Fiducia

Pronuncio Nam-myoho-renge-kyo ma sto davvero praticando questo Buddismo? Quando sento gioia, realizzo obiettivi, mi sembra di sì. Le altre volte ho qualche dubbio, prezioso per rimettermi in discussione.
Rileggo parole di Ikeda, di Nichiren, ma riesco a viverle? Riesco ad avere piena fiducia che seguirle senza dubbi significhi riscoprire la mia Buddità? «Sto pregando con tanta convinzione come se dovessi accendere il fuoco con legna bagnata o estrarre l’acqua dal terreno riarso» (Rimproverare l’offesa alla Legge e cancellare le colpe, RSND, 1, 395): Nichiren ci incoraggia raccontando il suo stesso modo di praticare, la sua assoluta certezza nel potere del Daimoku che sfida l’impossibile. Tutto si può, riecheggiano le parole di Ikeda, purché tu sia disposta a credere fermamente, al cento per cento, ad avere fede, fiducia. È questo il movimento all’unisono del cuore e della mente. Guardo dentro. Leggo incongruenze nella mia vita, in quella degli abitanti di questa terra che sembrano disamorati della vita stessa, e anche in quella di compagni di fede in cui sembra sempre facile leggere da una parte il dire e dall’altra l’agire.
Interpretazioni della mente, ma cosa mi direbbe il mio maestro? Davanti al Gohonzon percepisco che spesso non credo veramente di poter superare un problema, di poter affrontare, risolvere quella piccola o grande sofferenza che mi riguarda. Non credo che proprio io posso trasformare. Mi sa che è il contrario di avere fiducia. E così grazie all’attività me ne accorgo ancor meglio. Cerco sempre di sfidarmi a sostenere e stare accanto a ognuna delle persone che il Gohonzon mi ha fatto conoscere. Una immensa gioia che non sempre si è tramutata in armonia. Ci incoraggiamo a percepire il Budda, in noi e negli altri, indichiamo il bodhisattva Mai Sprezzante come esempio, ma poi? Poi urla, scorrettezze, delusioni. Solo parole. Ma non sono mai gli altri il problema. Tutti si sbaglia ma ciò che conta è cosa abbiamo nel nostro cuore.
Un cuore incupito non è un cuore di Budda, è un cuore di un essere umano che sguazza nei tre cattivi sentieri. A ragione o torto, non si parla male dei compagni di fede, dice Nichiren. Non è vero che chi ho di fronte non può cambiare, inscatolato in un «è fatto così». Offendo la sua Buddità e la preziosa funzione che proprio così com’è può avere nella mia vita. Così si allontana quella felicità di cui ci parla il Buddismo. A volte mi arrabbio, magari senza dirlo, a volte sto zitta per non subire reazioni, ma dietro tutto questo atteggiamento leggo la mia sfiducia. La sfiducia in me, nelle mie potenzialità, nella mia capacità di accettarmi e farmi accettare così come sono. Di essere compresa Budda tra i Budda, di qualunque cosa si discuta. Allora posso far finta di niente, o decidere di fare un passo dentro.
Ci vuole coraggio. Ma io voglio praticare veramente il Buddismo. Spezzo un muro. Decido lo sforzo di accantonare rancori o finte certezze e non prestare il fianco al demone che costantemente separa, si ferma alle valutazioni “oggettive” e mi sussurra: «Qui, adesso, con queste persone, in questa situazione non ce la puoi fare». Ridecido. Apro il mio butsudan piena di gratitudine e con una nuova decisione di fiducia nel Gohonzon, nel Daimoku, nel mio maestro, nelle persone. Cresce la certezza che tutte le questioni che nascono sono una prova per ribadire la forza della nostra fede, la fiducia che nella Soka Gakkai abbiamo tutti lo stesso maestro e soprattutto che dietro la colorata scorza della diversità siamo tutti lo stesso Nam-myoho-renge-kyo capace di trasformare qualunque veleno in medicina. (I. B. V.)
Buddismo e Società n.147 Lug/Ago 2011


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