Brucia carne umana sul Durer a Trincerone Durer, Folgaria (TN) il 19 ottobre 1915
Sono
le sette del mattino, inizia da parte della nostra artiglieria un
bombardamento al trincerone nemico e ai suoi reticolati col proposito
di distruggerli.
Così
sino a sera continua ininterrottamente. Il nemico risponde raramente,
a intervalli, con delle raffiche di granate.
Noi
siamo fermi ai nostri posti, la notte avanza, l'ottimismo scompare e
il fante è preso da tristi pensieri.
Mentre
il cannone tuona, il Cappellano del Reggimento passa tra noi soldati,
ci dà la sua benedizione accompagnata da parole di conforto e di
incoraggiamento.
Il
fante ha capito quello che si dovrà fare, si mette il cuore in pace
e attendiamo il nostro battesimo del fuoco.
E'
notte buia, ora tutto tace in un silenzio di morte.
A
mezzanotte, un ordine: innestare la baionetta sul fucile e portarsi
avanti verso il trincerone nemico.
Tutta
la linea del terzo battaglione, da Malga Pioverna Alta a Malga
Piovernetta, giù in Valle Zonda, avanza carponi, a sbalzi, per
plotoni, per squadre, come le accidentalità del terreno lo permette.
L'oscurità
è profonda, il nemico forse ha intuito le nostre mosse; inizia un
fuoco di sbarramento con fucili e qualche raffica di mitragliatrice.
Malgrado
il lamento dei feriti e qualche morto che rimane sul terreno,
avanziamo nell'avvallamento tra le due trincee.
Anche
se le file si assottigliano, finalmente siamo in vista dei primi
reticolati nemici: si vedono profilarsi contro il cielo, sagome
insidiose.
Gli
arrivati si appiattano contro il terreno, sostando. Non si vede
nulla, non si comprende nulla. Sono gomito a gomito con chi? Non lo
si sa, sono dei soldati e non si cerca altro. Senti di trovarti in
compagnia di molti ma ti senti solo. Ti vedi solo. Eppure arriva un
ordine, da dove? Da chi?
Nasce
nell'oscurità una parola: “Avanti!” e tutti sono in piedi
cercando un passaggio tra i reticolati o provando ad
abbatterli.
Ma
a nulla servono i nostri tentativi, i reticolati sono lì, intatti.
Non esiste alcuni varco di passaggio. Si ripetono altri tentativi,
qualcuno si infila sotto i reticolati cercando di passare, ma là
rimane. Intanto il nemico inizia un furioso fuoco di fucileria e di
mitragliatrice.
Le
artiglierie tambureggiano e martellano micidialmente trincee e
retrovie. E' un inferno, grida e lamenti di feriti si odono in mezzo
al frastuono degli spari.
L'oscurità
è sempre profonda, non si comprende niente, non si vede niente.
Esaurito
lo slancio iniziale, decimati per i feriti e i morti, si attende.
Sarebbero inutili altri tentativi senza prima distruggere i
reticolati nemici che sono una barriera, due barriere o forse anche
tre barriere.
Il
fante, pure con il suo spirito di conservazione, se ordini gli
daranno di avanzare, obbedirà.
Invece
giunge l'ordine di ritirarsi nelle nostre linee. Ciò avviene sotto
un incessante fuoco, di ogni arma da parte del nemico, causando
parecchi morti e feriti alla nostra parte e qualcuno rimarrà là
fuori dalla trincea.
Rientro
come Dio vuole, nelle nostre linee da dove siamo partiti. Rientrano
anche l'amico Massola e Silva.
Ora
sembra sia il nemico che ci attacca o tentano di avvicinarsi ai
nostri avamposti. Noi presidiamo uno di questi, adesso tocca a noi
sparare, sparare.
Verso
l'alba finalmente torna la calma su tutto il fronte. Allora stanchi,
storditi dall'odore acre delle polveri e della carne umana bruciata;
ci addormentiamo a turno.
20
– Sorge l'alba. Ora è il nemico che batte le nostre linee e
retrovie con artiglierie di ogni calibro, martellando il terreno,
metro per metro. E' una giostra che ci tiene inchiodati nelle nostre
piccole tane con il fiato mozzo e l'animo sospeso.
Una
granata scoppia vicino al nostro riparo e ci troviamo coperti di
macerie ma illesi.
Ma
altri soldati vengono colpiti in pieno. Con raccapriccio vediamo
brandelli di esseri umani sparsi sul terreno.
Nella
tarda mattinata le artiglierie cessano di sparare e, nella relativa
calma, la 10.a Compagnia si porta sulla spianata di Malga Pioverna
Alta.
Ora
il sole splende ma non possiamo goderlo perché arriva l'ordine di
attaccare di nuovo in pieno giorno il trincerone nemico.
[…]
Ma
pochi passi si fanno che un tiro micidiale di mitragliatrice e
fucileria abbatte tutti quei soldati che si sono trovati sulla
visuale di tiro del nemico,
Siamo
troppo allo scoperto, nessuna accidentalità nel terreno.
I
rimasti ci buttiamo chi ancora in trincea, se ce la farà, chi in
qualche buca di granata.
Si
sosta, si ritenta un secondo tentativo di sortita, più tardi un
terzo ma il fuoco, perfettamente concentrato su di noi da parte del
nemico, rende impossibile qualsiasi movimento e ci inchioda ai nostri
posti.
L'azione
viene sospesa; anch'io, con un salto fortunato, lascio la buca di
granata e rientro in trincea.
Sulla
prima sera cessa ogni sparatoria poi un silenzio di morte.
I
feriti si trasportano al posto di medicazione al comando del
Battaglione dove il medico della Croce Rossa militare compie le sue
funzioni. Chi può se ne va da solo, anche un tantino contento,
e sono lunghe file. I più gravi si trasporteranno a spalla, su
barelle, agli ospedaletti da campo situati nelle immediate retrovie.
Si
raccolgono i morti, che sarà data sepoltura in piccoli cimiteri
improvvisati, appena dietro le trincee.
Le
nostre linee sono state smantellate dall'artiglieria nemica, dobbiamo
ripararle alla bene e meglio. Viene di rinforzo al nostro Battaglione
una compagnia del 153° Reggimento Fanteria.
Intanto
si mangia un poco di pagnotta e si cerca di riposare.
Ma
verso le sette di sera un ordine: bisogna tentare di nuovo l'attacco
al trincerone.
Si
lascia la scatoletta di carne e la pagnotta, ci portiamo in posizione
nella trincea avanzata, in attesa.
Al
fante l'ottimismo è svanito. Regna una calma di morte.
Ecco,
alle otto di sera, l'ordine di uscire dalle linee e avanzare.
[…]
Intanto
si tenta di sortire a gruppi, sparsi, a balzi: in qualche modo ci
portiamo avanti.
Ma
il nemico sta spiandoci a mezzo di razzi luminosi che illuminano la
zona e inizia un fuoco di sbarramento impedendo qualsiasi movimento.
L'azione
viene sospesa, verso mezzanotte il fuoco cessa e ritorna la calma.
Dal
diario di Giuseppe Cordano
militare,
160° reggimento fanteria, brigata Milano, soldato, caporalmaggiore
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