Roma e le province
L'apparato statale della repubblica romana si era formato
quando Roma era ancora una tipica città-stato. Questo apparato, in
origine, rispondeva agli interessi e alle necessità di un piccolo nu
cleo di cittadini, formatosi su basi alquanto primitive. In seguito,
quando Roma divenne la più grande potenza mediterranea, le vec
chie istituzioni repubblicane persero la loro validità, poiché non ri
spondevano più ai bisogni e agli interessi dei nuovi strati sociali. Il
conservatorismo e l'arretratezza dell'apparato statale repubblicano, la
sua mancanza di rispondenza alle nuove condizioni vennero alla
luce, per la prima volta, quando si trattò di risolvere il problema di
amministrare l'Italia conquistata. I Romani non riuscirono a dar vita
a un unico e centralizzato Stato italico, ma dovettero limitarsi a una
federazione assai eterogenea, nella quale Roma aveva la posizione
preminente, soprattutto grazie alla sua forza militare.
Una prova ancora più chiara dell'arretratezza e della inade
guatezza dell'apparato statale della repubblica ai nuovi compiti fu
data dal modo con cui venne organizzata l'amministrazione delle
province romane. Quando Roma diventò padrona di vastissimi terri
tori d'oltremare, venne immediatamente alla luce l'impotenza dell'ap
parato statale a sfruttare razionalmente questi territori nell'interesse
della stessa classe dirigente.
Verso la metà del II sec. a.C. facevano parte dell'insieme
dello Stato romano nove province, sei all'ovest (Sicilia, Sardegna,
Corsica, Gallia Cisalpina, Spagna e Africa) e tre in oriente (Illiria, Macedonia e Asia Minore). La situazione giuridica delle città di que
ste province era differenziata: la maggior parte apparteneva alla ca
tegoria delle comunità sottomesse che pagavano tributi. Accanto a
queste comunità sottomesse esistevano delle “libere comunità”, che
godevano di completa autonomia e talvolta erano persino esenti da
tributi. I diritti di alcune comunità erano stabiliti mediante trattati
particolari. La regola romana del divide et impera veniva così appli
cata anche in questo caso.
Fino al tempo di Cesare non esistevano norme giuridiche
unitarie per l'amministrazione delle province. Ogni nuovo governa
tore di provincia, quando prendeva possesso della sua carica, solita
mente emanava un editto, nel quale specificava quali princìpi avreb
be adottato nell'amministrazione della provincia stessa. Come reg
genti o governatori delle province i Romani, in un primo tempo,
mandarono i pretori, poi i consoli, una volta che avevano espletato il
loro mandato a Roma. Di solito il governatore della provincia rima
neva in carica per un anno, e durante questo periodo esercitava senza
limitazioni il potere militare, civile e giudiziario; di fatto non era re
sponsabile nei confronti delle autorità romane. Gli abitanti delle pro
vince potevano lamentarsi degli eccessi del potere solo dopo che il
governatore aveva ceduto la sua carica al successore, ma tali rimo
stranze raramente ottenevano soddisfazione. In tal modo l'attività dei
governatori nelle province era priva di ogni controllo.
Quasi tutte le comunità provinciali erano tassate con imposte
dirette e talvolta indirette, soprattutto con dazi doganali. Sulla popo
lazione locale, oltre alle imposte, gravava tutto il peso del manteni
mento dei governatori provinciali, dei loro funzionari e delle truppe
romane dislocate nella provincia. Per i provinciali particolarmente
rovinosa era l'attività dei pubblicani e degli usurai romani. Le com
pagnie di pubblicani, che prendevano in appalto l'esazione dei tributi
nelle province, versavano all'erario romano una somma prestabilita,
che poi estorcevano con enormi interessi alla popolazione locale. La
rapace attività dei pubblicani e degli usurai portava alla rovina non
solo i piccoli proprietari e gli artigiani, ma anche l'aristocrazia pro
vinciale, le città delle province e interi territori una volta fiorenti, e
riduceva in schiavitù gli abitanti di questi territori.
Riassunto lezione di storia Romana, università popolare di Venezia
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