La voce, specchio dell'anima

Il sentimento espresso dalla voce penetra attraverso le orecchie, "le porte d'ingresso dello spirito", percorre le profondità del cuore, lo risveglia e ne stimola le reazioni che si manifestano in azioni concrete. «La voce ha il potere di trasformare la vita dall'interno»
Fu una straordinaria dimostrazione di potenza della voce umana. Anche senza microfono le voci dei cantanti risuonavano per tutta la vasta sala da concerti della televisione di Stato, la NHK Hall di Tokyo. Si innalzavano al di sopra dell'orchestra diffondendosi fino alle ultime file del pubblico, riempiendo completamente lo spazio. Pur così potenti, esse possedevano anche una delicatezza espressiva tale da toccare fino in fondo il cuore degli spettatori. L'occasione era una rappresentazione, da parte della Royal Opera House di Londra, dell'ultima opera di Giacomo Puccini, la Turandot, ambientata nella città imperiale di una semileggendaria Antica Cina.
Che fantastica prova di talento vocale: voci così acute da sembrare penetrare i cieli; voci piene, profonde che scuotevano la terra; note tenute così a lungo da destare ammirazione per la portentosa potenza della voce dei cantanti. Quella sera d'autunno del 1986, ogni singolo spettatore si sentiva come l'ospite di un meraviglioso banchetto vocale.
La voce è una cosa misteriosa. Essa comunica molto più delle sole parole. Cosa crea questo effetto quando parliamo con qualcuno? Secondo la ricerca di uno psicologo americano, il contenuto effettivo di ciò che diciamo incide solo per il 7% sull'impressione totale ricevuta mentre parliamo. Le espressioni facciali influiscono per il 55%, e il rimanente 38% della percezione dell'ascoltatore si basa sul tono della voce e sul modo di parlare.
Ovviamente, le percentuali esatte variano a seconda delle situazioni, ma questi numeri riflettono la media generale.
In vita mia ho incontrato moltissime persone, e in effetti è vero che ognuna possiede una sua qualità vocale e uno specifico modo di parlare. Alcune sembrano quasi "estrarre" faticosamente le loro voci dal di dentro.
Altre mormorano come se stessero parlando tra sé e sé, e la loro voce raggiunge a fatica l'ascoltatore; fra l'altro, la maggior parte di coloro che parlano in questo modo solitamente distoglie anche lo sguardo mentre parla. Altre ancora hanno toni chiari e squillanti, ma danno l'impressione che la comunicazione sia, per loro, un canale a senso uni­co; sembra che usino la voce per sopraffare gli altri. 
Alcune persone scandiscono con cura le parole e formulano frasi così ben fatte che sembra stiano leggendo un testo. Il loro messaggio risulta così estremamente logico e ben strutturato, ma la loro voce sembra affettata e leggermente stridula; è una voce che arriva al cervello, ma non al cuore di chi ascolta.
Il modo in cui parliamo, il nostro peculiare timbro e tono di voce, è intimamente correlato alla nostra personalità e carattere. Ci sono voci calde e voci fredde; voci flebili e voci stentoree; voci cristalline e voci tremanti; voci ricche e piene, e voci profonde e gravi. Le stesse parole possono risultare convincenti se pronunciate in un certo modo, o suonare vuote quando sono dette in un altro tono. La voce è uno specchio del nostro essere, della nostra condizione vitale.
Possiamo scegliere abilmente le parole per trarre in inganno, ma non possiamo scegliere la voce. La voce rivela il nostro vero carattere, il nostro grado di sviluppo come essere umani. La nostra voce siamo noi.
Uno strumento musicale universale
La Royal Opera House è situata in una zona molto trafficata del centro di Londra. La versione cinematografica del musical My Fair Lady comincia con Eliza Doolittle, interpretata da Audrey Hepburn, davanti alla Royal Opera, mentre cerca di vendere i suoi fiori ai ricchi che stanno lasciando il teatro dopo uno spettacolo serale. Nella storia, Eliza prende lezioni di dizione per correggere il suo forte accento dialettale; anche molti leader politici occidentali prendono lezioni di dizione per impostare la voce, in modo da migliorare la loro capacità di parlare in pubblico; pare che questo "addestramento vocale" stia diventando sempre più comune anche in Giappone.
La voce è lo strumento musicale universale dell'umanità. Ma esso presenta anche un grande lato negativo: viene immediatamente influenzato dai più impercettibili cambiamenti nel nostro stato fisico o mentale. È per questo che i cantanti professionisti devono osservare ritmi di vita e una dieta molto rigidi, curare la propria salute, evitare di prendere raffreddori o addirittura di parlare troppo. Sono impegnati in uno sforzo costante per mantenere il loro equilibrio fisico, emotivo e spirituale, perché qualsiasi piccolo problema potrebbe comportare un effetto negativo sulla loro voce.
In Grande concentrazione e visione profonda, T'ien-t'ai, il maestro buddista cinese del sesto secolo, afferma che il medico scadente sente il polso, quello comune osserva il colorito del paziente, mentre l'ottimo medico ascolta la voce del paziente. La voce rivela non solo la salute fisica, ma anche il nostro stato interiore. Quando siamo depressi, si dice, spesso non riusciamo a emettere voce sufficiente per raggiungere l'interlocutore. 
E in questo caso "raggiungere" non è solo una metafora. Se vediamo un bambino che sta correndo verso una strada trafficata, subito urliamo istintivamente: «Fermo!» e la nostra voce viaggia alla velocità del suono fino ad arrivare alla schiena del bambino. L'effetto è fisico, simile a un prolungamento del braccio, che lo afferra per riportarlo al sicuro. 
Ma una voce che si fa sentire, non è detto che debba essere forte. Per avere una voce simile, si deve parlare in modo naturale, senza forzare il tono, usando il diaframma piuttosto che la gola, come quando si ride di cuore, dal profondo delle viscere. C'è un noto episodio che riguarda una popolare cantante giapponese la quale in un periodo di grande stress non riusciva più a cantare col diaframma. Costretta a cantare di gola, danneggiò le sue corde vocali, fino a rendere il cantare ancora più faticoso.
Una dichiarazione di amore estremo
Sul palco del NHK Hall si svolgeva la storia di Turandot, la principessa dal cuore di ghiaccio. Non volendo sposarsi, Turandot aveva dichiarato che ogni pretendente doveva rispondere a tre enigmi; se avesse fallito, sarebbe stato messo a morte. Innumerevoli candidati provarono a conquistare la sua mano, con l'unico risultato di pagare con la propria vita.
Finalmente arrivò un principe misterioso che risolse gli indovinelli. Ma la caparbia principessa rifiutò di mantenere la promessa. Il principe, che non voleva costringerla a sposarlo, le propose una condizione aggiuntiva: se lei fosse riuscita a scoprire il suo nome prima dell'alba, lui avrebbe desistito dalla sua proposta e si sarebbe lasciato giustiziare. Come sarebbe andata a finire?
Durante l'intervallo, io e mia moglie incontrammo la direttrice della Royal Opera, Eva Wagner-Pasquier e il direttore amministrativo, Richard Wright. Come fondatore dell'Associazione Concertistica Min-On, che sponsorizzava l'evento, espressi il mio apprezzamento per la loro collaborazione nel realizzare questo tour della prestigiosa compagnia operistica inglese in Giappone. La Wagner-Pasquier è la pronipote del famoso compositore tedesco Richard Wagner. Erano a conoscenza della sponsorizzazione della Min-On anche per i tour giapponesi della Scala di Milano e dell'Opera di Stato di Vienna, e ci ringraziarono per il nostro impegno nel sostenere la cultura musicale. 
Io mi complimentai non solo per lo straordinario spettacolo, ma anche per gli sforzi di tutti coloro che, lavorando dietro le quinte, lo avevano reso possibile. L'opera è un'arte composita in cui la direzione, le scenografie, i costumi, il materiale di scena, ma anche gli aspetti più tecnici come quelli commerciali e amministrativi giocano un ruolo fondamentale. All'inizio della rappresentazione, quella sera, sei stendardi scarlatti erano stati calati come sipari. Quando l'opera cominciò, si alzarono scomparendo dalla vista, per poi ridiscendere quando fu terminata. 
L'effetto era quello di incorniciare, come un bel dipinto, la storia della principessa, del principe e della schiava che l'amava. In effetti, la schiava Liu potrebbe essere considerata la vera eroina della vicenda. Solo per il fatto che il principe le avesse sorriso una volta, canta Liu, lei si era innamorata profondamente di lui. Quando il padre del principe fu deposto da un usurpatore, Liu era andata in esilio con l'anziano re, promettendo di servirlo fedelmente. In seguito, dopo aver vagato per molti anni, il caso volle che ella si riunisse al principe, solo per scoprire che il cuore di lui era rimasto rapito dalla bellezza della principessa Turandot.
Nel finale dell'opera, Liu viene torturata per costringerla a rivelare il nome del principe. Lei sopporta il dolore e, piuttosto che divulgare il suo segreto, strappa un pugnale a un soldato e se lo conficca nel cuore. Con la sua morte, Liu salva il suo adorato principe permettendogli di sposare il suo vero amore, Turandot. «Queste torture - dice alla principessa - mi sono dolci, perché le offro al mio signore». L'amore incontenibile di Liu è, in effetti, un'estrema dichiarazione di un sentimento umano che può essere espresso solamente dalla musica. La fiamma della pura devozione di Liu finalmente scioglie il ghiaccio che imprigiona il cuore di Turandot. 
Cos'è questo amore, si chiede stupita la principessa, per il quale Liu sacrifica con gioia la sua stessa vita? Il canto di Liu, la sua voce, restituiscono alla principessa - fino ad allora sotto la malefica influenza di una sfrenata arroganza e del potere - buon senso e autentica umanità.
Il potere di trasformare la vita
La voce è "viva". È questo che le conferisce il potere di coinvolgere ed emozionare altre vite. Il sentimento presente nella voce entra attraverso le orecchie, "le porte d'ingresso dello spirito", percorre le profondità del cuore, lo risveglia e ne stimola le reazioni, che si manifestano poi in azioni concrete. In giapponese, le parole "cantare" (utau) e "attrarre, estendersi" (uttau) hanno la stessa radice. Quando un canto si innalza al cielo come un richiamo, esso diventa preghiera. 
Quando tendiamo una mano verso gli altri, la distanza tra due cuori viene colmata, e ne siamo confortati. La voce ha il potere di trasformare la vita dall'interno, di rafforzarla e purificarla. Ecco perché la musica, fin dai tempi più antichi, è stata una componente importante sia della religione sia della medicina. Nell'Antico Egitto, la musica veniva definita "la medicina per l'anima".
C'è un aneddoto su una città europea che progettava di costruire un teatro per l'opera. Alcuni dei residenti si opposero, dicendo che era uno spreco di risorse. Se la città avesse avuto soldi da spendere, dichiararono, sarebbe stato meglio spenderli per un ospedale. Ma i fautori del teatro sostennero che la musica era una sorta di medicina preventiva. Alla fine, la maggioranza dei loro concittadini fu d'accordo, e il teatro fu costruito. Per la nostra salute usare la voce è ancor meglio che ascoltare solamente. 
Cantare ci dà energia, stimola l'intelligenza e migliora la respirazione e la circolazione. È stato provato che usare la voce contribuisce alla prevenzione dell'invecchiamento. Nello sport, in Giappone si dice spesso che si vince con la voce: le incitazioni entusiaste, le grida d'incoraggiamento durante una partita, danno alla squadra la carica per vincere; quando piomba il silenzio, spesso è il segno di una rinuncia che può portare alla sconfitta. Lo stesso può valere anche per la vita in generale.
Parlare col cuore
Ecco perché è così importante per noi usare la voce, parlare e cantare facendola risuonare. Liberando la voce ci si libera spiritualmente. Lo scultore giapponese del ventesimo secolo J. Hiroatsu Takata, amico di Romain Rolland e del Mahatma Gandhi, aveva un profondo apprezzamento della musica. Dopo un lungo soggiorno in Francia, quando ascoltò nuovamente musica popolare giapponese, rimase scioccato trovandola poco più di una mediocre imitazione della musica occidentale. 
Scrisse: «L'atteggiamento ossequioso e feudale, che ha inculcato l'obbedienza all'autorità come virtù primaria, ha derubato il popolo giapponese di un senso del sé». La musica, disse, è l'espressione più diretta del potere intrinseco dello spirito, e senza un forte senso del sé, non ci può essere arte. In tale situazione, continuò, l'arte popolare a qualsiasi livello non può emergere. Se annientiamo la nostra identità, inghiottendo ciò che dovrebbe essere detto, tenendolo dentro e preoccupandoci troppo di ciò che pensano gli altri, non scopriremo la nostra vera voce. 
Se permettiamo che la nostra voce venga repressa, se assumiamo un tono servile e falso, in real­tà dimentichiamo la nostra voce e, tragicamente, nel far ciò, smarriamo noi stessi. Una società che reprime le voci più schiette e oneste non può sviluppare le sue qualità umane. Questo è il motivo per cui dobbiamo usare la nostra voce. Abbiamo bisogno di vincere con le nostre voci, di usarle per rinvigorire e ispirare noi stessi e la società. E abbiamo bisogno di coprire le voci bugiarde e ingannevoli con voci in cui, dal profondo del nostro essere, risuona la verità. 
A questo proposito, Nichiren Daishonin ci ha lasciato un modello da seguire, spronandoci più volte a parlar chiaro in passi come «senza risparmiare la voce» (Sulle preghiere, RSND, 1, 306); «Nichiren non ha mai risparmiato la sua voce» (Raccolta degli insegnamenti orali, BS, 49, 111); e «io, che non esito a parlare apertamente» 
(L'insegnamento predicato in accordo con la mente del Budda, RSND, 1, 862).
Superare l'oscurità della disperazione
I grandi cantanti sono capaci di crea­re l'illusione di stare cantando per ogni singola persona del pubblico, aprendo un canale comunicativo privilegiato tra cantante e ascoltatore.Nel suo tour del 1986 in Giappone, oltre alla Turandot, la Royal Opera eseguì la Carmen di Bizet presentando un cast eccezionale nel quale il ruolo principale di Carmen era affidato ad Agnes Baltsa, con il tenore José Carreras come coprotagonista. Carreras è uno dei tre tenori più acclamati del mondo. Egli ha detto: «Abbiamo molti buoni cantanti, ma la maggior parte di loro non sa usare la voce per mostrare le emozioni e per suscitare sentimenti nel pubblico». La tecnica ha naturalmente grande importanza, ma non è abbastanza. «Cantare con l'anima - sostiene Carreras - è ciò che distingue un grande cantante da un buon cantante». Carreras fu colpito da leucemia acuta nel 1987, solo un anno dopo la sua esibizione in Giappone.
Aveva solo quarant'anni. Dopo il trapianto di midollo osseo gli fu dato solo il 20% di possibilità di sopravvivenza. Si sottopose alla radioterapia, che pure gli causava una nausea debilitante. Egli dichiarò di aver superato quella terribile sofferenza con l'aiuto dell'opera; per darsi coraggio soleva canticchiare tra sé e sé, e talvolta solo mentalmente, le arie delle sue opere preferite. Il cantante ebbe una prodigiosa guarigione, e gli appassionati di opera di tutto il mondo si rallegrarono enormemente. 
Per festeggiare il suo ritorno sulle scene, il 21 luglio 1988 tenne un concerto nei pressi dell'Arco di Trionfo a Barcellona, sua città natale, in Spagna. Nei venticinque secondi che il tenore impiegò per percorrere il palco, la vita gli passò davanti in un lampo: le difficoltà iniziali della sua carriera, la diagnosi di cancro quando era all'apice del successo, la notte successiva passata a lottare con le sue paure, la sensazione di essere a un passo dalla morte, le sue speranze, il suo dolore e la sua sofferenza. 
Quando tornò in sé, non aveva neppure ancora raggiunto il pianoforte al centro del palco. Sentì le acclamazioni e gli applausi che non finivano. Aprendo gli occhi, vide un mare di spettatori, c'era gente a perdita d'occhio, persino nelle strade e nei parcheggi intorno. Per l'evento si era radunato un pubblico di 150.000 persone. Con la gola serrata, sopraffatto dall'emozione, dubitò di riuscire a cantare. Una volta recuperata la calma, cominciò piano a cantare. Sentiva una profonda gratitudine. In tanti erano venuti per ascoltarlo, pensando: «Quest'uomo ha combattuto per vivere. Ha lavorato duramente per riuscire a tornare, e ora è qui che canta per noi stasera!». Non era un tributo al Carreras cantante d'opera, ma al Carreras uomo. Il tenore aveva pensato molto a come finire il concerto, e alla fine scelse "Nessun dorma" dalla Turandot. La famosa aria si chiude con i versi: «Dilegua, o notte! Tramontate, stelle! [...] All'alba vincerò! Vincerò! Vincerò!». Quell'esclamazione liberatoria, uno dei più grandi momenti dell'opera-"All'alba vincerò! Vincerò!"- esprime perfettamente l'emozione provata dal cantante nell'aver superato l'oscurità della malattia che aveva messo in pericolo la sua vita. Voleva comunicare al suo pubblico la profonda lezione che aveva imparato: «Non ho mai rinunciato alla speranza di superare questa prova uscendone vivo, e ora guardo con fiducia al futuro. Farò ciò che devo fare, senza lasciarmi intimorire». 
Mentre cantava, pregava perché questo suo messaggio arrivasse dritto al cuore di tutti gli spettatori, perché sentissero che il suo canto era anche il loro. «Che la mia voce possa essere ascoltata - pensò - che possa raggiungere e toccare ognuno dei presenti, che ispiri coraggio in tutti loro! Che ognuno canti! Decidiamo tutti con fierezza di completare la vita vittoriosamente!». E in quel momento magico, la voce che recitava sulla scena e la voce di una vita che aveva lottato si fusero in un'unica voce.
Tratto da Nuovo Rinascimento n. 490 1 giugno 2012 

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