Memorie di guerra – Puntata 2
Al momento dei
successivi, non so se la bomba del 3^ o quella del 4^ pezzo, anziché
partire, scoppiò nel tubo di lancio.
Quasi tutta la batteria
saltò in aria. Mezza montagna eruttò, proprio dove avevamo la
galleria con maggior riserva di bombe ed esplosivi (circa 800
bombe).
L’eruzione distrusse tutto maciullando quasi tutti gli
addetti ai 4 pezzi compreso gli ufficiali comandanti le rispettive
due sezioni (2^ e 3^). Salvi soltanto la 1^sezione (1^ e 2^ pezzo) e
qualcuno dell’ultimo pezzo (6^).
Distrutta la riserva di viveri,
quanto rimasto del rifornimento di acqua venne utilizzato per tentare
di spegnere l’incendio che si sprigionò dalle rovine. Tentare di
spegnere una porzione di montagna in movimento e franante che teneva
intrappolate vite umane e resti di corpi.
Nello stesso momento
fummo bersaglio esposto al nemico che da Tolmino e dalle loro caverne
sede di formidabili batterie riuscivano a colpirci dappertutto, a
tamburo.
Anche
la fanteria venne ad aiutare noi superstiti nel tentativo di
recuperare i pochi scampati di sotto una montagna, fra fuoco e fumo
intossicante, racimolare e comporre resti. Indescrivibile il nostro
raccapriccio di fronte al terrore di compagni colpiti, ai loro
lamenti ed alle invocazioni dirette ai loro cari che mai più
avrebbero rivisto.
I
porta-feriti erano pochi e le barelle scarse; ed il trasporto a valle
verso l’ospedaletto da campo avrebbe richiesto troppo tempo. La
riserva d’acqua si esaurì e fu insufficiente per spegnere i
focolai d’incendio. Per quella giornata non vi furono altri arrivi.
Verso
sera venne l’ordine di riprendere il fuoco con le bombarde attive,
la 1^ e la 2^, e di continuare anche di notte, un colpo ogni 10
minuti.
Purtroppo in quel settore del fronte l’azione fu di
nessun rilievo; la fanteria che teneva la prima linea non poté
uscire dalla trincea, o, come tentarono, furono ricacciati indietro.
Le posizioni del nemico erano buone e sicure. Noi dovevamo sparare di
continuo a fuoco intermittente se non altro per impedire al nemico di
dispiegare altri reticolati. Purtroppo la nostra fanteria dovette
rimanere ferma nelle posizioni precedenti.
Vennero uomini della
riserva per continuare il lavoro di scavo e di recupero per quanto
possibile di materiale atto a riformare le piazzole in attesa delle
bombarde sostitutive.
In
data che non ricordo, venne poi l’ordine di smontare la batteria o
quanto era rimasto e scendemmo a valle, sostando diversi giorni in
attesa di prendere nuova posizione. A valle eravamo attendati alla
meglio, vicino all’Isonzo.
Io
fui comandato con un paio di uomini e una carretta di recarmi a
Cividale e a Udine per prelevamenti vari.
La
notte di quello stesso giorno, 24 ottobre 1917, gli austriaci
attaccarono in forza.
Scesero
decisi e dettero cosi inizio alla ritirata di Caporetto.
Assente
dal reparto per la suddetta missione fui affrancato da un ordine che
toccò ad altri: quello di andare con 20 uomini male armati (fucili
29 vecchio tipo, detenuti per sole funzioni di legittima difesa, e
pistole di ordinanza) incontro alla fiumana nemica bene armata e
feroce: di questi nostri uomini non s’è mai saputo più niente; ma
s’è saputo che gli austriaci non usavano far prigionieri ché
usavano i pugnali per finire gli avversari.
Nel corso della grande
ritirata, ritrovai fuori di Udine, in un campo, i resti della mia
batteria, priva di tutto. Unico mezzo la mia carretta con 2
biciclette e con il prelevato ridotto perché a Udine ormai non
funzionava più nulla nonostante ci fossero magazzini ben forniti,
una immensa quantità di tutto.
Iniziò
così anche per noi la dolorosa e disastrosa ritirata a piedi.
Giuseppe Milani
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