Venezia FC: Febbre da playoff

La
febbre da playoff investe Venezia. Ad un giorno dalla partita con la Cremonese, tra i tifosi si respira un'aria carica di attesa. Domani primo atto in trasferta, poi un Penzo sold out. Il Club Alta Marea è pronto a sbarcare a Cremona con due pullman tutti esauriti. «Siamo in cento, ma le richieste superano di gran lunga i posti disponibili. Già mi chiedono di organizzare un terzo pullman» racconta il coordinatore Franco Vianello Moro, «nel club l'atmosfera è intrisa di ansia ed entusiasmo. Siamo impazienti di prendere parte a queste due partite decisive: non possiamo lasciarci sfuggire quest'occasione».
Come ricorda Vianello Moro, la serie A recente è stato un sogno troppo breve, coltivato per una sola stagione tre anni fa. «Quest'opportunità rappresenterebbe per Venezia l'ennesimo traguardo sportivo, dopo lo scudetto vinto delle ragazze della Reyer qualche giorno fa», aggiunge, «ci piacerebbe immaginare questo traguardo non come una meteora destinata ad esaurirsi in un singolo episodio, ma come l'inizio di una fase dominata da uno spirito di solida continuità».
Sale il fermento non solo tra i soci del club, ma in ogni angolo della città. Dalle vetrine dei bar, pronti ad accogliere i tifosi accalcati intorno ai monitor, s'intravedono magliette e sciarpe arancioneroverdi. Nonostante il tutto esaurito per la partita al Penzo, nei gruppi Facebook continua la disperata caccia al biglietto. Questa volta, per contenere l'entusiasmo «non basterebbe neanche uno stadio da ventimila posti: i ragazzi hanno risvegliato e fatto sognare un'intera provincia» commentano i tifosi nei social.
La caccia al biglietto, però, si è ufficialmente conclusa ieri con la vendita degli ultimi cento. «La fila è iniziata alle 7. 30 del mattino» racconta una responsabile del Venezia FC store di Rialto, «non appena sono state aperte le vendite, i biglietti sono scomparsi nel giro di 20 minuti».
Tra i tifosi in fila per accaparrarsi l'ingresso al Penzo non c'erano solo veneziani, ma anche diversi "foresti". Tra loro, il giovane studente fuorisede Marco Beretta ha tentato la sorte al Ca'Venezia di Mestre. «Domenica mattina c'erano almeno un centinaio di persone sotto il sole. Nonostante le tre ore di attesa, l'atmosfera era elettrica e carica di speranza», aggiunge, «sono stato fortunato ad essere stato uno degli ultimi ad aggiudicarsi un biglietto. La lunga attesa è stata ripagata dall'opportunità di prendere parte a qualcosa di speciale, ad una giornata potenzialmente memorabile». Originario di Bergamo, Marco è un frequentatore assiduo del Penzo da quando si è trasferito in laguna.
«La passione è nata come una scusa per conoscere più a fondo la venezianità», racconta, «nonostante non sia nato in laguna, in curva sud sono stato accolto da una comunità calorosa e trascinante che mi ha fatto sentire fin da subito un veneziano adottato». La prospettiva della seria A riempie di orgoglio i tifosi arancioneroverdi.
«La stagione scorsa, malgrado le difficoltà, siamo riusciti a gettare le basi per un futuro promettente», conclude Marco, «l'ipotesi d ella promozione rappresenterebbe il coronamento di un sogno: il risultato meritato di un grande lavoro fatto dalla squadra e dal supporto incondizionato dei tifosi, che hanno dimostrato di essere il dodicesimo uomo in campo».
D'Alessi, l'uomo che centrò due promozioni in Serie A
Dino D'Alessi, 82 anni portati con brio («gioco ancora a tennis») e spirito critico, di promozioni in serie A col Venezia ne ha centrate un paio, la prima nel 1961 quando era ancora nelle giovanili e poi quella, trionfale, del 1966, da titolare. «Giocare al Penzo per noi era un mito, pensi che io venivo da Paese, in provincia di Treviso, e il Venezia e quello stadio esercitavano allora un fascino importante».
Che effetto le fa oggi vedere che il Venezia se la gioca ancora?
«Le dirò, l'avevo già visto in A, se lo meritava, non fosse stato per qualche punto buttato, ha avuto grandi possibilità, ma la nostra è una bellissima squadra d'attacco, più brava a costruire che a contrarre».
Ha ragione Vanoli allora, a dire che non siamo fatti per gestire le gare?
«Certo, non dobbiamo arretrare troppo, perché anche in serie B ci sono giocatori che non ci risparmiano e la Cremonese è bella tosta».
Veneziano di adozione, dopo aver girato un po' l'Italia, oggi D'Alessi vive a Favaro, fuori Mestre. Circondato da ricordi, magliette e trofei. Dopo il Venezia, passò al Brescia e alla Fiorentina, per sei anni di serie A, prima del passaggio alla Triestina e all'Udinese, chiudendo la carriera a Monfalcone. Ma il Venezia torna anche nella carriera di allenatore di D'Alessi, nel 1980-81 e nel 1985-86, altri vent'anni in panchine trivenete (Cittadella, Mira, Pievigina, Giorgione, Treviso, Pordenone, Udinese, con il biennio finale a Mestre) e non (Pro Vercelli).
«Ma io mi sento veneziano: ho conservato la maglietta neroverde della promozione, in lana, come usava allora, ce la portammo tutti a casa col magazziniere Toni Spavento che imprecava! Ne ho anche altre magliette, ma questa è sempre la mia preferita».
È il primo amore giovanile che non si scorda mai o c'è di più?
«Venezia per me è stato tutto, è stata la mia grande opportunità. Quando sono arrivato qui a 19 anni, già lavoravo con mio padre, così chiesi al responsabile del Settore giovanile, Gigi Brusegoni, se potevo avere un futuro. Mi illuse ed ebbe ragione, l'anno dopo feci l'esordio in A, a San Siro (Milan-Venezia 1-0, ndr ). La città e la squadra sono rimaste dentro di me proprio perché mi hanno permesso di diventare qualcuno, mi hanno dato un'opportunità. Per questo sono ancora qui».
D'Alessi ma lei allo stadio, e al Penzo, ci va ancora?
«Molto raramente in realtà, non mi attira più e non solo per l'età, le partite le vedo quasi tutte in televisione».
Colpa della gente o dell'atmosfera?
«È cambiato tutto ed è anche normale, ma negli anni Sessanta andare al Penzo era un rito. Era un luogo di aggregazione straordinaria, con intere famiglie che si muovevano, percorrevano a piedi la riva dei 7 Martiri quasi come una gita, non era un obbligo, ma un piacere. L'anno della promozione avevamo un accordo col presidente Gatto, che se avessimo vinto o pareggiato, restando sempre nelle prime tre, ci avrebbe dato metà dell'incasso! Prima della partita sbirciavano sempre fuori dallo spogliatoio, sempre pieno, pensi lei!».
Oggi è più facile andare a Udine che a Sant'Elena.
«È vero, i giovani hanno anche altro da fare, sono rimasti solo i nostalgici, anche se sono ancora molti», aggiunge sorridendo. «E poi basta che la squadra faccia risultato e la gente va allo stadio, certo che un capoluogo di regione come Venezia deve avere uno stadio nuovo».
Quindi lei spera nel Bosco dello Sport?
«Certo, sono 60 anni che aspettiamo: pensi che nel 1961 venne il conte Volpi in campiello della Feltrina (sede storica del Venezia, vicino a San Marco, ndr), dicendo che aveva già messo fuori i soldi per un nuovo progetto, che non andò mai in porto».
Una mezzala estrosa come lei nel calcio di oggi non avrebbe molto spazio.
«Oggi è tutto abbastanza uniforme, i talenti veri sono pochi, i ragazzi vengono scelti prima per il fisico, poi per la tecnica. È vero che il gioco è diventato molto più rapido di un tempo, addirittura furioso. Ma il ritmo non può dettare sempre legge».
Nostalgia?
«Ma un po' sì in effetti, ma mi adeguo, accettiamo anche questa evoluzione».
Dino D'Alessi non mostra l'età che ha, lucido e graffiante, un po' com'era in campo, anche con gli arbitri.
«Eh sì, non avevo sempre un buon rapporto con loro, era un po' polemico, anche quando allenavo, non mi sono mai messo nei loro panni. L'ho capito dopo e anche per loro, Var a parte è diventato tutto più difficile».
Domani c'è l'andata…
«Non dico niente» sbotta subito con qualche scongiuro. «Ma spero tanto, davvero. Sarebbe un'altra bella opportunità».

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