
nicchia per l'accesso ai libri. Le nicchie superiori sono andate
distrutte, ma resta una fila di colonne sul podio nell'intervallo tra
una nicchia e l'altra, sorreggendo la galleria del livello superiore.
Le
nicchie delle parti laterali avevano una larghezza di m 1,6, mentre
quelle del recesso sul retro erano più strette, con 1,35 m
in larghezza. L'altezza dovrebbe essere il doppio della larghezza,
cioè 3,23 m. La profondità è di 0,625 m. La cornice marmorea
delle nicchie lasciava uno spazio tra i lati delle nicchie con dentro
le librerie di legno. Veniva inoltre lasciato dello spazio nel retro,
dato che la profondità delle nicchie era maggiore della profondità
delle librerie. Tutto ciò per evitare il contatto dei rotoli con le
pareti, preservando i rotoli dall'umidità.
Con
sette librerie superiori ed inferiori in ogni parete laterale e
quattro su quella posteriore, si ottenevano 36 librerie, contenenti
circa 10.000 rotoli. Raddoppiando per la biblioteca gemella,
diventano ben 20.000 rotoli. Tacito, Cfr. Scriptores Historiae
Augustae 8.1., menziona un libro che si trovava "nella sesta
libreria della biblioteca di Traiano" (in bibliotheca
Ulpia in armario sexto).
Una
scalinata sul retro dell'edificio forniva l'accesso alla galleria. La
parte di fronte alla Colonna Traiana e all'altra sala gemella, era
aperta; non c'era muro, ma solo quattro colonne coperte da
trabeazione che servivano da entrata. Anzichè porte c'erano
partizioni di bronzo poste tra le colonne quando si voleva chiudere
le biblioteca. A nord-est l'entrata veniva illuminata dalla luce
mattutina mentre le finestre negli altri tre lati del semicerchio
formato dalle volte del tetto assicuravano luce per il resto del
giorno.
LE
BIBLIOTECHE DELLE TERME
Già
dal II secolo ac., Roma aveva le sue terme pubbliche con le sue
biblioteche anch'esse pubbliche.
Le
biblioteche imperiali erano frequentate da scrittori, avvocati,
filosofi, insegnanti, studiosi e così via ma non solo, visto che la
fama di Roma come grande centro culturale e soprattutto degli
studi latini attirava eruditi da tutto il mondo conosciuto.
Dopo
Traiano vennero costruite molte altre biblioteche a Roma, ma in modo
da poter essere usufruite da un pubblico più vasto e differente.
Insomma vennero incorporate nelle terme pubbliche imperiali.
Queste
biblioteche erano come al solito due sale, ognuna in un'abside poco
profonda nel muro che recintava il grande complesso termale, una
nella parete lungo il lato occidentale e l'altra nella parete lungo
il lato orientale. I lettori che volevano consultare i libri in greco
e latino, dovevano camminare circa 300 m.
L'abside
nel muro occidentale è abbastanza conservato: al centro della parete
ricurva che formava il retro dell'area, c'era una grande nicchia per
una statua; ad entrambi i lati c'erano nicchie per i libri - due
file, una sopra l'altra, di cinque nicchie ciascuna, venti in tutto.
Le nicchie, che misuravano 4,45 m di altezza, 2,06 m di larghezza e
0,73 m in profondità, sono più grandi di quelle della Biblioteca
Palatina o della biblioteca del Foro di Traiano.
BIBLIOTECA
DELLE TERME DI NERONE
Già
dal II sec. ac., Roma aveva le sue terme pubbliche e
diventarono così popolari che per la metà del secolo successivo ce
n'erano circa duecento. Tuttavia solo gente facoltosa aveva i mezzi
necessari per frequentarle: erano tutte di proprietà privata e
facevano pagare l'entrata.
L'inconveniente
finì quando il ministro di Augusto, Marco Vipsanio Agrippa,
concesse ai cittadini romani le terme pubbliche gratuite.
Le
prime grandi terme imperiali furono edificate da Nerone. Da cui il
motto dell'epoca: "Che c'è peggio di Nerone? Che c'è meglio
delle sue terme?" Ne sono rimaste scarsissime rovine.
Quelle
che invece conservano molti resti che ne rivelano grandezza e
splendore, sono le Terme di Traiano, terminate nel 109 dc.,
con diverse porzioni della biblioteca.
Gli
imperatori successivi vollero essere ancor più munifici, e fecero
costruire terme che non solo erano gratuite, ma erano anche decorate
sontuosamente e attrezzate oltre misura. In aggiunta, oltre ad
offrire tutti i normali servizi termali - sale calde, sale bollenti,
bagni freddi, stanze dei massaggi, e così via - questi complessi
venivano adibiti anche a centri ricreativi e culturali: intorno
all'edificio che ospitava i servizi termali venivano costruiti
giardini con viali per il passeggio, cortili per ginnastica o giochi,
stanze per riunioni o spettacoli, e biblioteche.
BIBLIOTECA
DELLE TERME DI DIOCLEZIANO
Più
grandi delle Terme
di Caracalla, furono quelle edificate nel 305 dc. da Diocleziano.
Probabilmente c'erano una o due biblioteche anche lì, ma non
possiamo esserne sicuri della posizione esatta, dato che pare
facciano parte delle porzioni interrate e che giacciono sotto le
attuali costruzioni e strade di
Roma. Un altra ipotesi è che fossero le due aule colonnate
rettangolari del recinto a sud delle terme.
BIBLIOTECA
DELLE TERME DI CARACALLA
Nelle
Terme di Caracalla, iniziate nel 212 , ci sono due sale dentro
il muro
di delimitazione, con circa 260 m di distanza tra gli angoli
sud-ovest e sud-est. Mentre le biblioteche di Traiano sono absidali,
quelle di Caracalla sono rettangolari di m 36,3 x 21,9.
I
lati lunghi erano il frontale e il posteriore di ciascuna sala. Il
frontale non aveva parete ma un imponente colonnato marmoreo di dieci
colonne attraverso il quale si entrava nella biblioteca. Sicuramente
c'erano pannelli di bronzo per chiudere la biblioteca di notte.
Al
centro della parete posteriore c'era il solito recesso che doveva
aver alloggiato la statua colossale dell'imperatore. Negli spazi ad
entrambi i lati del recesso e lungo pareti laterali, c'erano le
nicchie per le librerie, in due file sovrimposte, tre per fila ad
ogni lato del recesso e cinque per fila su ogni parete laterale, per
un totale di 32 librerie. Sotto la fila più bassa un podio con
gradini di fronte ad ogni nicchia e colonne che sorreggevano il piano
superiore.
Almeno
da Traiano in poi le biblioteche fecero parte delle terme pubbliche e
continuarono a farlo perlomeno fino all'inizio del III secolo. Un
catalogo degli edifici importanti di Roma che risale al 350 indica
che c'erano a quell'epoca XXIX biblioteche in città.
Le
terme pubbliche erano frequentate da tutti, uomini e donne, giovani e
vecchi, ricchi e poveri. Non solo ci si lavava e si nuotava ma ci si
divertiva, si faceva sport, si passeggiava negli splendidi giardini
ornati di statue, alberi, siepi e fontane, si giocava a palla, si
ascoltavano discorsi eruditi, chiacchierare con amici, si assisteva a
spettacoli, si mangiava o si andava appunto in biblioteca.
LA
DECADENZA
Le
antiche biblioteche di Roma cominciarono a decadere quando gli
imperatori, sotto la minaccia barbarica, trasferirono le loro sedi
lontano da Roma, ma soprattutto con l'affermazione del cristianesimo,
durante il quale iniziò la decadenza della cultura con una riduzione
fortissima dell'alfabetizzazione. Per giunta la cultura
greca e romana in qualità di culture pagane, vennero perseguitate e
i libri furono in larga parte distrutti.
Già nel IV secolo d.c.
le biblioteche di Roma erano abbandonate e deserte; la biblioteca di
Alessandria venne distrutta alla fine del IV sec. nel famoso episodio
in cui venne linciata e smembrata la giovane scienziata e matematica
Ipazia, per istigazione del vescovo Cirillo che poi venne fatto
santo. In Oriente la biblioteca imperiale di Bisanzio rimase in
funzione anche se con alterne vicende fino al sacco dei Turchi
(1453).
Già nel IV secolo d.c.
le biblioteche di Roma erano abbandonate e deserte; la biblioteca di
Alessandria venne distrutta alla fine del IV sec. nel famoso episodio
in cui venne linciata e smembrata la giovane scienziata e matematica
Ipazia, per istigazione del vescovo Cirillo che poi venne fatto
santo. In Oriente la biblioteca imperiale di Bisanzio rimase in
funzione anche se con alterne vicende fino al sacco dei Turchi
(1453).
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