Fra le rocce del Pasubio
“Ho
per un anno fatto il cecchino, che sarebbe a dire il tiratore
spietato, fra le rocce del Pasubio.
Avevo
un fucile a cannocchiale “Scheibler”: lo pulivo, lo oliavo da me,
per paura che me lo sciupassero: nessuna cosa ebbe mai tante cure
meticolose quanto quell’arma che mi procurava delle ore di
passione: gli parlavo persino come ad essere animato ed intelligente.
Ieri
caccia grossa - Bravo perdinci !
Mi
facesti un bel colpo !
Ne
ero così sicuro, conoscendone per tante prove, i lievi difetti di
puntamento e di alzo, che difficilmente sbagliavo colpo.
Fino
a cinquecento metri di distanza scommettevo per la morte di chi mi
presentasse anche solo il capo davanti alle lenti del cannocchiale.
Stavo
appostato di solito nelle caverne del dente del Pasubio, ora a destra
ora a sinistra, grandi finestre slabbrate nella roccia che dominavano
da cento metri piu in alto, da una parte i posti avanzati nemici “il
cocuzzolo dei morti” e tutta la rete dei camminamenti fino a Sogli
Bianchi, dall’altra le trincee della casermetta difensiva e lo
scoperto passaggio del “naso”.
Stava
li accanto a me il fedele attendente Costamagna…. Un fortissimo
colono del Piemonte che parlava poco e menava le mani con
l’esperienza di cinque o sei anni di guerra in Libia, a Rodi, qui:
gridavamo ad un tempo: Eccolo ! Stai attento se casca.
Ed
avevo già fissato le lenti contro il nemico.
Si
ingrandiva e si avvicinava così che ne scorgessi anche le fattezze;
la lancetta dello “Scheibler” lo rigava nel mezzo del corpo: già
col rimbombo della botta riempiva la caverna.
Non
potevo discernerne l’effetto, che il rinculo dello scoppio mi
faceva sbatter gli occhi e spostare le lenti del cannocchiale.
Ma
Costamagna non aveva battuto ciglio: acuiva gli occhi vividi fuori
dalla grande feritoia, poi si rivolgeva a me, dal suo sorriso capivo
già. Come è andata ?
Secco
!!”
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